Se manca la politica informare non basta

Un nuovo giornalismo deve stimolare la politica alternativa

Immagine tratta da Museo della Stampa di Lodi

di Massimo Franceschini

Nel precedente articolo provavo, anche se in forma del tutto sintetica, a delineare «ruolo, prospettive e metodologie che un’informazione indipendente potrebbe e dovrebbe adottare per distinguersi dal mainstream

ed evitare di essere risucchiata dal suo potere attrattivo e corruttivo, anche da un punto di vista tecnico-espressivo». Ora cerchiamo di capire meglio, sepossibile, quale senso dare al mestiere di scrivere del presente in maniera onesta e creativa, catapultato nel sistema mediatico dei nostri tempi: caotico da una parte, per la molteplicità delle fonti e la sostanziale svalutazione delle professionalità, assolutamente stringente al “pensiero unico” dall’altra. Allora, partiamo di nuovo da un passaggio del precedente articolo, per vedere come svilupparne il concetto: «Se il giornalista indipendente vuole essere efficace nel suo lavoro, deve quindi farsi anche un po’ “politico”, sia nella scelta dell’inquadratura come nella sceneggiatura, partendo però da una ben precisa scelta nel soggetto». Ecco quindi, a mio parere, il focus necessario: chi scrive nell’ambito indipendente deve necessariamente sfruttare le evidenti libertà concessegli per non consumarle rovinosamente, cosa che può accadere in vari modi. Alle normali “prescrizioni” tecnico-espressive necessarie a scrivere dei buoni articoli, possibilmente da virare in maniera creativa e personale, l’autore indipendente deve aggiungerne altre dato che,

verosimilmente, ancora non gode di una platea di lettori così vasta da fornirgli un’automatica autorevolezza. Deve quindi farsi non solo portavoce di dati e posizioni argomentate, necessariamente sostenute da evidenze

documentali e bibliografiche, ma cercare di fornire al lettore qualcosa in più, anche considerando di aver a che fare con soggetti potenzialmente aperti culturalmente e mentalmente, spesso assai informati. Ebbene, come

individuare il necessario “quid” in più? Cosa il suo pubblico ancora “non sa”?

In definitiva, cosa intendo quando affermo che il giornalista indipendente dovrebbe farsi “un po’ politico”? Credo che la risposta debba essere, necessariamente, nel punto in cui si deve capire il reale significato della

parola “servizio”, adattandolo alle esigenze del momento attuale: non solo dobbiamo rifiutare l’approccio tendenzialmente deviante del mainstream, capace di ridurre tutto a polemica divisiva, show ed intrattenimento, ma prenderci la responsabilità di “indicare”. Andiamo con ordine, cercando quindi di capire dove e come il giornalista debba sentirsi autorizzato a farsi “politico”, nel suo percorso espressivo. Intanto non dovrebbe illustrare solo problemi, ma appunto indicarne le cause, quando non evidenti, insieme alle possibili risposte, quindi non esimendosi di farsi propositivo. Occorre certamente andare oltre alla spiegazione del perché le “risposte” del “sistema” possano risultare errate, insufficienti, mal poste, quando addirittura non determinate da un “problema” del tutto falsato in ogni suo aspetto e proporzione… (ogni riferimento al presente è puramente voluto). Cosa vuol dire quindi essere “propositivi”? Che il giornalista deve pretendere di avere

conoscenze che non ha o farsi attivista, darsi da fare per costruire movimenti politici? No di certo, a meno di una precisa volontà individuale. Essere propositivi e “politici” da un punto di vista giornalistico potrebbe significare,

più semplicemente, riuscire a guardare la realtà e le sue dinamiche denunciandone proprio l’evidente, drammatica, mancanza di politica. E qui si dovrebbe essere spietati, perché nel Parlamento la politica ha da un pezzo lasciato il campo all’esecuzione di protocolli tecnocratici globali, mentre nelle piazze, fisiche e virtuali, generalmente non si parla di come farla! La verità è che la politica sembra essere accuratamente “evitata”, anche se abbondano momenti in cui si cerca di organizzare studi, informazione, aiuto reciproco, al limite denunce legali: purtroppo non si va oltre ad appelli alla “resilienza”, al sostegno comunitario, all’unione “spirituale”, con la certezza quasi fideistica che il “sistema” starebbe per cedere. Addirittura, abbiamo derive argomentative di fatto “prostrate” ad un’apparente incomunicabilità: fra chi pensa di essere più “evoluto” di una maggioranza che sarebbe, ormai, irrimediabilmente vittima del “male” e della mancanza di “empatia”. E qui, mentre informa e racconta ai suoi lettori, il giornalista indipendente dovrebbe porre delle semplici domande, proprio agli “attivisti emotivi”, agli attori di studi, proteste e manifestazioni: qual è la vostra POLITICA? Cosa state realmente costruendo per il PAESE? Come riuscirete ad entrare nelle ISTITUZIONI? Se il “quarto potere” non sorveglia più la democrazia, alle parole dobbiamo dare un’anima.

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