Scorie di bugie nel deposito unico

di Giorgio Santoriello

La mappa dei siti idonei ad ospitare le scorie nucleari italiane è ancora segreto di Stato

Passano i governi passano gli anni ma la CNAPI, la mappa dei siti idonei ad ospitare le scorie nucleari italiane sia native che adottive, è ancora segreto di stato: neanche l’attuale governo del cambiamento ha garantito il diritto all’informazione su questo studio pagato con soldi pubblici.

L’Italia non ha solo le scorie ufficiali, quelle sotto custodia Sogin ed Enea per esempio, ma ha anche decine di siti privati che custodiscono rifiuti a bassa e media attività e molti di questi impianti, numerosi di tipo metallurgico, sono concentrati nel Nord tra Lombardia e Veneto come ha illustrato Milena Gabanelli in Dataroom lo scorso aprile.

Poi c’è il materiale speciale, quello di interesse militare, come per esempio i quintali di uranio fresco e lavorato custodito presso l’Itrec di Trisaia, in Basilicata, materiale che non rientra nei rapporti ufficiali, che non viene citato nei convegni pubblici e che non finisce sui telegiornali.

Meno male che le direttive UE in materia impongono l’informazione alle comunità locali le quali non solo sanno poco o niente di queste dinamiche ma addirittura non hanno neanche sportelli informativi nelle rispettive aree di vita ove chiedere informazioni, o brochure, o prenotare visite agli impianti…per sapere qualcosa occorre rivolgersi sempre a Roma, con i loro tempi ed i loro metodi, come nel primo ‘900 all’epoca di Zanardelli, la provincia italiana è sempre periferia di ciò che si decide a Roma.

La Sogin ha promesso miliardi di euro di ricadute economiche per il comune che ospiterà il sito unico, una pubblicità che sa di ricatto, di corruzione, di “tangente legale” alla luce del sole: tu accetti una città sotterranea di scorie nucleari sulle quali il sindaco e regione avranno sovranità limitata ma prendi nel pacchetto anche le conseguenze, la storia futura di quella comunità che a fronte di un’ipoteca enorme riceverà in cambio soldi per i ristoranti, gli alberghi, lo smercio al dettaglio nel breve termine mentre a lungo termine arriverà forse il deprezzamento delle proprietà con la compromissione forse irreversibile dell’immagine del territorio.

Soldi a parte, la paura è per il nucleare o per come l’italiano lo gestisce? Ad oggi i diritti di conoscenza e partecipazione ai processi decisionali con impatti ambientali sono stati sistematicamente violati e se il buongiorno si vede dal mattino all’orizzonte c’è l’ennesimo progetto di costruire una zona a democrazia zero: chi costruirà e gestirà il sito sarà sempre lo stesso ente che oggi lavora a commesse di decommissionamento nucleare anche all’estero, che quando serve scherma anche materiale militare nelle proprie strutture all’insaputa delle comunità, e che quando viene sbugiardato in pubblico per omissioni e dati farlocchi abbandona il tavolo.

Dobbiamo fare il sito, lo vuole l’Europa, lo vuole il buon senso ma abbiamo gli anticorpi per farlo al meglio ? Stiamo gestendo tra ritardi, omissioni e sequestri giudiziari l’eredità del passato e nel paese dei ponti che crollano e delle strade appena inaugurate che cedono, si staglia una sfida tecnologicamente nuova con appalti giganteschi che faranno gola a molti. Voci di corridoio parlano di Puglia o Sardegna come regioni ideali, con aree a bassa sismicità, basso rischio alluvionale, lontano da coste e con bassa densità demografica limitata ad alcune zone eppure entrambe hanno già dato tanto in termini ambientali. La Puglia da nord a sud, tra SIN, siderurgia, energia, discariche ed amianto inclusi i rifiuti radioattivi della Cemerad di Statte, mentre la Sardegna oltre all’industria anche di Stato ha subito pesantemente gli impatti ambientali delle attività militari italiane e NATO…chi reagirà con più forza tra le due? Agricoltori, allevatori, pescatori ed operatori turistici reagiranno questa volta come categorie o accetteranno passivamente come nella vicenda TAP ? Forse il problema non esiste perché qualcuno si è già accordato su una “equa ricompensa”.

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