Se questa fosse una trasmissione radiofonica le note di “In the mood”, nell’esecuzione di Glenn Miller, aprirebbero questo “servizio” sulla Liberazione, per ricordare come e in che modo ci si è arrivati.
Perché “In the mood”? Perché le musiche di Glenn Miller costituiscono la colonna sonora della liberazione dell’Europa occidentale dall’occupazione nazista, e infatti, come abbiamo visto in tanti film e documentari su quei giorni, la gioia di vivere dei sopravvissuti – manifestata con balli e festeggiamenti in onore dei liberatori – dovunque, in Italia, in Francia e negli altri paesi liberati dagli angloamericani, ebbe come sottofondo musicale “In the mood”.
Ma c’è un motivo più importante: che ci piaccia o no, senza gli americani non ci sarebbe stata liberazione e si farebbe un torto alla storia se non lo si riconoscesse.
Si è letto che la sconfitta della Germania nazista è stata resa possibile dai soldi degli americani e dalla carne russa, intendendo per carne i quasi dieci milioni e mezzo di soldati russi (contro i 405.000 americani e i quasi 400.000 britannici e di paesi del Commonwealth), morti nei cinque anni che vanno dall’inizio dell’Operazione Barbarossa, l’occupazione dell’Unione Sovietica da parte degli eserciti di Hitler, alla caduta di Berlino.
Sarebbe ingiusto non riconoscere il grandissimo contributo dato dai loro due maggiori alleati, il Regno Unito e l’Unione Sovietica, però senza il sostegno degli Stati Uniti, senza i convogli navali che a partire dal 1941 attraversarono l’Atlantico settentrionale per portare rifornimenti di materiale bellico e derrate alimentari sia ai britannici che ai sovietici, entrambi questi due popoli, di fronte alla potenza delle armate tedesche, difficilmente avrebbero resistito alle lusinghe di una pace separata.
25 aprile
Non bisogna neanche dimenticare che il merito della contrapposizione al nazismo e poi della sua sconfitta è di coloro che l’autore considera i due più importanti uomini politici del Ventesimo secolo: il Presidente americano Franklin Delano Roosevelt e soprattutto il Primo Ministro inglese, Sir Winston Churchill.
Il primo per avere vinto l’apatia e l’ostilità della maggioranza dei suoi connazionali, contrari all’entrata in guerra del loro paese (anche allora il sentimento principale degli statunitensi era “America first”).
Il secondo – malvisto da quei politici britannici che non avevano imparato nulla dal fallimento degli accordi di Monaco del 1938 – per essersi ostinatamente opposto a quei suoi connazionali che, stremati dai bombardamenti, premevano per una pace separata.
Reso questo doveroso riconoscimento, passiamo alla nostra Liberazione, coronamento di quell’impegno corale di gran parte degli italiani, che chiamiamo Resistenza.
Nella narrazione comune, la lotta di liberazione viene fatta iniziare dopo l’otto settembre, ma pochi sanno che non è così: infatti il primo episodio in assoluto di ribellione contro i tedeschi avvenne ancora prima dell’Armistizio in Sicilia, alle pendici dell’Etna.
Il 3 agosto del ’43 la popolazione intera di Mascalucia insorse contro quelli che erano ancora alleati, ma che cominciavano già a comportarsi da occupanti, razziando mezzi di trasporto e animali.
Episodi simili si verificarono successivamente in altre regioni meridionali, ma la vulgata ha tramandato come inizio della Resistenza la rivolta che portò alla liberazione di Napoli, il 1° ottobre dello stesso 1943, dopo quattro giorni di violenti combattimenti.
Indubbiamente, però, benché già dal 25 luglio precedente Mussolini fosse stato destituito e arrestato, è con l’Armistizio e con il conseguente dissolvimento del Regio Esercito che si passa dall’opposizione mormorata al regime, a quella attiva.
Un’opposizione attiva che partì spontaneamente e silenziosamente “dal basso”, da tutti quei cittadini che incuranti del pericolo aiutarono le migliaia di soldati sbandati a sfuggire alla cattura.
Un movimento “popolare”, nel senso più bello del termine, che viene mirabilmente descritto da Mario Tobino, nel suo romanzo “Il Clandestino”. Nelle settimane successive all’armistizio, “i cittadini fecero a gara a vestire di panni civili quei giovani che dovevano sfuggire ai tedeschi, si vuotarono in silenzio i guardaroba, si rivestì un esercito; quei giovani furono nutriti, ospitati, nascosti; ogni casa ricca e povera, di qualsiasi tendenza politica, in quei giorni si aprì. A ogni tappa verso le loro case, i militari sbandati trovarono assistenza”.
È superfluo rifare in questa sede la cronologia dei tragici venti mesi che vanno dalla rivolta di Mascalucia alla Liberazione di Milano, avvenuta appunto il 25 aprile.
Ciò che vogliamo, è rendere il giusto omaggio a tutti quei nostri connazionali, giovani e adulti, uomini e donne, combattenti e civili, che silenziosamente o col fragore delle armi, resero possibile dopo venti anni di dittatura la liberazione e poi la ricostruzione dopo le devastazioni della guerra.
E oggi che la guerra devasta ancora una volta una parte dell’Europa?
È giusto e doveroso aiutare gli ucraini a difendere il loro paese e la loro libertà, purché la difesa di quel popolo non sia la scusa per portare avanti una contro-agressione e non si dimentichi che oggi, al contrario che nel 1943, esistono armi atomiche in quantità tali da distruggere per sempre l’umanità.
Verrebbe da concludere con “intelligenti pauca”, ma temiamo che l’intelligenza sia una merce rara, fra coloro che sostengono il riarmo.
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