Fabio intervista Paolo e Davide che da 4 mesi esplorano, a vent’anni di distanza, gli eventi del G8 di Genova del 2001 con un canale video, un podcast audio e un libro pronto per essere pubblicato. Buona lettura!
A vent’anni da quei famosi eventi di Genova 2001 non è facile parlarne. Per la generazione che attraversò quelle strade, e per coloro che semplicemente videro gli eventi tramite i media, quel luglio 2001 ha segnato un solco nella storia che è dannatamente difficile da dimenticare. Molti portano sul corpo i segni di quei tre giorni, e altri portano segni nell’anima. Molte volte è stato paragonato a una bottiglia di spumante a cui qualcuno ha messo il tappo: sarebbe stata una grande festa, e invece qualcuno ha deciso d’interromperla. In questa sede non ripercorreremo quei giorni, ne’ tanto meno cercheremo di capire le responsabilità – in un Paese civile e democratico devono essere le sentenze a parlare – ma di certo, se volete sapere come andarono le cose in maniera completa, una sorta di bibbia venne scritta dal giornalista Carlo Gubitosa nel suo libro “Genova, nome per nome” e tanto materiale è ancora esplorabile sui siti piazzacarlogiuliani.it e supportolegale.org.
Nel tentativo di analizzare quei giorni però si è introdotto un altro attore. Due ragazzi, Paolo e Davide, da oramai quattro mesi stanno ripercorrendo, con una maturità e responsabilità storica che fa loro onore, quegli eventi. Un libro pronto per essere pubblicato, un canale video, un podcast audio, chiacchierate e interviste di facile fruizione. La mia curiosità era tanta, le domande erano molte, e poi alla fine abbiamo deciso di fare una chiacchierata informale, molto informale. E vi farò uno spoiler: si, son proprio due belle persone.
https://sociale.network/@backtotheg8
https://peertube.uno/video-channels/back_to_the_g8
https://funkwhale.it/channels/bttg8
Fabio: Prima di tutto ragazzi, grazie del tempo che ci state dedicando. Cominciamo dalle basi: il vostro podcast si divide essenzialmente in due parti. La prima in cui tu Paolo spieghi a Davide cosa avvenne a Genova in quel luglio del 2001, e poi una seconda parte in cui intervistate alcuni testimoni e protagonisti di quei giorni. Come mai avete deciso di utilizzare questa formula narrativa?
Paolo: Beh, è nata esattamente come la raccontiamo. Nel senso, io ho cominciato a far leggere a Davide il libro che stavo scrivendo e poi, dopo aver cominciato a chiacchierare, ci siamo detti che forse era il caso di dare una forma a quello che ci eravamo detti perché poteva essere utile a qualcun altro. E poi, mentre sviluppavamo questa parte mi son detto “sai che c’è? questa parte del professorino comincia a starmi stretta” e quindi abbiamo cercato di coinvolgere altre persone.
Davide: Si, è stata un’esigenza naturale. Nel momento in cui cominci a scoprire cose, e cominci a scoprirle piano piano, se l’argomento è interessante hai voglia di capirlo ancora di più nella sua interezza. La naturale prosecuzione è stata quindi quella di cercare altri punti di vista.
Fabio: Davide, se posso ho bisogno di farti una domanda. Io ho più o meno l’età di tuo fratello Paolo. Qual’è stata la tua reazione nel conoscere gli eventi che avevamo vissuto durante la “nostra” generazione?
Davide: Dunque, quando ho cominciato a leggere quello che aveva scritto Paolo, sapevo qualcosa alla lontana di quel luglio 2001. Quello che mi ha colpito è come siano arrivate quelle informazioni fino oggi, come tutto quel flusso si sia arrestato. Io e mio fratello abbiamo 17 anni di differenza, e il fatto che sia arrivata soltanto una flebile voce di quegli eventi, come un tg ascoltato quando avevo 2 anni, o qualcosa durante l’anniversario dei 10 anni, desta meraviglia. La cosa che mi ha stupito di più è che si sia un po’ perso tutto, che si debba andare a cercare per scoprirlo, che sia scomparso cosi’…
Fabio: Per te invece Paolo, come è stato ripercorrere quegli eventi, mettersi in gioco e raccontarli a qualcuno?
Paolo: Beh, io mi son reso conto di quanto, per la mia generazione, tutto questo abbia un valore. Che tu ci sia stato o no, comunque ti ha segnato. Non è passata così. E quello che dice Davide fa ancora più specie, perché a me, a 20 anni di distanza, fa riflettere sul fatto di come quegli eventi abbiano influenzato anche l’oggi. Per fare un esempio, quando abbiamo iniziato a fare i primi video, ci siamo trovati a parlare di “zona rossa”, ed è arrivato un corto circuito che è veramente sotto gli occhi di tutti. È a mio parere un pezzo della nostra storia recente di cui non abbiamo veramente ancora capito ancora l’importanza.
Fabio: Dunque, facendo un punto della situazione: per ora avete intervistato Carlo Gubitosa, Lorenzo Guadagnucci, Giulio Laurenti, Monica Lanfranco, Carlo Schenone, Mara Rossi, Gianluca Prestigiacomo – sul quale ci torneremo su – e dulcis in fundo, Haidi Giuliani. Se doveste scegliere, qual’è l’intervista alla quale siete più affezionati?
Davide: Parto dalla fine. Sicuramente l’intervista con Haidi è quella che ci ha colpito di più. Siamo riusciti a contattarla dopo varie peripezie e, sia per me che per Paolo, è stato veramente un grande onore averla con noi. Ma tutte, in realtà, son molto belle. Io poi ho una tendenza a farmi colpire dalla storia che mi sta raccontando l’altra persona, che può avere i suoi pro e i suoi contro, ma rende assolutamente unica qualsiasi intervista. Quella forse che mi ha aperto di più un mondo, di cui non avevo assolutamente idea, è stata quella sulla nonviolenza con Carlo Schenone. Prima di allora pensavo “nonviolenza” significasse “non usare la violenza”, e invece ho capito che dietro c’è molta preparazione, tanta formazione, c’è un modo di approcciarsi all’idea di “andare in manifestazione” e di agire in un determinato modo che per me era davvero un foglio bianco.
Paolo: Guarda, faccio fatica a identificarne una in particolare. Sicuramente, concordo con quello che ha detto Davide: l’intervista ad Haidi Giuliani, per tutta una serie di ragioni, ha un peso specifico particolare. Ma anche, per esempio, le interviste a Carlo Gubitosa o a Carlo Schenone. Io son quello che ha fatto prima un pezzo di ricerca. Per me è quindi stato un andare incontro a delle persone che, con i loro scritti, mi avevano già detto qualcosa. Ed è poi stato molto bello scoprire, al di là dell’impressione che avevo avuto quando avevo letto i loro libri, che valeva davvero la pena incontrarli di persona.
Fabio: C’è l’intervista a Gianluca Prestigiacomo che mi ha lasciato senza parole, sopratutto perché viene da un ex agente della Digos che racconta dall’interno alcune dinamiche. Ha detto un sacco di cose “molto” interessanti. Poiché non esiste miglior ascoltatore di chi sbobina un’intervista, voi che impressione ne avete avuto?
Paolo: Sicuramente è quella che io reputo più controversa. Dopo averla fatta, in parte rieditandola, in parte dopo averla messa in onda, abbiamo avuto un po’ di scambi e di commenti. Se oggi, dovessi rifarla una seconda volta, sicuramente la farei in un altro modo. C’è anche da sottolineare che lui, come persona, ha anche una modalità un po’ confusionaria nel dire le cose ma, probabilmente, oggi farei altre domande, probabilmente proverei a incalzare un po’ di più su determinati argomenti…
Davide: Io avrei da aggiungere che, a parte il lavoro di editing, che è qualcosa che si sobbarca di più Paolo, ci hanno fatto ragionare molto i commenti che ne sono scaturiti, non tanto perché dicessero “bravi belli e buoni” ma perché sollevavano delle critiche che avevano un senso, che ci hanno fatto dire “potevamo essere più incalzanti”, che ci hanno fatto dire “magari questa cosa potevamo guardarla meglio prima per rendere l’intervista ancora più interessante”. Ma credo che anche questo sia bello, perché aggiunge tasselli e fornisce una prospettiva diversa.
Fabio: Quindi questi commenti, queste reazioni, vi stanno fornendo un feedback costruttivo e non distruttivo rispetto al lavoro che avete fatto…
Paolo: Si, tieni conto che noi non conoscevamo nulla del fediverso(*). Lo abbiamo scoperto quando abbiamo intervistato Carlo Gubitosa e ci siamo detti “potrebbe essere interessante fare un passo in quella direzione”. Poi da lì è nato il contatto con peertube, il contatto con funkwhale per pubblicare il podcast. Insomma, è tutto davvero in costruzione. Ci piacerebbe, in realtà, da qui alle celebrazioni del ventennale, cercare d’intervistare chi sta facendo qualcosa per tenere viva quella memoria, magari in altre forme e in maniera diversa da noi. Poi magari ci ignorano ma…
Fabio: Io invece credo che non lo faranno perché è piuttosto importante quello che state facendo. Per quanto mi riguarda, io ho cominciato a seguirvi con un approccio titubante del tipo “no basta, ancora Genova dopo 20 anni, basta” perché è un ricordo che fa male. Poi c’è stata una particolare puntata, la vostra chiacchierata sugli eventi di Piazza Alimonda, che mi ha fatto switchare sul “gli voglio bene, li devo seguire”.
Davide: C’è da dire che quando abbiamo pensato “dobbiam parlare di queste cose” ci siamo detti che non potevamo puntare il valore su caratteristiche che non ci appartenevano. A noi appartiene il fatto di essere “famiglia” – perché siamo fratelli – quindi di parlare con un registro informale, ci appartiene il fatto di essere “ignoranti” ma ci piace interrogarci su quel che non sappiamo, ci piace farci “provocare” da quel che ascoltiamo, e quindi mettiamo questi punti come fondamento a quel che comunichiamo.
Fabio: C’è una discussione avvenuta fra voi che mi interessa approfondire, cioè quando avete paragonato l’esperienza dei “fridays for future”(**) – o quella di organizzazioni come “extinction rebellion” – con il movimento “no global” di quegli anni. Per Davide: secondo te c’è un filo che lega questi due eventi storici?
Davide: Allora, quel parallelismo riguarda il fatto che ci sono degli eventi storici che generano delle conseguenze. Se per esempio vai indietro al G8 di Genova, capisci che i due eventi sono collegati. Il fatto di andare contro la globalizzazione, che per qualcuno della mia età non è completamente comprensibile senza un approfondimento, è invece comprensibile se capisci che questa globalizzazione ha cominciato a bruciare le risorse del pianeta. Quindi oggi vanno fatti degli sforzi, da parte di tutte le generazioni, attraverso la sensibilizzazione, attraverso le manifestazioni, attraverso i pezzettini che ognuno fa. Ma, se vent’anni fa le cose fossero andate diversamente, forse anche l’oggi sarebbe molto diverso. So che può sembrare scontato, ma è anche vero. L’abbiamo collegato in fondo per via del nostro vissuto: se mio fratello mi parlava di manifestazioni, l’unica cosa in cui potevo identificarmi era in quel cambiamento climatico che tutti noi dobbiamo cercare di fermare perché, semplicemente, se le cose non cambiano, finiscono.
Fabio: Sentite, so che è una domanda scontata ma, secondo voi, a distanza di vent’anni, quel movimento ha vinto o perso? Avete due-tre ore per rispondere se volete…
Paolo: Sai che, secondo me, è la domanda più malposta del mondo?
Fabio: Lo penso anch’io…
Paolo: Sicuramente ha perso sotto tantissimi aspetti, sicuramente ha vinto sotto tantissimi altri – ce lo siamo anche detti: se guardi il mondo oggi e se guardi le istanze di allora è chiaro che ha vinto, è evidente – però davvero secondo me è il modo sbagliato di vedere la questione. Quel movimento ha inciso? Comunque si, e se non ci fosse stato quel movimento avremmo avuto un mondo diverso. Certo, come diceva Davide è una dinamica in divenire – se non ci fosse stato quel movimento non ci sarebbe stata la repressione e via dicendo…
Fabio: Quindi diciamo che il modo con cui hanno cercato di fermare quel movimento, in fin dei conti, ha fallito nel suo scopo perché le idee non possono essere fermate…
Paolo: Si, ma è anche più di questo. La generazione di Davide per esempio capisce che non c’è più spazio per l’errore perché, purtroppo, non c’è più il materiale con cui poter sbagliare. Quindi non sono più le idee ma i fatti, o meglio i nodi che vengono al pettine.
Davide: È che se hai ragione, hai ragione… Per quanto la puoi mettere in una contrapposizione conflittuale fra il mondo globalizzato e chi la globalizzazione non la voleva, poi alla fine, nella vita di tutti i giorni e nelle conseguenze che tutte le persone hanno, è molto più complicato di cosi’. Non c’è una “battaglia”. Quelle idee non erano “ideologiche”, erano idee basate sulla realtà. E se ti basi sulla realtà, la realtà rimane sempre quella. Tu puoi chiudere gli occhi, nascondere la testa sotto la sabbia, ma quello è, e quello rimane.
Paolo: Se ci pensi, quel momento storico è stato davvero un punto di convergenza forte di numerose culture. Ed andrebbe riconosciuto come tale, andrebbe riconosciuto come punto di convergenza storico. Non è stata semplicemente “l’estate in cui andavamo tutti d’accordo”, è stato un momento in cui c’erano una serie di istanze che hanno collimato, con tutta una serie di fatiche, ma comunque c’era l’idea che si stava camminando tutti in una certa direzione.
Fabio: C’è qualcosa che volete aggiungere, che pensate meriti di essere comunicata nel post che verrà pubblicato in bottega?
Davide: Io ce l’ho. Uno dei motivi per cui siamo più trasversali su qualsiasi piattaforma – per citarne alcune: telegram facebook instagram spotify youtube, tutte le piattaforme del fediverso(*), e sicuramente ne dimentico altre – da un certo punto di vista, a livello numerico, non ripaga. Ma non è quello il nostro scopo. L’obbiettivo è quello di raggiungere target differenti. Per esempio, le pillole su youtube, e i post su instagram raggiungono persone della mia età. Molta parte del nostro tempo lo passiamo gioco forza sui social e cercare di inserire, nel discorso quotidiano, questo tipo di argomenti ci sembrava importante. Faccio questo esempio: ieri sono andato al bar sotto casa per discutere con i miei amici delle vacanze dell’estate, ho beccato un mio ex compagno delle superiori e mi fa “sai che ho guardato tutti i video? stra-insteressante, stra-bello!”. Ecco, questo è ciò che stiamo cercando di fare. Se hai qualcosa da aggiungere tu Paolo…
Paolo: Senti Fabio, posso farti una domanda? Tu prima hai detto “penso che questa roba che state facendo sia importante”. Perché secondo te?
Fabio: Te lo dico subito. Perché è un punto morto delle nostre vite. Penso che chi ha passato quell’esperienza, anche per chi non l’ha vissuta come dici tu, anche per chi l’ha soltanto vista in televisione, per chi ha visto il corpo di Carlo in strada, tutto abbia avuto un impatto serio sulla propria vita, o meglio sul come ha deciso di impostare la propria vita. Penso che quei giorni siano stati un buco nero di cui bisogna parlare, per la generazione di Davide e per noi. Parlarne è come rimuovere quel “tappo” e cercare di andare avanti. Ci son delle cose che son rimaste ferme lì, bloccate, e non si sono mosse da allora. È arrivato un messaggio del tipo “basta, anche no”. E alcuni di noi hanno detto “basta”. Ecco perché, secondo me, di quei giorni bisogna continuare a parlarne. Ed ecco perché in questi giorni, che ho un briciolo di tempo in più, mi son detto “io con questi ragazzi ci devo parlare, li devo vedere”.
Paolo: Non so, io ho l’impressione che quello che facciamo non renda giustizia a quello di cui ci sarebbe bisogno.
Fabio: Beh, è comunque un pezzo importante quello che state facendo. Non lo dico per piaggeria, lo dico perché lo penso sinceramente…
Davide: D’altro canto, secondo me, più che riuscire a rendere giustizia alla memoria, è importante anche lasciarsi “provocare” da quello che viene raccontato. Questo, ovviamente, funziona per il G8, ma si può estendere alla vita in generale. Se, per esempio, nella vita ti approcci senza una barriera di difesa e ti metti in ascolto, non sarai mai perfetto ma sicuramente ti lascerai sensibilizzare dalle cose che ti accadono intorno. Io ne sono il prototipo: parto dal non sapere nulla, parto dal leggere qualcosa che ha scritto mio fratello e arrivo, mesi dopo, che quello di cui mi sto interessando è qualcosa che mi rimane. Devo dare credito sopratutto a mio fratello perché lui ha cercato di intercettare varie visioni dello stesso evento dando l’idea che non c’era solo il “bianco” ma c’erano “tanti colori diversi”
Paolo: Due cose su cui mi piacerebbe ragionare, ma bisogna prima capire gli strumenti con cui farlo, sono uno: il discorso della violenza di quei giorni, della repressione e due: il discorso dell’alternativa. Ci dicevamo, all’inizio della chiacchierata, che abbiamo tutti la sensazione che quello fosse un bivio. Su Genova questo sentimento è fortissimo. Cosa poteva essere se? Se non ci fosse stata la carica sul corteo, se non fosse morto Carlo, se il movimento fosse andato avanti. È vero che la storia non si fa con i se e con i ma, eppure secondo me questo ragionamento ha un valore in sé. Lo slogan, cacchio, se ricordi era “un altro mondo è possibile”. È così carico e pregno di significato che mi piacerebbe trovare il modo di andarci dentro.
Davide: Un’altra cosa bella delle interviste sono stati gli incontri umani. Tutti quanti sono stati molto gentili ed alcuni di loro si sono anche affezionati…
Fabio: Non è molto complicato da comprendere: sembrate delle belle persone 🙂
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