Il tempo dei vecchi

Dieta mediterranea e famiglia tradizionale.

di Elina Tizzano

C’era un tempo, ormai andato, nel quale i pomeriggi senza televisione e internet erano lunghi e la vita quotidiana era fatta di mille piccolissime cose. Le attività domestiche erano infinite, in un tempo senza elettrodomestici. I panni si lavavano al fiume o alle fontane e bisognava preparare la liscivia (un miscuglio di cenere di legna e acqua bollente che genera un composto alcalino dal forte potere detergente, paragonabile all’odierna varechina). Era un procedimento lento, che richiedeva tempo. Anche accendere il fuoco per scaldare l’acqua, la casa d’inverno o cucinare richiedeva tempo, così come preparare il cibo. In un’epoca in cui non c’era il frigorifero e non si poteva trovare in commercio tutto già pronto, pulito e magari anche precotto preparare il pane, la pasta, i formaggi, i salumi, o le conserve erano attività indispensabili alla sopravvivenza della famiglia.

La fine dell’estate era uno dei momenti di maggiore attività, perché ci si preparava all’inverno. E allora via, con calderoni enormi di conserve di pomodori, orci e vasetti di fette di melanzane, peperoni e zucchine da mettere sott’olio, distese di fichi da seccare al sole per Natale, grappoli di pomodorini o uva da passire appesi nelle cantine o negli angoli più freschi delle case; oppure nelle aie o sulle terrazze vista mare, cataste di baccelli di fagioli da sgranare e mettere nei sacchi. Le donne di casa o del cortile si raccoglievano e tra una chiacchiera e un racconto, un pettegolezzo e qualche perla di saggezza il tempo scorreva, lento e non misurato fino al tramonto, con bambini e animali che giocavano intorno. Ma con l’autunno le attività sarebbero continuate: c’era la vendemmia, la raccolta delle olive, la battitura delle noci e poi, dopo Natale, nel cuore dell’inverno, l’uccisione del maiale, altro rito festoso di abbondanza e consolidamento di legami familiari e di vicinato.

Era un tempo in cui essere vecchi aveva una dimensione completamente diversa rispetto al giorno d’oggi. Non c’erano cure per le malattie, quando arrivava il tuo tempo era finita, ma si arrivava alla terza età con un’energia diversa. L’alimentazione era più sana e problemi di salute come l’ipertensione, il diabete, l’ipercolesterolomia erano totalmente sconosciuti e non solo perché nessuno gli aveva ancora dato un nome: sono patologie che derivano da alimentazione scorretta e vita sedentaria, sono le cosiddette “malattie dei ricchi”, quindi la maggior parte della popolazione europea fino alla metà del secolo scorso non ne aveva idea. In Italia poi e nel sud in particolare clima mite, fertilità dei suoli e diffusione della celebre dieta mediterranea garantivano alla nostra popolazione longevità e salute come in pochi altri posti al mondo. Per inciso: la dieta mediterranea non è solo un regime alimentare, ma un vero e proprio stile di vita che include anche tanta attività fisica, che i nostri avi contadini svolgevano quotidianamente fino a tarda età. Per tale motivo era assolutamente naturale, fino al ‘900, la coesistenza di tre e a volte anche quattro generazioni all’interno di un solo nucleo familiare e magari nella stessa abitazione. Un concetto di famiglia totalmente perduto, che oggi ha ripercussioni molto gravi a livello emotivo, relazionale e sociale, ma sorprendentemente anche sul piano alimentare.

Il dramma della famiglia senza nonni è stato abbondantemente indagato sul piano psicologico. Un bambino che cresce senza nonni, come spesso succede per esempio ai figli dei migranti, non ha un rapporto solido con le proprie radici: spesso solo i vecchi hanno il tempo e la voglia di raccontare le storie di famiglia; a volte solo loro conoscono o ricordano i particolari, le persone, gli eventi che hanno fatto la storia di un nucleo familiare o anche di un intero paese. I nonni insegnano ai piccoli a convivere con l’imperfezione e a tollerare la debolezza, ad amare quei volti rugosi in nome di una bellezza che non è evidentemente fisica, perchè hanno da donare ai piccoli un bene preziosissimo oggi divenuto tra i più rari e ricercati: il tempo. I nonni fanno le loro cose senza fretta, a misura umana. Non mettono fretta al bimbo che mangia lentamente; se la minestra è ancora a metà nel piatto semplicemente raccontano un’altra storia. Camminano piano, dando tempo al nipotino di guardarsi attorno e notare il piccione fermo sui fili del tram, o la girandola colorata sul balcone del sesto piano…

Ma perché il tempo dilatato dei nonni influiva anche sull’alimentazione? Perché tutte le preparazioni alimentari domestiche, notoriamente più salubri delle produzioni industriali (soprattutto se si può accedere a produttori controllati) erano generalmente demandate proprio agli anziani, privi di forza fisica ma depositari dell’esperienza necessaria. Erano i vecchi che guidavano la vinificazione, la preparazione delle marmellate o delle pietanze tradizionali. O più semplicemente, nel quotidiano, erano le nonne che armate di tempo e pazienza mondavano la verdura, la mettevano a cuocere e la preparavano, rendendo assolutamente impensabile l’idea di acquistare le moderne buste in plastica di cibi surgelati oppure spinaci e insalate già puliti che, ammettiamolo, puzzano un po’ di erba marcia.

Oggi l’italiano medio non segue più la dieta mediterranea. Abbiamo smesso di consumare frutta e verdura in quantità sufficienti (in Italia solo un adulto su 10 consuma le porzioni di frutta e verdura raccomandate dai nutrizionisti) e questo è dovuto anche al fatto che le nostre vite frenetiche rendono piuttosto complicato dedicarsi alla preparazione di pietanze vegetali, come ben sanno i coraggiosi che si mettono a dieta dimagrante o chi segue regimi alimentari vegetariani o vegani. Così ripieghiamo sul cibo confezionato semipronto, precotto, trattato e integrato con additivi, stabilizzanti, conservanti e insaporitori, con effetti gravissimi sulla nostra salute. Ah, com’era bello, il tempo dei nonni in casa. Erano utili in mille piccole cose, anche nel mangiare sano.

 

 

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