M5Stelle: va in scena il Teatro dell’assurdo dopo la scontata debacle alle Elezioni europee

Nessuna seria analisi della sconfitta ma solo giustificazioni autoassolutorie con idee poche e confusedi Maria Caterina Feole

Il pronostico vaticinato da chi scrive in un precedente articolo di qualche giorno prima delle Elezioni europee 2019 (https://www.sovranitapopolare.org/2019/05/20/linevitabile-cupio-dissolvi-del-movimento-5-stelle/), si è avverato: il Movimento 5 Stelle ha subito una pesante sconfitta, dimezzando i voti ottenuti un anno fa alle Elezioni politiche (17,06% concentrato per lo più nel Meridione rispetto al 32,7% distribuito per lo più su tutto il territorio nazionale, con una perdita intorno ai 6 milioni di voti), invertendo i rapporti di forza con la Lega di Matteo Salvini (che passa dal 17,4% al 34,6%, catalizzando anche il 14% di adesioni di ex grillini, e divenendo il primo partito in Italia), surclassato addirittura dal PD (22,74%, di cui 5% provenienti dai Pentastellati). Persino in alcune zone del Sud, ove esso aveva fatto il pieno di voti grazie alla promessa elettorale del Reddito di cittadinanza (mantenuta ma rivelatasi inferiore alle aspettative), il tracollo è stato significativo; in pratica, soltanto il 39% dei vecchi elettori è rimasto fedele, mentre i rimanenti, tra cambi di casacca e astensione, hanno palesato una grave perdita di fiducia nel Movimento.

Lo sconcerto seguito al disastroso esito, che ancora perdura, deve aver evidentemente obnubilato la capacità critica soprattutto dei vertici, i quali – al pari e peggio dei partiti tradizionali, che mai hanno fatto autocritica ed attribuito a se stessi le cause delle sconfitte (dai quali però si sono sempre voluti sdegnosamente distinguere) – anziché ammettere le proprie responsabilità, stanno cercando giustificazioni e rimedi nella maggior parte dei casi alquanto improbabili.

Si è iniziato con una riunione fiume che ha interessato i gruppi parlamentari pentastellati di Camera e Senato in assemblea congiunta, per analizzare soprattutto la batosta e la posizione traballante di Luigi Di Maio (Capo politico del M5S, Vicepresidente del Consiglio, Ministro del Lavoro e Ministro dello Sviluppo economico), subito messo sul banco degli imputati; una fronda consistente lo ha accusato di aver accumulato troppi incarichi, invitandolo a rimettere per lo meno la carica di leader, ma a sua difesa altri hanno prontamente spinto per una votazione degli iscritti sulla piattaforma Rousseau (alla quale, ricordiamo, il Garante della privacy ha contestato la mancanza dei requisiti richiesti quale garanzia di non manipolabilità del voto, comminando una multa di 50mila Euro). L’esito, scontato, è risultato un quasi-plebiscito di 80% favorevoli alla sua permanenza (a seguito anche dell’endorsement del fondatore e garante Beppe Grillo e del proprietario del Movimento Davide Casaleggio), percentuale invero che non coincide affatto con i risultati di un sondaggio indipendente per la trasmissione TV Piazza Pulita effettuato su elettori dichiaratamente 5S, secondo cui per la maggioranza (48,7%) Di Maio dopo la sconfitta avrebbe dovuto dimettersi da Responsabile, preponderanza che sembrerebbe altresì confermata dal malumore esternato in tal senso da molti elettori sui social (che gli ricordano anche la sua incoerenza dato che nel 2016 aveva chiesto a Matteo Renzi di dimettersi da Segretario del PD dopo la sconfitta sul referendum costituzionale).

Ma – si sa – la realpolitik impone spesso di rimangiarsi i principi e detronizzare Di Maio in questo momento sarebbe stato impensabile, sia per mancanza di sostituti spendibili, sia perché avrebbe innescato una repentina crisi di Governo, la cui responsabilità sarebbe caduta tutta sui 5S. E, probabilmente – per scongiurare le elezioni politiche anticipate, che li vedrebbe ulteriormente perdenti, nonché in gran parte non più candidabili (tra cui lo stesso Di Maio) per il raggiunto limite dei due mandati parlamentari imposto dal regolamento interno – si assisterà per ora ad un cedimento a favore del forte alleato Salvini su alcuni punti del “contratto di governo” (ad esempio, flax tax, autonomie, TAV) per i quali sinora avevano invece opposto resistenza. Ma questa accondiscendenza potrebbe risvegliare l’ala ortodossa, contraria a svendere gli originari capisaldi e timorosa di subire ulteriore erosione di consensi a favore della Lega, e allora la pentola a pressione, che nel frattempo continua a sobbollire, esploderà e condurrà alla caduta del Governo gialloverde.

Sempre riguardo a Rousseau, che funge da strumento c.d. di “democrazia digitale orizzontale” per consultare la base su questioni ritenute importanti (dai capi), molti attivisti hanno lamentato sia che un sistema informatico non può sostituire il necessario rapporto umano, sia scarsa presenza e perdita di contatti col territorio da parte degli eletti, laddove i Meetup hanno smarrito l’originario spirito di aggregazione, divenendo solo luoghi atti alla creazione di “cerchi magici”, chiedendone pertanto una rivitalizzazione. Inoltre, vengono contestati i criteri di scelta di molti dei candidati alle elezioni, imposti dall’alto, incompetenti e avulsi dal territorio di riferimento.

Qualche esponente ha proposto la rotazione/sostituzione di alcuni Ministri e Sottosegretari, giudicati non all’altezza del compito e dunque causa di perdita di voti, ma l’idea è stata subito messa a tacere. Al riguardo, va rimarcato comunque un aspetto che viene sottaciuto: in quasi tutti i Ministeri a direzione M5S le compagini governative si sono dimostrate spesso impreparate e frenanti l’attività amministrativa, e si sono circondate di giovani collaboratori altrettanto inesperti, cui vengono affidati compiti delicatissimi di gestione della res publica per i quali molti di essi non si rivelano capaci. Ciò ha determinato un tale disagio e frustrazione nella maggior parte dei dipendenti pubblici che vi lavorano – che eppure li avevano votati in massa nel 2016 eleggendo il Sindaco Virginia Raggi ed in parte ancora alle elezioni politiche 2018, sperando in un cambiamento in meglio – da far convergere migliaia di voti verso altri partiti (PD, Lega, FdI), tant’è che nella sola Roma i Pentastellati hanno perso ben 225mila voti in tre anni, a causa sia del negativo “effetto Raggi” sia della disastrosa conduzione delle Amministrazioni centrali.

Incassata Di Maio la fiducia dei militanti, tuttavia le crepe tra i componenti dei vertici non si sono risanate. A fronte della contestazione di una conduzione troppo verticistica come “uomo solo al comando”, seguita dalla richiesta di istituire una “cabina di regia” di alcuni elementi per affiancarlo nella gestione, il Capo ha promesso una rapida riforma del Movimento dotandolo di una nuova struttura organizzativa con deleghe ad altri su alcune tematiche (economia, territori, liste civiche, imprese, lavoro, ambiente, sanità, comunicazione), ma subito Roberto Fico ha dichiarato la sua contrarietà alla trasformazione del Movimento in partito. Il Presidente della Camera, invero, non perde occasione per differenziare le proprie posizioni da quelle ufficiali del Movimento; ad esempio, costante il suo schierarsi a favore di rom, migranti, “porti aperti” e accoglienza a prescindere, provocando l’irritazione della stessa base grillina, che sul tema “immigrazione e porti chiusi” aderisce in maggioranza alle posizioni di difesa dei confini del leghista Salvini.

Sulla linea del dissidente anche Elisabetta Trenta, definita da taluni Ministro della difesa “hippy”, verso cui sta vieppiù montando il dissenso dei militari, che si sentono da lei sviliti e umiliati, tanto che alcuni pluridecorati Generali in pensione (ma ancora molto ascoltati) hanno disertato la tradizionale parata della Repubblica del 2 giugno, accusandola di indebolire le Forze Armate con consistenti tagli alle spese e di trasformarle in Peace&Love, dopo che lei stessa ha ribattezzato la manifestazione festa dell’”inclusione”. Nonostante le feroci critiche piovute sul Ministro e gli inviti ad andarsene, persino da un suo Sottosegretario compagno di partito, i vertici del Movimento si sono schierati in suo sostegno.

Vicino alle posizioni di Fico anche il redivivo Alessandro Di Battista che, rinunciando per ora al viaggio ascetico in India e preannunciando la sua candidatura alle prossime elezioni politiche, oscilla invero tra un atteggiamento barricadero di ritorno ai V(affa)-Day ed uno di conservazione dell’attuale maggioranza governativa gialloverde.

Risolto (per il momento) quello sulla leadership di Di Maio, il processo si è poi spostato sul suo staff, specie quello politico e gli addetti alla comunicazione, tacciati di aver gestito male la campagna elettorale. Qualcuno, soprattutto tra gli elettori attivi sui social, si è scagliato contro il giornale “Il Fatto quotidiano”, in particolar modo verso Marco Travaglio, reo di avere indotto con l’inganno i Pentastellati alla campagna denigratoria contro Salvini, per due mesi trattato come il peggior nemico, facendo loro credere che attacchi su vari fronti contro l’alleato di Governo fosse la strategia giusta per vincere le elezioni. Considerati, invece, gli esiti opposti a quelli sperati, il popolo della rete ha addebitato il tracollo al giornalista e alla sua testata per aver in realtà perseguito gli scopi reconditi di una rottura fra Lega e grillini, per far buttare questi nelle braccia del PD “derenzizzato”, alleanza che in effetti egli ha sempre apertamente caldeggiato nei propri editoriali. Siffatta finalità di cambio alleanze potrebbe anche essere stata plausibile, ma ci si chiede se sia giustificabile in capo ai vertici di un Movimento che si elogia come lontano dai soliti “teatrini” della politica essersi dimostrati di fatto così ingenui da cadere in una trappola di tale portata: in pratica, una inconsapevole ma implicita ammissione di essere facilmente raggirabili e manovrabili a loro insaputa.

Sulla scia “travagliesca”, in mezzo al retorico coro generale di “torniamo alle origini, ritroviamo le nostre radici” (senza però esplicitare chiaramente quali), molti esponenti di rilievo hanno sostenuto di aver accettato troppi compromessi con l’alleato Salvini, e che dunque i continui attacchi verso di lui perpetrati negli ultimi due mesi di campagna elettorale avrebbero dovuto iniziare prima; ma, anche in questo caso, sono stati smentiti dai militanti che, in un sondaggio apposito per la trasmissione “Agorà”, al 74% si sono chiaramente espressi contro l’atteggiamento polemico nei confronti del leghista.

Ciliegina sulla torta, Beppe Grillo – seguito da alcuni esponenti – ha attribuito le cause della sconfitta alle trame dei c.d. Poteri forti come ritorsione alla legge “spazzacorrotti” dai 5S fatta approvare.

Non va tralasciata neppure la metamorfosi su Unione Europea e Euro: da sovranisti e messa in discussione della moneta unica a europeisti convinti, mirabolante capriola sconfessata dai militanti.

In tutto questo marasma, nessuno ha però avuto il coraggio di ammettere ufficialmente che tra le ragioni principali del tracollo del consenso si deve annoverare il tradimento del M5S in tema di politica vaccinale. Difatti una parte significativa dell’elettorato del M5Stelle sollecitava e si aspettava un rapido superamento del contestato decreto Lorenzin (precedente Ministro della salute), a favore della libertà di scelta e del diritto all’istruzione, come promesso già prima delle elezioni politiche 2018, allorquando esso non si era mai detto contrario alle vaccinazioni, ma aveva garantito l’abrogazione di tale decreto e il ritorno a un quadro normativo simile a quello precedente (il numero di vaccinazioni obbligatorie nell’infanzia e nell’adolescenza con la norma Lorenzin è stato portato indiscriminatamente da quattro a dieci, senza tener conto delle numerose e gravi reazioni avverse clinicamente documentate, conseguenti a un pesante bombardamento di sostanze, peraltro risultate dubbie nella composizione a seguito di analisi fatte effettuare da alcune associazioni).

Tuttavia non solo l’abolizione non è avvenuta, ma il Ministro della salute Giulia Grillo – che prima che i Pentastellati diventassero forza di governo si era scagliata contro il decreto con parole dure e di cui c’è ancora traccia in rete – ha addirittura esteso l’obbligo dei vaccini e le sanzioni in maniera ingiustificata (inviando persino i NAS nelle scuole per stanare e cacciare i bambini non in regola col piano vaccinale), divenendo così l’emblema e il capro espiatorio del voltafaccia sulla questione, che però è costato molto caro in termini di consensi, giacché secondo stime per difetto si calcola che almeno 2milioni in meno (cioè un terzo delle defezioni) siano voti persi ad opera di altrettanti genitori delusi e inferociti che combattono per la libertà di scelta vaccinale per i propri figli.

Insomma, la colpa è sempre di qualcun altro e nessuno si è preso la briga di analizzare e affrontare davvero le molteplici cause sfociate nella sconfitta, dopo che i vertici del Movimento, rinnegando la maggior parte di quanto promesso in campagna elettorale ed effettuando sconcertanti mutazioni genetiche, hanno tradito la propria base, verso la quale lo scollamento è sempre più marcato.Sic stantibus rebus, mala tempora currunt per il M5S: con le idee poche e confuse, la resa dei conti tra le varie correnti è solo rinviata, l’emorragia dei consensi è appena iniziata e all’orizzonte si intravede l’ingloriosa via della decrescita “felice”.

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