La fine del nucleare in Germania

L'Unione europea, stabilirà i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile

L'Europa muove una montagna di soldi per il nucleare

di Giorgio Ferrari

Fra un anno esatto a partire da oggi la Germania metterà fuori servizio gli ultimi tre reattori nucleari ancora in funzione: Isar 2, Emsland e Neckarwestheim 2, ma già da questo 31 dicembre 2021 saranno spenti quelli di Gundremmingen C, Grohnde e Brokdorf. Per la gran parte dell’opinione pubblica è probabile che questi nomi non stiano ad indicare niente di più che dei punti su una carta geografica, piccole località come tante altre in Europa a cui è toccato in sorte di ospitare un impianto nucleare; ma per quelli che hanno la mia età e che nei primi anni settanta si battevano contro il nucleare, i nomi di Grohnde e Brokdorf richiamano momenti indimenticabili. Dopo la crisi petrolifera del 1973 in numerosi paesi europei furono avviati consistenti programmi nucleari tra questi la Germania che nell’arco di 14 anni ne mise in funzione circa 20. L’opposizione a questi progetti fu immediata registrando un primo successo a Wyhl, al confine sud occidentale con la Francia, dove si voleva costruire una centrale da 1300 Mwe. A partire dal febbraio 1975 il cantiere fu ripetutamente occupato dai manifestanti fino a che nel marzo dello stesso anno il tribunale amministrativo del Baden Wurttemberg annullò la licenza di costruzione e successivamente il presidente del landle (regione) Filbinger mise fine definitivamente al progetto. Il successo di questa iniziativa diede un impulso fortissimo al nascente movimento antinucleare tedesco e quando nel 1976 si aprirono i cantieri delle centrali di Grohnde e Brokdorf la mobilitazione fu immediata e continuò per molti anni specie nei confronti di Brokdorf (vedi scheda) che oggi, dopo 35 anni di funzionamento (entrò in produzione solo nel 1986 a causa delle proteste) viene messa fuori servizio non per motivi tecnici, ma per una decisione politica figlia delle lotte antinucleari.

L’abbandono definitivo del nucleare in Germania (che si concluderà nel 2022) va quindi interpretato come il compimento di un percorso durato oltre 45 anni durante i quali le motivazioni dell’opposizione al nucleare hanno investito il parlamento tedesco con alterne vicende.

Nelle elezioni del 1998 infatti il governo conservatore di Kohl fu sconfitto, mentre il partito dei Grunen (Verdi) capitalizzò con successo l’eredità del movimento antinucleare arrivando a formare un governo di coalizione insieme ai socialdemocratici che stipulò un vero e proprio contratto con le utilities nucleari (RWE, E.ON, EnBW e Vattenfall): le centrali nucleari non sarebbero state chiuse prima del trentaduesimo anno di servizio (data ultima 2022) e il governo avrebbe sovvenzionato con tariffe agevolate gli investimenti delle utilities nel settore delle rinnovabili (Erneuerbare Energien Gesetz – EEG , Legge sulle energie rinnovabili).1 Questa scelta fu criticata dalla CDU e dalla stessa Angela Merkel che, infatti nel 2010, una volta tornata al governo estese il periodo di funzionamento delle centrali nucleari di 8 anni per sette di queste e di 14 anni per tutte le altte. Ma nel 2011, dopo l’incidente di Fukushima, annullò questa sua decisione mettendo fuori servizio i reattori più vecchi per tre mesi, prima di proporre di chiuderli definitivamente e di eliminare gradualmente il funzionamento dei restanti nove impianti entro il 2022.

Il patto con le utilities nucleari tuttavia, lasciava aperta la questione del decommissioning delle centrali e della sistemazione dei rifiuti nucleari, tema questo che aveva provocato una vasta contestazione del movimento antinucleare già alla fine degli anni ‘70 dopo che il governo in carica aveva deciso di costruire un deposito geologico a Gorleben.2 La chiusura del contenzioso fu affidata ad una nuova legge dove venivano riconosciuti agli operatori delle centrali indennizzi per il mancato guadagno derivante dalla chiusura anticipata in cambio della garanzia che le società elettriche sostenessero i costi del decommissioning e finanziassero parzialmente le spese per il trattamento dei rifiuti radioattivi e la loro sistemazione definitiva, che invece restavano a carico del governo. Tali indennizzi sono stati dichiarati incostituzionali nel novembre 2020 da una sentenza della corte suprema federale e quindi la legge deve essere rivista.

Nonostante questi incidenti di percorso, la transizione dal nucleare alle rinnovabili può dirsi sostanzialmente riuscita tanto è vero che queste sono passate dal 6% del 2000 al 46% del 2020, anno in cui il nucleare rappresentava appena l’11% della produzione nazionale di elettricità, essendo il resto (circa il 48%) ottenuto da carbone, lignite e gas naturale, cosa che non ha permesso alla Germania di centrare gli obiettivi di abbattimento delle emissioni fissati per il 2020, tanto da costringere il governo di Angela Merkel a programmare una graduale messa fuori servizio delle centrali a carbone per il 2038, termine che il nuovo governo in carica vorrebbe anticipare al 2030.

Qui si aprono alcuni interrogativi sulle modalità con cui i diversi governi succedutisi dal 1998 ad oggi, hanno gestito il processo di transizione. Innanzitutto viene da chiedersi perché, invece di chiudere subito con il nucleare non si sia scelto di chiudere prima carbone e lignite che sono enormemente più inquinanti dal punto di vista delle emissioni. La risposta è duplice, in parte tecnica ma in larga parte politica: dal punto di vista tecnico l’apporto alla produzione di elettricità del nucleare è stato, storicamente, dell’ordine del 20% mentre quello delle centrali a carbone è stato circa il doppio, inoltre ai fini della gestione della rete elettrica le centrali a carbone risultano più rispondenti alle variazioni di carico, aspetto decisamente importante in una rete che, come quella tedesca, è abbondantemente alimentata da fonti rinnovabili che sono affette da una certa instabilità. Dal punto di vista politico invece bisogna tener conto sia dei riflessi sull’occupazione e sull’economia generale che avrebbe avuto una fuoriuscita dal carbone, sia del fatto che i Grunen non potevano permettersi, una volta giunti al governo, di ignorare le aspettative di quel popolo antinucleare che li aveva votati. Il governo rosso-verde del 1998, memore anche dell’esperienza inglese degli anni ‘80, quando Margareth Tatcher chiuse le miniere di carbone mettendo sul lastrico milioni di famiglie con non poche ripercussioni sull’economia nazionale, ha ritenuto opportuno non innescare un conflitto sociale con i lavoratori del settore carbonifero e della lignite di cui le centrali a carbone sono il maggior consumatore, stipulando, nel contempo, un patto con il settore nucleare per una fuoriuscita soft da questa tecnologia. La controindicazione a questa scelta sta nel fatto che le emissioni della produzione elettrica tedesca non sono al livello che ci si aspetterebbe da un sistema elettrico che su circa 223.000 Mw di potenza installata, il 61% è rappresentato da energie rinnovabili e questo perché il 36% è ancora prodotto da fonti fossili in cui sono preponderanti carbone e lignite. Qui si innesta un altro interrogativo che rimanda alla futura gestione della rete elettrica tedesca che risulta sbilanciata in quanto il grosso della produzione eolica (28% del totale) è concentrato al nord e ancora di più lo sarà in futuro, cosa che crea problemi di trasmissione dell’energia verso il sud del paese (le perdite di carico aumentano con la distanza) ed anche di stabilità in frequenza, nel caso in cui venissero azzerate del tutto le centrali a combustibili fossili.3

Questa ultima considerazione ci rimanda all’oggi, ovvero al confronto piuttosto teso che si sta svolgendo a Bruxelles sulla tassonomia da adottare in sede europea per quanto riguarda le fonti di energia in particolare nucleare e gas naturale.4 Francia e Germania, in questo caso, si trovano su posizioni contrapposte per quanto riguarda il nucleare: la Francia a favore, la Germania contro, ma entrambe hanno bisogno – anche se non lo dicono apertamente – del gas naturale almeno per una fase transitoria da qui al 2050. Alla Francia occorre un pò di gas naturale per fare fronte ai picchi di potenza rapidi che le nucleari non possono seguire, mentre alla Germania, se vorrà azzerare carbone e lignite nel 2030, occorre una quota di gas per fargli fare la stessa funzione regolatrice e di supporto che attualmente assolvono le centrali a carbone.

E’ probabile che si arrivi ad un compromesso, includendo nella tassonomia UE nucleare e gas naturale come “attività transitorie”, magari con qualche penalizzazione per quanto riguarda il gas, perché, nonostante i buoni propositi, nonostante la retorica che accompagna le dichiarazioni dei governi sui cambiamenti climatici, anche questa volta vincerà la “realpolitik” che, non a caso, è nata in Germania ai tempi di Bismarck, il “Cancelliere di ferro”.

1Il patto prevedeva di assegnare a ciascun impianto una quantità di elettricità che poteva produrre prima di dover essere spento. Poiché la produzione di energia nucleare può variare, il piano non ha fissato una data esatta per la chiusura definitiva di ogni singolo impianto, ma in teoria l’ultima avrebbe dovuto chiudere nel 2022.

Si stabilì inoltre che non ci sarebbero state nuove costruzioni di impianti nucleari. L’accordo è diventato legge nel 2002 (Atomgesetz). La Legge sulle energie rinnovabili, EE, è entrata in vigore nel 2000 e garantiva a tutti i produttori di energia rinnovabile un prezzo fisso superiore a quello di mercato (tariffa incentivante) per 20 anni, nonché la priorità di dispacciamento per le rinnovabili. Successivamente la riforma del 2017 del EEG ha sostituito questo sistema con le aste per gli impianti più grandi, in cui gli operatori fanno un’offerta per una quota della capacità rinnovabile pianificata ma sempre con tariffa minima garantita per 20 anni (25 anni per l’eolico offshore).

2Le numerose manifestazioni di protesta indussero il governo ad annullare questa decisione optando per depositi temporanei ubicati all’interno dell’area delle centrali nucleari.

3 Eolico e solare costituiscono un sensibile fattore di disturbo che deve essere compensato da altri impianti di generazione che, grazie alla loro massa rotante costituita dai turbogeneratori, consentono di tenere sotto controllo la rete, specie per quanto riguarda la frequenza che non può oscillare più del 1% (50 Hertz ± 0,5). Tipicamente gli impianti più adatti a queste funzioni sono quelli termoelettrici tradizionali funzionanti a combustibili fossili; quelli idroelettrici con bacino e quelli turbogas in ciclo aperto per quanto riguarda i picchi di potenza improvvisi. Esistono soluzioni tecniche alternative, ma al momento risultano ancora costose e non del tutto affidabili per reti di grandi dimensioni e potenze.

4 Secondo il regolamento dell’Unione europea, la tassonomia stabilisce i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile, al fine di individuare il grado di ecosostenibilità di un investimento. Ne consegue che un’attività classificata come ecosostenibile diviene anche finanziabile con i fondi europei.


Un pò di storia

Centrale nucleare di Brokdorf: cronaca di una lotta antinucleare


26.10.1976 – Inizio dei lavori a Brokdorf all’una del mattino sotto la protezione della polizia. Il cantiere è recintato come una fortezza e messo in sicurezza con rotoli di filo spinato e fossati.
30.10. 1976 – Prima grande dimostrazione in cantiere, più di 5.000 partecipanti. Circa 2.000 di loro irrompono con la forza nel cantiere per occuparlo. Centinaia di agenti di polizia evacuano l’area con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni.
13.11. 1976 – Manifestazione “Brokdorf II”, 30.000 partecipanti da tutta Europa. La polizia ha predisposto dei controlli stradali e transennato una vasta area, attrezzata con cannoni ad acqua, lacrimogeni, cavalli, cani ed elicotteri. Schermaglie simili a una guerra civile, 3000 manifestanti assaltano di nuovo la recinzione del sito. Alla fine si contano più di 150 feriti, inclusi 79 agenti di polizia.

17.12.1976 – Il tribunale amministrativo dello SchleswigHolstein (landle) ha decretato un blocco temporaneo della costruzione, che è stato prorogato nel febbraio 1977
19 febbraio 1977 – Nonostante un divieto confermato dalle autorità dello SchleswigHolstein , più di 50.000 persone manifestano davanti al cantiere senza nessun incidente.
17.10.1977 – L’Alta Corte Amministrativa di Lüneburg ordina il blocco illimitato della costruzione della centrale nucleare di Brokdorf fino a quando non sarà stata risolta la questione dello smaltimento dei rifiuti nucleari. Gli oppositori del nucleare decidono di non manifestare più sul posto finché si applica il blocco dei lavori
16.05. 1979 – Il primo ministro della Bassa Sassonia Albrecht dichiara – sotto l’impressione delle massicce proteste della popolazione e dell’incidente di Three Mile Island – che un deposito di scorie a Gorleben è politicamente inapplicabile. D’ora in poi, la Confederazione dovrà operare secondo un “concetto di smaltimento integrato” con smaltimento decentralizzato
14.10. 1979 – manifestazione antinucleare a Bonn con più di 70.000 partecipanti

22/01/1981 – La corte di Lüneburg revoca il blocco dei lavori per la centrale nucleare di Brokdorf: riconosce i progressi nella risoluzione del problema dello smaltimento
18/02/1981– Il governo di Kiel concede il secondo permesso di costruzione parziale
28/02/1981 – Circa 100.000 persone si radunano a Wilstermarsch per la più grande manifestazione antinucleare mai realizzata. 10.000 agenti di polizia proteggono il sito della centrale nucleare. 128 agenti di polizia e un numero imprecisato di manifestanti sono rimasti feriti in violenti disordini.

07.06.1986 – 30.000 manifestano a Brokdorf contro l’imminente messa in servizio; 10.000 dimostranti di Amburgo sulla strada per la centrale nucleare di Brokdorf vengono fermati a Kleve nello Schleswig-Holstein
08.10.1986 – Messa in servizio della centrale nucleare come primo impianto al mondo dopo il disastro del reattore di Chernobyl
2001 – La maggioranza rossoverde del Bundestag decide di eliminare gradualmente l’energia nucleare. La centrale nucleare di Brokdorf dovrebbe andare offline nel 2018.
2010 -Il governo federale giallonero inverte la graduale eliminazione del nucleare. Il governo statale dello Schleswig-Holstein decide quindi di lasciare Brokdorf online fino al 2033
2011 – Dopo l’incidente di Fukushima, il governo federale decide di eliminare gradualmente l’energia nucleare entro il 2022. Brokdorf continuerà a fornire elettricità fino al 2021.

Fonte

https://www.pressenza.com/it/2021/12/nucleare-auf-wiedersehen-riflessioni-sulladdio-al-nucleare-della-germania/

 

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