di Antonio Monopoli
Oggi siamo arrivati a comprendere come la cultura non si contrapponga alla “natura” bensi’ vada armonizzata con essa proprio grazie alla maggiore conoscenza delle leggi naturali che la stessa cultura ci consente di conoscere sempre meglio.
Uno degli aspetti sempre presenti nella storia dell’uomo è il rapporto che si viene a creare tra la cultura di cui ciascuna persona ed ogni civiltà è portatrice e quella che viene definita con il termine di difficile esplicitazione “natura”. La difficoltà di definire in maniera univoca che cosa è naturale e cosa non lo è nasce dal fatto che vi è un equivoco (frutto della cultura) per cui non sempre nella nostra mente riusciamo a fare una corretta distinzione, spesso infatti tendiamo a chiamare naturale ciò che è semplicemente una condizione precedente all’attuale. Facciamo un esempio: se immaginiamo il terreno su cui sorge la periferia della nostra città pensiamo che la sua condizione naturale fosse quella della nostra infanzia in cui al posto dei palazzi c’era, ad esempio, un prato; in realtà è possibile che quel prato fosse il frutto di un precedente disboscamento e quindi qualcosa di pianificato culturalmente.
Altro elemento che rende difficile la questione è la considerazione che l’uomo, in quanto appartenente al regno animale, appartiene alla natura e quindi, a rigor di termini, le modificazioni che porta ad essa sarebbero comparabili con quelle che porta all’ambiente una pecora che bruca l’erba. Detto in altri termini, sotto questo aspetto la stessa cultura andrebbe considerata un aspetto evolutivo della natura.
Perché allora si parla spesso della questione del cosiddetto conflitto tra natura e cultura? Verosimilmente esso trova una sua giustificazione nella sproporzione dell’intervento che l’uomo è capace di indurre nel proprio ambiente rispetto alla capacità che hanno gli altri esseri viventi ed il sistema ecologico. L’uomo infatti nella sua storia ha cercato costantemente di trasformare il proprio ambiente con quella che è una artificiosità molto spinta. Basti pensare a come la costruzione di una città modifichi il terreno su cui sorge stavolgendolo fin dalle fondamenta. In altri termini l’intervento dell’uomo supera le capacità di auto-equilibrio dell’ambiente naturale che conseguentemente non è in grado di mantenere una propria omeostasi.
Quanto abbiamo detto non riguarda soltanto l’ambiente inteso in senso fisico, ma possiamo estenderlo anche al nostro vissuto di relazione con gli altri e con noi stessi e, quindi, alla sfera psicologica e sociale.
Uno dei grossi problemi che, certamente, stiamo creando è il fatto che l’eccessiva antropomorfizzazione dell’ambiente ci sta allontanando dai modelli di riferimento che rispecchiano le leggi naturali e che da sempre sono stati elemento di confronto e per certi aspetti di indicazione e modellaggio nelle considerazioni e scelte che siamo quotidianamente chiamati a effettuare. Il vivere lontano dalla flora e dalla fauna che sono espressione e vivo insegnamento della filosofia della natura, ci ha portato ad una autoreferenzialità sempre più ispirata ad una elaborazione culturale non consona alla qualità della vita e spesso alla nostra stessa sopravvivenza.
L’aver dimenticato l’importanza della collaborazione e della sinergia così presente tra soggetti animali e vegetali della stessa specie, l’aver portato all’esasperazione l’idea della concorrenza che da stimolo verso il miglioramento è divenuta dinamica tesa alla eliminazione dell’avversario visto come nemico, il dimenticare che in quanto organismi biologici rispondiamo a delle leggi chimiche e fisiche che non abbiamo scelto noi e che siamo tenuti a rispettare pena la perdita della salute, La creazione di categorie culturali sempre più artificiose come il profitto e l’utilità intesi in maniera puramente economicistica anziché economica nel senso etimologico del termine, l’aver smarrito il senso della vita soffocandolo in una visione infantilmente egoistica, l’esserci trasformati da fruitori in cattivi amministratori e in distruttori dell’ambiente ci sta portando verso l’infelicità individuale e la estinzione come specie.
Tutto questo è frutto di una cattiva cultura figlia dell’ignoranza e della mancanza di quell’umiltà che tanti uomini di pensiero hanno cercato nel corso dei secoli di additarci come strumento per giungere ad una vera comprensione del senso della nostra esistenza e come presupposto per aprirci alla intelligenza delle meraviglie del creato.
Un semplice esempio riguarda le nostre scelte alimentari che spesso ancora oggi sono frutto di scelte culturali inadeguate. Se nel secolo scorso si credeva che il pane “bianco” fosse superiore a quello integrale, se i cibi fortemente elaborati industrialmente rappresentavano un mito di benessere economico, se si arrivava ad affermare che il latte artificiale fosse da preferire al latte materno, oggi noi abbiamo le conoscenze nutrizionistiche per alimentarci in maniera funzionale alla conservazione della nostra salute ed al miglioramento della qualità della vita e questo è cultura, ma cultura frutto della reale conoscenza e non del preconcetto o dell’ignoranza.
La questione, quindi, non è tornare ad un ipotetico uomo primordiale affrancato dalla sovrastruttura culturale, bensì comprendere come la stessa cultura correttamente perseguita e coltivata può aiutarci a porre rimedio ai nostri errori a condizione di capire che le scelte vanno armonizzate con dei principi che hanno una loro valenza universale a cui noi non possiamo sottrarci. Principi che proprio grazie alla cultura, il cui versante scientifico oggi vive un momento particolarmente fecondo, possiamo giungere a conoscere sempre meglio ed a perseguire sempre più correttamente.
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