Uno governo sempre più piccolo e senza idee

Le persone che siedono nelle istituzioni non ci rappresentano in nessun modo

Intervista a Guido Grossi

di Francesco Veronese

Domanda:

Con la nomina del nuovo Presidente del Consiglio, per tutti noi è impossibile rassegnarsi ad assistere all’ultimo atto dell’asservimento totale del nostro Paese alla grande finanza internazionale.

Draghi non è arrivato al potere con un colpo di stato militare e con i carri armati. Una finta democrazia, fatta anche di volta gabbana, ormai totalmente etero diretta, lo ha investito della sua carica ed è difficile immaginare che non abbia compiti precisi già programmati a suo tempo. Cosa ne pensi?

Risposta:

Stiamo vivendo tempi di grande accelerazione. Non è passato molto tempo quando con Nino Galloni, Fabio Conditi, Nicoletta Forcheri ed altri, abbiamo elaborato il Piano di Salvezza Nazionale. Quando abbiamo elaborato e mandato avanti quelle proposte, poi sottoscritte da migliaia di cittadini, proposte che sono arrivate sul tavolo di tutti i deputati, dei senatori, dei ministri e sul tavolo del governo, non ci aspettavamo certo che sarebbero state prese in considerazione. Però era ancora concepibile l’idea di una società civile che elabora proposte concrete e le sottopone ai rappresentanti nella istituzioni.

Oggi abbiamo nettissima la sensazione che le persone che siedono nelle istituzioni non ci rappresentano in nessun modo.

Ci siamo illusi, per molti anni, di vivere in un’economia che prima cresceva e poi ha avuto problemi. Ci siamo illusi per molti anni di vivere in una democrazia, che ha avuto momenti alti e momenti bassi. Oggi dovremmo prendere atto che la democrazia non esiste per niente, che l’economia non è organizzata in un processo di crescita ma, in maniera sempre più palese, le persone che hanno in mano le leve di governo, utilizzano queste leve per attuare il grande reset, per mettere in pratica quella distruzione creativa del mondo come lo conosciamo, descritta con grande chiarezza nel documento del gruppo dei trenta, elaborato dal gruppo di lavoro di cui Mario Draghi è stato presidente. Ora è presidente del consiglio dei ministri in Italia, dopo essere stato presidente dello Steering Committy.

Nel documento, con grande chiarezza, si indica l’obiettivo di spianare la strada a una rivitalizzazione del settore corporate, là dove il settore corporate è quell’insieme di grandi banche, di società di capitali, la cui dimensione è ormai molto al di sopra degli stati nazionali, e non parlo dell’Italia, è molto al di sopra degli Stati Uniti, della Cina e della Russia: i confini tra l’interesse pubblico e quello privato sono completamente persi in una pletora di organismi sovranazionali, dove di fatto sono esponenti del settore corporate che scelgono le persone che prendono decisioni, dove gli interessi sono sempre più sfacciatamente del settore corporate. In quel documento si dice con chiarezza che compito dei governi deve essere quello di attuare la distruzione creativa del tessuto socio-economico come lo conosciamo, per fare spazio ad una iniziativa che non è più stata proposta da istituzioni politiche, ma proviene dal settore privato, che dovrebbe ricostruire un mondo dove c’è più spazio per il settore corporate.

Detta in questi termini, pensando all’Italia, che è caratterizzata da un tipo di economia dove il settore corporate è assolutamente marginale. Il nostro tessuto socio-economico è fatto da milioni di piccole imprese, pochissime grandi imprese, poche medie imprese e numerose imprese addirittura individuali: le famose piccole imprese italiane.

È un tipo di produzione e di scambio che ha una dimensione umana molto importante e che ha una capacità di adattamento molto particolare a un mondo che cambia con una velocità supersonica. Purtroppo rappresenta per il settore corporate una spina nel fianco. È un modello che mina alla radice gli interessi del settore corporate. Ho scritto nelle mie pubblicazioni che l’intero castello delle riforme strutturali, che ci è stato proposto dall’Unione europea, dai vari governi, dalle varie università o think tank, ha avuto come obiettivo quello di indebolire il settore della piccola media impresa italiana. Ha avuto di fatto come obiettivo quello di indebolire il tessuto socio-economico, per permettere l’espansione del settore corporate. Eppure il sistema delle piccole e medie imprese italiane ha resistito a pressioni enormi, aumenti delle tasse inaccettabili e ingiustificati, taglio di tutti i servizi da parte delle istituzioni pubbliche, servizi di qualità sempre più bassa e con costi sempre alti, credito sempre più rarefatto e a condizioni sempre peggiori: ti danno i soldi solo se li hai, se ne hai bisogno non ti possono arrivare, le regole dei mercati finanziari sono strutturate per rendere sempre più difficoltoso l’accesso al credito delle piccole imprese. Quindi non hai servizi, non hai credito, non hai assistenza sui mercati internazionali, e fra l’altro hai uno Stato che ti mette sopra il suo peso con la burocrazia e con le tasse. Tasse che sono sempre più svincolate dalla capacità di produrre reddito. Noi abbiamo una Costituzione molto chiara, dal punto di vista dell’impostazione giuridica di come deve funzionare il sistema fiscale, in questo Paese si dovrebbe pagare le tasse in funzione della capacità contributiva e in maniera progressiva: se guadagni paghi le tasse, se guadagni molto devi pagare proporzionalmente più degli altri. In questo paese succede esattamente il contrario: paghi le tasse anche se non guadagni e se guadagni moltissimo hai un sistema fiscale he ti aiuta a non pagarle. In questo sistema in questo insieme di elementi contrari all’interesse del mondo della piccola impresa, le piccole imprese italiane hanno resistito, dimostrando altro che capacità di competere sui mercati globali, dimostrando una vitalità, una capacità, una concorrenzialità eccezionale: è stato fatto qualcosa per rendere loro impossibile la vita e sono state più vitali che mai. È in questo scenario che arriva la distruzione creativa del lockdown.

Tralasciamo tutti gli aspetti di sanità, osserviamo la cosa esclusivamente dal punto di vista economico. Cos’è successo? Per legge non puoi più produrre, per legge non puoi più andare a fare la spesa in modo libero, per legge certe attività non hanno più diritto di esistere e in cambio: poco e niente. Tutti sanno perfettamente che molte imprese non licenziano perché è vietato licenziare. Molte imprese non hanno ancora chiuso perché disperatamente si aggrappano alla speranza che questa pandemia passi, ma se abbiamo occhi per guardare, questa pandemia è fatta per non passare. Questa pandemia vuole prolungare il lockdown oltre ogni ragionevolezza. Il lockdown ha messo sulle piccole imprese un’ipoteca enorme, è quella distruzione creativa che non è stato possibile attuare con le riforme strutturali: l’aumento delle tasse, taglio della spesa pubblica, privatizzazioni, privatizzazioni e ancora privatizzazioni, che vuol dire: tolgo allo Stato la possibilità di offrire servizi pubblici a prezzi accessibili, regalo ai privati la possibilità di trarre profitto dalla gestione di un servizio che a quel punto è concesso solo a chi può permettersi di pagarlo.

Cosa c’è dopo? Dopo questa distruzione creativa, cosa ci sarà? Quali sono le riforme con cui il settore corporate vorrà riplasmare la società, favorendo al massimo i propri interessi. Nessuno di noi può essere tanto ingenuo da pensare che nel cuore e nella mente di queste persone ci possano essere gli interessi delle popolazioni, gli interessi nostri. Questi interessi sono confliggenti perché nella piccola impresa c’è amore per il prodotto, c’è amore per l’insieme delle persone che organizzano la produzione dell’impresa. Nella grande impresa queste cose non possono esserci. I meccanismi di selezione delle persone che occupano posti di responsabilità, in quelle grandi organizzazioni, sono tutti basati sul sistema della cooptazione. Se hai un cuore tenero non puoi occupare posti di responsabilità. In un sistema altamente competitivo, che ti dice che una grande impresa sopravvive se guadagna più di un’altra che fa una cosa simile, non c’è spazio per la collaborazione, per l’attenzione agli effetti collaterali della produzione. Se per guadagnare di più oggi devo chiudere gli occhi sull’inquinamento, sui licenziamenti, sulle delocalizzazioni, se mi serve produrre in un posto dove vive una popolazione indigena, devo toglierla e la sua fine non è un problema perché altrimenti salirebbero troppo i costi.

In questi meccanismi c’è una disumanità sconcertante e sono gli stessi meccanismi che abbiamo visto nell’economia e che stiamo vedendo nella gestione sanitaria. Sono gli stessi meccanismi che troviamo ormai in tutti i settori. Ho incominciato a percepire come andassero le cose mettendo il naso nel mondo della finanza. L’ho visto dal di dentro, ho avuto gli strumenti per capire, ma non mi potevo rendere conto che la stessa cosa stava succedendo contemporaneamente in tutti i settori. Nelle università i meccanismi di selezione non sono diversi. Se tu vuoi fare una ricerca su un sistema che produce energia dall’acqua, a costo bassissimo, non puoi farla. Se tu vuoi fare ricerca su un farmaco che guarisce dal Covid, non puoi farla. Se vuoi insegnare a scuola una visione della storia diversa da come ci è sempre stata raccontata, non puoi farla. Se tu nel mondo dell’informazione vuoi dire che stiamo vivendo in un regime che è peggio dei peggiori fascismi, dove possiamo andare a dirlo? Qual è lo spazio di libertà per esprimere i nostri pensieri? Ci siamo illusi di avere internet a disposizione, internet si sta dimostrando per quello che è: uno spazio controllato dal settore corporate. Ci ha permesso di giocare fino a quando le cose che dicevamo non erano efficaci. Quando la nostra capacità di criticare il sistema, di smontare il castello, è diventata efficace, il sistema ha mostrato la sua faccia e semplicemente spegne i profili delle persone che presentano le cose da punti di vista diversi.

Che possibilità abbiamo noi di organizzare un partito politico, presentarci alle elezioni, vincerle e sostituire le persone che oggi occupano le istituzioni? Zero!

Primo perché per troppi decenni abbiamo smesso di occuparci di politica, abbiamo smesso di frequentarci, abbiamo smesso di imparare ad ascoltarci e collaborare. Per troppi decenni abbiamo smesso di capire che cos’è l’economia, che cos’è la politica, cos’è la storia, cos’è la filosofia, cos’è la democrazia. Non abbiamo studiato e purtroppo l’economia, la sociologia, il diritto non vengono insegnati nei licei. Siamo cresciuti senza informazioni fondamentali per prendere decisioni in maniera collettiva. Ma quand’anche potessimo superare tutte queste possibilità, avremo delle elezioni libere? Dopo quello che è successo in America, possiamo davvero sperare in elezioni libere? Io credo che stiamo vivendo in un’epoca in cui è venuto giù tutto. Tutte le illusioni nelle quali siamo cresciuti stanno venendo giù tutte, una dopo l’altra. L’alternativa si riduce sostanzialmente a questo: assisteremo in maniera impotente e silenziosa al modo con cui il settore corporate vorrà ricreare la società, a immagine dei suoi bisogni, o impareremo in gran fretta a superare gli steccati a ritrovarci, a sperimentare capacità di vivere in maniera parallela, di coesistere con un mondo che sembra aver perso il senno, senza uscirne, senza isolarci, senza metterci contro. Da una parte c’è la tentazione forte. Le persone che stanno organizzando, concependo e gestendo la trasformazione, sono poche, sono quattro gatti. La tentazione di ribellarsi è forte, ma non siamo preparati. Non siamo capaci neanche di questo. Io non so verso quale futuro stiamo andando incontro, so che abbiamo il dovere di sperimentare, di incontrarci, di confrontarci, di cercare di capire come sul fronte economico possiamo creare sacche di resilienza. Ma se non potremo rapidamente tornare a rigovernare le istituzioni quale dimensione politica possiamo avere? Quali comunità dovremo creare? Assisteremo in silenzio a un inasprimento sempre più manifesto della voglia di repressione che abbiamo sotto gli occhi? Sapremo reagire senza fare esplodere la violenza? In altri paesi il rischio che esploda la violenza è decisamente più alto. Noi abbiamo nel DNA qualcosa di refrattario all’esplosione di violenza e che in questi tempi, probabilmente è un grosso vantaggio. Ma non basta evitare un rischio. Dovremo diventare capaci di creare strutture organizzative, dove organizzarsi vuol dire riconoscere che non tutti sono in grado di fare la stessa cosa, riconoscere che abbiamo bisogno di gruppi che si specializzano a fare cose diverse, ma che in maniera armonica abbiano sempre di più l’idea di fare parte di un organismo che ancora non è nato ma che ha un enorme bisogno di nascere- Io lo sto facendo sul progetto Barterfly, ma questo è solo un aspetto. La cosa bella è che incontro tantissime persone che stanno facendo tantissimi esperimenti in campi diversi e tutti sono consapevoli del bisogno di non essere soli.

Tutti sanno che quello che stanno facendo non è la risposta, ma è una delle risposte che oggi devono essere sperimentate, devono incontrarsi, devono conoscersi, rispettarsi e devono trovare il modo di creare nuove forme di collaborazione: conoscenza, rispetto, approfondimento e collaborazione. Non sappiamo dove arriveremo ma di sicuro questo non è un tempo in cui si può stare fermi ad aspettare. Quindi rimbocchiamoci le maniche e sperimentiamo tutto quello che c’è da sperimentare senza paura. Senza farci illusioni, senza pretesa di risultati immediati, con un’enorme pazienza, facendo anche errori ma senza farsi sconfiggere dagli errori. Anzi ogni errore può essere uno stimolo per capire come fare meglio.

Io ringrazio Francesco che sta mettendo tutta la sua energia nella voglia di mettere insieme le persone. Siamo diversi, ognuno di noi ha il suo modo per provare a mettere insieme le persone. Forse non c’è oggi un modo migliore di altri, proviamoli tutti, e restiamo in contatto, senza pregiudizi. Uno dei nostri nemici più grandi è il giudizio: no tu stai sbagliando, no quello che sto facendo io è migliore, no tu stai perdendo il tuo tempo. Impariamo a non giudicare, a osservarci con apertura e interesse perché abbiamo veramente bisogno di essere tanti e di sperimentare il modo di collaborare.

 

 

 

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1 Commento

  1. Questo è l’essenziale. Molte più cose sono state affrontate nel Meet-Google. Chi aveva temi ed era autorevole ha permesso a chi solo ascoltava di dare i giusti pesi agli intervenuti nel contesto.

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