Economia per il bene comune

Un nuovo scopo per l’agire economico

di Francesco Cappello
In “Quel pane da spartire” Mazzetti così si esprime (1):

“Per affrontare i problemi causati dalla crescita non basta negare la crescita, rappresentarla come una sventura, occorre piuttosto sviluppare capacità nuove che riconducano le forze produttive acquisite nell’alveo di un nuovo modo di produrre

si apre così il campo vasto e ampiamente inesplorato “dell’economia solidale (Jean Lous Laville), partecipativa (Michael Albert), sociale, civile (Zamagni), collaborativa (Labsus), della condivisione (Joseph Kumarappa), del no profit, del non-profit “del noi” (Roberta Carlini), informale, del bene comune, dei commons (“commodomics”, che allude alla amministrazione dei beni comuni, come suggerisce Raul Zibechi), del bastevole e del sufficiente (Wuppertal Institute), dell’economia plurale (NEF), dell’economia morale (Illich).” Paolo Cacciari. La cooperazione è un fenomeno universale.

Dal Male Comune
Fare presto e bene perché si muore diceva Danilo Dolci
Viviamo per lo più concentrati in città “Omili“, come le chiamava Danilo Dolci. Abbiamo perso il rapporto con il territorio. Finché il sistema delle nostre forniture alimentari avrà come suo cardine i super-ipermercati della grande distribuzione possiamo “allegramente” ignorarlo. Le sorti di città e campagna, città e territorio sono state disgiunte nella coscienza comune. L’integrità dei suoli agricoli, dei fiumi che attraversano le città e i territori, dei mari lungo le città costiere, delle risorse che da sempre hanno assicurato la vita alle comunità che le abitano, l’attenzione, la capacità di cura e manutenzione sono venute meno nell’era della globalizzazione. Terra, fiumi e mari possono perdere la loro capacità di produrre beni essenziali per la comunità. Il disinteresse per l’integrità di terra, fiumi, aria e mare ha la sua origine nella perdita di relazione con essi, fattori vitali e produttivi primari. Tutto ciò accade a causa del fatto che i supermercati della globalizzazione sembrano garantirci una pericolosissima indipendenza dai destini degli ecosistemi locali.

Le attività economiche sono generalmente guidate dal proposito della massimizzazione del profitto. L’effetto collaterale è stata la perdita dell’impegno a ricreare ciclicamente le condizioni della riproduzione. Una economia predatoria che non a caso ha marginalizzato e reso impossibile la logica di cura e di attenzione alle condizioni del ritorno ciclico della vita.
Massimizzare i profitti, qui ed ora, a discapito dei presenti nonché delle generazioni future è l’imperativo dominante divenuto logica corrente; diktat cui risulta difficile sottrarsi anche quando una coscienza più antica ci avverte dei pericoli insiti in tali patologiche forme di comportamento. Oggi, però, in una larga percentuale dei settori produttivi i margini di profitto si sono enormemente assottigliati. La logica capitalista è perciò entrata fortemente in crisi causando una riconversione finanziaria di molta economia reale. Molti imprenditori hanno dismesso le loro attività reali per vestire i panni del trader finanziario inseguendo la logica ormai dominante che i soldi si facciano con i soldi come se dell’economia reale si potesse fare a meno perché non più profittevole.

La globalizzazione ha avuto campo libero grazie alla marginalizzazione dello Stato quale elemento di controllo e regolazione dell’interesse. Vari tipi di capitalismi si sono succeduti nel corso del tempo. Il capitalismo espansivo degli anni del dopo guerra è stato quello di gran lunga preferibile perché maggiormente in grado di produrre Bene Comune.
L’economia globalizzata certamente non fa bene alle persone, né agli ecosistemi del pianeta. Affidarsi solo alle esportazioni per ottenere un equilibrio economico, irraggiungibile in assenza di sovranità monetaria, costringe ad abbassare i costi di produzione al fine di risultare sempre più competitivi. Ne derivano deflazione salariale, deregolamentazione, impoverimento collettivo, degrado sociale e culturale, attacco allo stato sociale; in una parola svalutazione interna.

L’economia reale che domina nel mondo oggi è una economia di mercato capitalistica, neoliberista. La sua mutazione più recente, il capitalismo ultrafinanziario, si svolge sulla scala più ampia possibile, quella della globalizzazione neoliberista. In tale modello economico, produzione e consumi in generale, ma anche la soddisfazione dei nostri bisogni primari, diventano fonte di inquinamento, squilibrio ambientale e degrado sociale. La globalizzazione finanziaria, in nome di un mercato abusivo, quello del denaro, ha estremizzato questa patologia del sistema produttivo. L’acqua, il mare, la terra, la vita stessa, sono stati ridotti a merce, a proprietà esclusiva. I Beni Comuni legati alla riproduzione della vita, vengono depredati a discapito degli equilibri sociali e ambientali. I Servizi Pubblici, ove esistenti, subiscono un processo di rapida erosione e degrado prima di essere smantellati e affidati a gestione privatistica. Da strumenti efficaci per la ridistribuzione della ricchezza, l’esercizio della solidarietà sociale, luoghi di pratica attiva dei diritti democratici della Cittadinanza Attiva, vengono degradati a merci da acquistare sul mercato. I tagli a carico dei servizi pubblici sono stati effettuati nella logica del risparmio/austerity necessario a far fronte al debito malsano e del tutto evitabile, nei confronti di soggetti non residenti, risultato del sovvertimento della finanza pubblica che abbiamo subito con il cosiddetto divorzio tra Tesoro e banca d’Italia dell’81 e la successiva liberalizzazione della circolazione dei capitali (Delors, 85) a cui si è aggiunta successivamente la rinuncia alla nostra moneta nazionale con l’ingresso nell’euro.
E il lavoro, ridotto a occupazione, diventa una variabile di costo da minimizzare. I processi di flessibilizzazione, precarizzazione ed espulsione della forza lavoro, in atto da quasi un trentennio sono ora catalizzati dalla chiusura di interi settori dell’economia, a seguito della recente crisi sanitaria. A fallimenti ed esuberi, peraltro già in atto in era precovid, si sommano patologicamente tutti quei processi di automazione che rischiano di essere accelerati dal processo di digitalizzazione in corso di definizione e realizzazione nel caso in cui i piani finanziati dal Recovery Fund dovessero concretarsi.

Il lavoro che rimane è anche luogo di generazione di paradossi: se il mio scopo è conservare la possibilità di lavorare per avere un reddito allora può anche accadere, nella logica corrente, che un lavoratore stagionale addetto alla salvaguardia dagli incendi boschivi possa essere indotto ad appiccare egli stesso l’incendio (gli esempi in tal senso sono innumerevoli) al fine di procurarsi il lavoro che mancherebbe.
Nell’ambito dell’industria sanitaria si rivela “economico” adoperarsi affinché i malati siano curati ma non proprio del tutto, non in maniera definitiva. Una medicina, e una farmacologia non più prodotto della ricerca pubblica, non miranti alla prevenzione come era nel codice genetico del nostro sistema sanitario delle origini; ci si adatta a curare i sintomi piuttosto che a evitare la malattia. La medicina di precisione propone rimedi, che se sembrano risolvere nel breve termine, nel medio e lungo termine sono esse stesse causa di ulteriori e più gravi patologie. Le campagne vaccinali attualmente in atto non hanno valutato gli effetti avversi a medio e lungo termine; sono noti tuttavia, i tanti meccanismi del del danno da vaccino. La morbilità diffusa, che ne deriverà, garantirà un mercato a lunga scadenza per le case farmaceutiche.

Il farwest economico, ora dominante, non è strutturalmente in grado di rispondere ai bisogni più importanti e diffusi, di cura effettiva delle persone e più in generale del territorio. Quando va bene il lavoro in questi ambiti non risultando profittevole, semplicemente viene lasciato incompiuto, non svolto, a causa dell’impossibilità di conseguire profitti positivi, ad esempio relativamente a tutti quegli interventi necessari ad affrontare, ad esempio il dissesto idrogeologico del paese o la tutela e manutenzione valorizzante del patrimonio storico, artistico, culturale di cui il nostro Paese è ricco comportandone sostanzialmente la mancanza di tutela ed il sostanziale abbandono decretando il fallimento del modello neoliberista, non in grado di dare risposte ai bisogni di sicurezza ambientale. Quando va peggio interi pezzi del nostro patrimonio economico, naturale, culturale vengono ceduti, svenduti.

L’azione dell’impresa capitalistica è tesa alla massimizzazione del profitto
Il raggiungimento o meno di tale obiettivo ne decreta il successo o l’insuccesso.
Far soldi, più soldi possibile, a qualsiasi costo. Produrre significa produrre profitti. La radice del Male Comune è individuabile proprio in questa tensione che orienta le scelte delle imprese. Far soldi, più soldi possibile è l’imperativo “economico” prevalente, incarnato ai suoi massimi livelli nelle imprese finanziarie speculative. Un sistema disposto a tutto pur di spravvivere (2).
Massimizzare il profitto ad ogni costo è diventata, dunque, la parola d’ordine a discapito della socialità, dell’etica, delle condizioni che rendono possibile la continuità, persino della della produzione di merci e servizi e della stessa riproduzione sociale.
Un tale sistema, incarnato dalle grandi corporations che operano a livello sovranazionale, ha messo in moto enormi effetti a retroazione positiva in cui i fattori peggiorativi risultano la causa di ulteriori effetti negativi, in circoli viziosi che non possono che portare a collassi in varie forme. Concentrazione della proprietà, della ricchezza e del potere, nelle mani di pochi. Sottrazione dell’esercizio del potere e della ricchezza ai più, depauperamento delle risorse del pianeta, distruzione degli ecosistemi naturali; ne deriva la marginalizzazione dell’agire solidale e altruista, la capacità di collaborare al comune ben vivere.

Al Bene Comune
Della via italiana, fondata su imprese pubbliche e private, partecipazioni statali e banche pubbliche, è rimasto ben poco. Le micro e piccole imprese, che oggi costituiscono il 99% dell’economia italiana, risultano ancora più apertamente in crisi e sotto attacco nel nuovo scenario pandemico.
Su 4 milioni e mezzo di aziende ben 4 milioni hanno bilanci finanziari talmente esigui da non giustificarne la permanenza nell’economia reale. La crisi sanitaria ha peggiorato enormente la loro condizione economica. Ne sta letteralmente avvelenando il terreno di coltura secondo i programmi che ricercano e praticano quella “distruzione creatrice” decantata dal gruppo dei trenta (G30) di cui il nostro premier è protagonista e portavoce.
Indipendentemente dai voleri del G30, la logica corrente, vorrebbe che quelle, tra tali aziende, che dovessero resistere evitando il fallimento, dovrebbero comunque chiudere, vendere ed investire finanziariamente il ricavato e questo perché la redditività conseguita è sempre più esigua e spesso negativa; i titolari di queste aziende, però resistono, al di là di ogni aspettativa. Sembrano preferire, come ha spesso fatto notare Nino Galloni, la gestione di risorse reali, lsalvaguardare il sistema delle proprie relazioni, conservare dignità ed identità legate al ruolo socialmente riconosciuto, alla tradizione e all’identità storica dell’azienda nel contesto sociale e culturale che l’ha generata. Resistono alla violenza con cui il nuovo ordine economico, nelle vesti di grandi corporations, grandi banche d’affari, vorrebbe sostituirle qualora cedessero definitivamente alla crisi oggi potentemente catalizzata dalle chiusure coatte e dalle restrizioni mirate propriamente a demolire la tenace ostinazione che le tiene ancora in piedi, che fa sì che esse resistano malgrado abbiano tutto contro, dal produrre in un paese che vuole esportare con un cambio costantemente sopravvalutato, dalla fiscalità giunta a livelli intollerabili, al mancato supporto dello Stato in tutti i termini in cui quest’ultimo dovrebbe concretarsi. Malgrado ciò, queste aziende sembrano indicare un nuovo modello economico nel quale il movente principale non è più la massimizzazione del profitto. Naturalmente, prima che esse cedano del tutto e irreversibilmente vanno create le condizioni perché tale capacità di sopravvivenza possa infine superare la situazione contingente aprendo una nuova stagione allo sviluppo delle piccole economie su scala locale, regionale, nazionale che fosse in grado di rispondere primariamente ai bisogni interni del Paese.

Baratto moderno ed Economia del bene comune
Aspettando che si creino nel Paese quelle condizioni politiche che possano portare al governo una maggioranza che avesse finalmente, al primo posto della sua agenda economica, il proposito di mettere in atto il Piano di Salvezza Nazionale, sono due le strategie che è possibile intrecciare per rispondere alla sfida attuale. La sperimentazione di reti di mutuo credito che pratichino una economia di scambio multilaterale in compensazione, sperimentante la moneta quale semplice unità di misura del valore scambiato (ne abbiamo scritto qui), insieme alla incentivazione da parte delle imprese dell’economia reale della produzione di bene comune secondo i criteri propri del movimento dell’economia del bene comune.

I principi necessari per un mondo autenticamente sostenibile rientrano in tre categorie:

1. Sovranità popolare democratica. Giustizia sociale ed economica;
2. Democrazia, nonviolenza e pace;
3. Economia quale risposta ai bisogni interni. Sostituzione delle importazioni là dove possibile. Rispetto e cura per l’intera comunità dei viventi;

I nostri costituenti, con alle spalle due conflitti mondiali, si sono adoperati per stabilire le regole che dovevano impedirci di ricadere nella trappola liberista. Il mercato, lasciato a se stesso, è uno sregolatore che rende i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. La massimizzazione del profitto, sua regola aurea, lo rende del tutto inadatto a provvedere alla cura della salute e dell’ambiente.

L’art. 41 rappresenta il cuore di questa consapevolezza:
L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale
o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica, pubblica e privata, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

La sviluppo dell’economia italiana si è potuto svolgere, sino a tutti gli anni 70, nel segno del principio lavoristico, il lavoro che costituisce il valore centrale dell’ordinamento costituzionale fondante il criterio guida della politica nazionale, che deve essere, perciò, indirizzata verso la massima occupazione e nel rispetto di questa norma fondamentale grazie all’esercizio della sovranità popolare democratica.
Oggi, più che mai è necessario riaffermarlo.

è necessario tendere a cambiamenti di portata strutturale che sintetizzo qui:

  1. al mercato (valore di scambio) vanno progressivamente sostituite circuiti se non reti di relazioni economiche (valore della condivisione);
  2. proprietà ridistribuita e accesso garantito alla terra;
  3. all’interesse personale, tradizionalmente legato al profitto individuale, un interesse collaborativo verso la produzione di Bene Comune;
  4. l’idea stessa di successo quale conseguimento di super ricchezza personale va sostituita con l’ideale semplice di una alta qualità di vita sostenibile e condivisa.
  5. incoraggiamento dell’attività contemplativa umana.

L’economia del Bene Comune
La struttura dell’Economia del Bene Comune è pensata e costruita in modo tale da perseguire e concretare sistematicamente i principi sopra esposti. Uno sviluppo economico incentivante la comune corresponsabilità. Manca però, nell’analisi dei loro promotori, il ruolo e la funzione dell’indispensabile sovranità monetaria (vedi il già citato Piano di Salvezza Nazionale) condizione necessaria per la affermazione di tutti i modelli economici miranti a mobilitare la forza delle imprese verso la produzione permanente di Bene Comune.

Non nella sola Costituzione italiana il bene comune è obiettivo costituzionalmente garantito. Christian Felber (3), fondatore del movimento dell’EBC, cita la Costituzione bavarese che recita: “L’intera attività economica serve il bene comune” e quella tedesca: “La proprietà impone degli obblighi. Il suo uso deve al tempo stesso servire al bene della collettività”.

La Costituzione Boliviana all’art. 385 sulle aree protette afferma:

Articolo 385.
I. Le aree protette costituiscono un bene comune e formano parte del patrimonio naturale e culturale del paese; svolgono funzioni ambientali, culturali, sociali ed economiche per lo sviluppo sostenibile.

II. Nei casi di sovrapposizione fra aree protette e territori indigeni originari contadini, la gestione condivisa avverrà secondo norme e procedure tipiche di nazioni e popoli indigeni originari contadini, rispettando l’obiettivo della creazione di queste aree.

Come incentivare le aziende a comportarsi bene
in modo che la società riceva un vantaggio dai comportamenti virtuosi delle aziende e le premi in proporzione al bene comune che sono in grado di produrre?
E’ questo il problema che si pone il movimento per l’Economia del Bene Comune (EBC ) , un movimento che, in prima istanza, è stato soprattutto un movimento di imprese.

Il suo obiettivo principale è sintetizzabile nel proposito di rendere competitive le merci e i servizi orientati alla massimizzazione del bene comune. Esso mira a costruire un sistema di relazioni fra aziende, cittadini e pubblica amministrazione che si propone di ridirigere la grande forza, propria dell’efficienza e dell’organizzazione aziendale, verso la costruzione di bene comune. Studia, a tal fine, e sperimenta le condizioni che permettono ai propri prodotti di qualità eco-sociale di risultare più convenienti sul mercato rispetto alla produzione ottenuta a basso costo schiavizzando i lavoratori, non preoccupandosi di evitare inquinamento e diffusione di malattie come è accaduto, in special modo, a partire dalla seconda metà degli anni ’80 quando hanno cominciato ad affermarsi le condizioni economiche che hanno reso possibile la riaffermazione del liberismo e la globalizzazione economica.

L’EBC definisce un sistema economico alternativo, basato sulla cooperazione all’interno di reti di imprese, professionisti, enti pubblici e cittadini fondato sui valori che sostengono il bene comune. L’economia del bene comune rappresenta una leva e uno strumento per il cambiamento in ambito economico, politico e sociale – la riaffermazione di una economia che, in piena sintonia con la Costituzione, sviluppi e produca valore per la comunità.

Come funziona la EBC ?
Il bilancio del Bene Comune
Per sviluppare e produrre valore per la comunità, è importante definire i comportamenti virtuosi delle aziende e delle amministrazioni inducendole a operare, se possibile, anche al di sopra degli standard minimi di legge. A questo scopo è necessario misurare e monitorare, in modo efficace, i loro comportamenti e i risultati delle loro scelte operative al fine di incoraggiare concretamente comportamenti virtuosi premiando le aziende in proporzione alla loro capacità di produrre Bene Comune e disincentivandone, allo stesso tempo, i comportamenti negativi.
In pratica, si tratta di utilizzare uno strumento di misura che riesca a stabilire quale sia lo stato dell’azienda nel suo continuo percorso di miglioramento verso l’accrescimento della produzione di bene comune.
La misura della capacità dell’azienda di generare bene comune, si effettua attraverso una analisi rigorosa di bilancio della qualità e della virtuosità dell’azienda. Lo strumento atto a misurare e monitorare l’operato e le scelte delle aziende e delle amministrazioni è il bilancio del bene comune (BBC).
Insieme al tradizionale bilancio finanziario (entrate – uscite), le aziende aderenti al circuito dell’EBC, compilano il bilancio del bene comune che consiste, nella misura del valore prodotto dall’azienda verso i suoi portatori di interesse. I valori misurati sono quattro:

Dignità dell’essere umano; Solidarietà e giustizia; Ecosostenibilità;
Cogestione trasparente e democratica.

La loro declinazione nei confronti dei portatori di interesse delle aziende:

Fornitori;
Finanziatori;
Dipendenti/titolari;
Clienti/prodotti/servizi/aziende partner;
Contesto sociale: territorio, popolazioni, generazioni future, società civile, concittadini e natura.

dà luogo ad una matrice del bene comune (vedi figura).
Si noti, che ad ognuno dei 20 indicatori (ogni elemento della matrice è definita dall’intersezione di uno dei 4 valori costituzionali con uno dei 5 portatori di interesse indicati) è associato un punteggio massimo conseguibile dall’azienda.

MATRICE DEL BENE COMUNE
A seguire, la matrice in versione semplificata, attualmente in corso di sperimentazione tra le imprese della rete nella quale si possono leggere i 20 indicatori utilizzati:

Descrizioni dettagliate degli indicatori si trovano nel “Manuale del bilancio del bene comune” presente sul sito www.economia-del-bene-comune.it

Ogni azienda può raggiungere un massimo di 1000 “punti del bene comune”. Più democratico, trasparente, ecologico, umanamente orientato, collaborativo e solidale risulterà il comportamento di una azienda, più alta risulterà la sua produzione di bene comune e maggiori saranno gli incentivi e i vantaggi legali di cui la azienda potrà godere. Vantaggi legali consistenti in incentivi fiscali, selezione preferenziale nelle gare d’appalto pubbliche, crescita del capitale reputazionale dell’azienda, possibilità di usufruire di servizi di varia natura finalizzati al circuito di imprese del BC messe a disposizione dalle amministrazioni pubbliche come ad esempio un servizio di camere di compensazione per la messa in attività di circuiti di credito commerciale atti ad agevolare lo scambio tra le imprese del circuito utilizzando opportune unità di conto come nel caso del WIR o del Sardex. Altri vantaggi sono rappresentati dalla collaborazione con enti di ricerca pubblici e sostegni diretti in diverse forme) in misura proporzionale al punteggio del BC ottenuto. Il processo messo in atto dall’economia del bene comune incoraggia concretamente le aziende che ne fanno parte a divenire sempre più virtuose lavorando alla crescita dei valori connessi al bene comune stesso ed in piena sintonia coi valori espressi nella Costituzione.

I vantaggi legali e di rete, che le aziende del circuito ne ricaveranno, permetteranno loro di risultare finalmente competitive con le aziende più tradizionali che compilano solamente il bilancio finanziario, generalmente attente a massimizzare esclusivamente i loro profitti.

Grazie a questo sistema, le aziende più virtuose riusciranno a piazzare prodotti e servizi di qualità a prezzi concorrenziali e, al tempo stesso, tenderanno a massimizzare la produzione di bene comune. Superata, infatti, una soglia critica di partecipazione di aziende, cittadini (consumo critico agevolato anche dalla convenienza dell’acquisto) e amministrazioni operanti ai diversi livelli, le aziende che si ostinassero a continuare a operare nella vecchia logica della massimizzazione del profitto, non potendo godere dei vantaggi di sistema propri della rete dell’EBC, si troverebbero a offrire al mercato prodotti scadenti a prezzi più alti! L’EBC vuole monitorare e misurare la qualità della crescita nonché giungere a una distribuzione equa dei suoi benefici.

Ogni azienda dell’EBC si pone domande del tipo: quanto è ecologica la mia produzione? come vengono distribuiti i profitti dell’azienda? Quali sono e come posso migliorare le condizioni di lavoro nell’azienda? le donne vengono pagate e trattate come gli uomini? e i lavoratori stranieri? Con chi condividiamo il profitto? Quale è la differenza massima ammissibile tra i compensi di chi guadagna meno e chi di più, pur contribuendo, entrambi, alle sorti della stessa azienda?197 Con quale livello di democrazia vengono prese le decisioni che riguardano l’azienda? Come viene condivisa la responsabilità delle decisioni assunte? Quanto sono utili ed ecologici i prodotti/servizi delle aziende? Quale livello di ecosostenibilità è raggiunto da produzione e distribuzione?

Il comportamento e le scelte di un’impresa si ripercuotono sui suoi dipendenti (i lavoratori partecipano degli utili dell’azienda perché contribuiscono al suo successo), sui clienti, sull’ambiente del territorio che ospita l’azienda, ma anche sui fornitori delle aziende e, in ultima analisi, anche sulle generazioni future. La relazione con tali “portatori di interessi” delle aziende della rete dell’EBC è caratterizzata dalla ricerca continua di massimizzare e perfezionare, nella pratica della gestione aziendale, quei valori centrali costituzionali che compongono il bene comune: la dignità umana, la solidarietà, la ecosostenibilità, l’equità sociale e la democrazia.

Il denaro che entra ed esce dall’azienda, misurato nei suoi flussi dal bilancio finanziario sarà solo un mezzo per l’attività economica e ridotto al solo ruolo di servizio per quest’ultima. La strategia aziendale non mirerà alla massimizzazione del profitto ma a quella della produzione di Bene Comune. Un’economia di questo tipo, infatti, non ammette redditi da mera speculazione, valorizza il lavoro, non la sua schiavizzazione. È necessario, per arrivare a questo traguardo, restituire al lavoro tutto il suo valore di strumento per il Bene Comune. Cosa ha senso produrre? Come e per chi? Queste domande devono riacquisire il loro senso originario. Il lavoro non può e non deve rappresentare solo una variabile di costo della produzione da minimizzare per massimizzare i profitti. L’ideale sarebbero aziende di proprietà dei loro lavoratori.

Gli standard minimi di legge socio-ambientali che la produzione deve rispettare risultano anche drammaticamente diversi da paese a paese. Nel sistema della globalizzazione le merci “vincono” sul mercato semplicemente perché costano meno; nel linguaggio dominante oggi, diciamo che risultano più competitive rispetto a quelle prodotte nel rispetto dei valori di eco-sostenibilità, eticità, solidarietà sociale ecc. Queste ultime, infatti, che non riescono ad affermare né loro stesse, né la modalità virtuosa che le genera nella competizione di mercato.

L’EBC può contribuire a disinnescare anche culturalmente il credo capitalistico-neoliberista e rallentare sempre più quei processi di globalizzazione che hanno generato una plutocrazia sempre più potente la quale usa la propria potenza per cambiare le regole a proprio favore innescando un circolo vizioso che non fa che accrescere la disuguaglianza sociale e la concentrazione di ricchezza e proprietà nelle mani di pochissimi a discapito di tutti gli altri.

È comunque importante ribadire che privi di sovranità monetaria, con cambi fissi, politiche di austerity, imposizione della parità di bilancio, libera circolazione dei flussi finanziari nessuna economia del bene comune potrà affermarsi.
Appare, quindi, indispensabile promuovere i comportamenti virtuosi diretti ad un innalzamento misurabile della qualità della loro produzione finalizzata alla generazione di Bene Comune, tramite politiche di incentivi fiscali e vantaggi di rete per superare la grande contraddizione tra le esigenze dell’ambiente e quelle della produzione, propria del modello economico dominante in cui le leggi sull’ambiente, quando esistono e sono fatte osservare, sono considerate scomode. L’EBC vuole essere una modalità sistemica di incentivazione di comportamenti virtuosi da parte delle aziende.

Dal ProdottoInternoLordo al ProdottoBeneComune
Scuole e ospedali sono servizi pubblici e non possono avere come scopo il lucro. Allo stesso modo le banche devono tornare ad essere servizi pubblici che non possono avere come unico obiettivo il profitto. I soldi dovrebbero servire e non essere il fine ultimo, del fare impresa. All’EBC sono necessarie banche pubbliche democratiche organizzate e gestite per servire le imprese afferenti. Il loro obiettivo di fondo è quello di massimizzare il bene comune al posto dei profitti, abbandonando il meccanismo usuraio degli interessi e del falso in bilancio nei processi di creazione della moneta bancaria.

Il credito sarà agevolato alle condizioni più vantaggiose alle aziende che rispettano i criteri di bilancio etico stabiliti nell’Economia del bene comune.
Si può pensare a banche pubbliche democratiche gestite con la partecipazione di imprenditori, membri di associazioni di promozione sociale, cittadini risparmiatori, ecc.. Le imprese che chiederanno un prestito potranno riceverlo a tasso tanto più agevolato tanto più alto sarà il loro punteggio del bene comune fino al limite della concessione di prestiti a interesse negativo per le imprese più virtuose.

Come è noto il costo del denaro viene inglobato nel prezzo di merci e servizi come costo finanziario di produzione. Alti tassi di interesse finiscono per destabilizzare le economie drenando ricchezza alla società, spiazzando il lavoro e l’economia reale.
Alle banche democratiche nel modello dell’EBC si potranno affiancare i servizi propri dei circuiti di credito commerciale che compensano direttamente gli acquisti con le vendite in compensazione multilaterale minimizzando la necessità di ricorrere ai servizi di credito bancario.

Al PIL si potrebbe definire ed affiancare, sulla scia del BES (Benessere Equo Sostenibile), il Prodotto del Bene Comune (PBC) che si misurerebbe con scadenza annuale. In questo modo potremmo valutare direttamente i progressi e i contributi del sistema delle imprese giungendo ad una correlazione diretta tra la diminuzione della povertà, l’abbattimento della disoccupazione, l’equilibrio ecologico e l’aumento del PBC.
Laddove per Latouche e altri l’obiettivo è la decrescita, per l’EBC è il bene comune. Il modello dell’EBC è, diversamente dai modelli per la decrescita (4), dotato di uno strumento importante per raggiungere il proprio obiettivo: il bilancio del bene comune.

A. Galloni conclude il suo “L’ Economia Imperfetta” Novecento Editore con le parole:

” Tuttavia, qui, si sono delineate prospettive di superamento della contraddizione tra forze produttive ed organizzazione sociale; ciò significa individuare gli ambiti culturali entro i quali una determinata comunità si riconosce, si dà delle regole condivise, adotta uno o più monete accettate, massimizza le produzioni (quindi raggiunge e mantiene la piena occupazione), si esprime secondo le proprie capacità ed in base alla propria storia, alla propria deriva culturale. Ciò non impedisce, evidentemente, né di progredire, né di aprirsi a contributi provenienti dall’esterno, purché finalizzati al bene comune che la politica deve contribuire a identificare.”

Il movimento per la Economia del Bene Comune ha radici nella economia civile del Settecento rappresentata da Antonio Genovesi, Giacinto Dragonetti, Cesare Beccaria, Pietro Verri, Giandomenico Romagnosi; tutti accomunati dal pensare che il fine del profitto di per sé non è costitutivo dell’economia di mercato. La costante che ricorre in tutte le loro opere è che le attività di mercato vanno orientate al bene comune, dal quale traggono scopo e giustificazione. La prima trattazione della nozione di bene comune è il De bono communi (1302) del domenicano fiorentino Remigio de’ Girolami secondo cui: non si dà il bene della parte senza il bene del tutto in cui la parte è inserita ovvero senza l’orientamento al bene comune, la società si distrugge e con essa i singoli individui.

Dall’economia del bene comune all’economia per il bene comune
L’ambizione dell’EBC è la sperimentazione di un modello economico che vuole arruolare la grande efficienza delle aziende private alla produzione del benessere di tutti (obiettivo della società e dell’economia ); quello che conta, in questo sistema, è la soddisfazione dei bisogni di base e dei valori immateriali che diverranno nella logica dell’EBC il vero scopo dell’attività economica. In altre parole, lo scopo primario dell’economia è la risposta ai bisogni interni del Paese nel segno della massimizzazione del bene comune prodotto. L’ideale sarebbero aziende di proprietà dei loro lavoratori come già accade in molte micro imprese artigianali.
Baratto multilaterale in compensazione, come implementato nelle reti di mutuo credito ed Economia del Bene Comune sono perfettamente e virtuosamente integrabili. Questo processo di integrazione è auspicabile sia per le reti di mutuo credito già consolidate che per quelle allo stato nascente, in corso di strutturazione/costruzione come nel caso di Barterfly Foundation. La proposta è di ricercarne le modalità più opportune.
A livello nazionale solo il Piano di Salvezza Nazionale può costituire il giusto e necessario contesto per lo sviluppo della sperimentazione estesa della rete economica del bene comune.

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