Il mondo si spacca a Gaza.

Stato di Palestina

Gaza. Palestina

di Cristina Mirra

Questo è un periodo in cui la Storia non si muove più solo nei palazzi. Non solo a Bruxelles, o a Washington e neppure all’ONU. Oggi la Storia vive e brucia a Gaza, sotto le bombe, nei tunnel, tra i bambini sotto le macerie. E la Storia oggi la fanno un gruppo di partigiani o terroristi, come vi pare, che una mattina escono dai confini che sono più simili a quelli di un carcere che di uno Stato, rompono i check point e tentano l’impossibile, l’inimmaginabile: fermare la macchina sionista che da decenni sta triturando la loro terra, tentando di distruggere la loro dignità e di cancellare la loro bandiera.

In Palestina non si sta consumando solo un genocidio, ma la rivelazione di fronte ai popoli di un mondo che non è più uno. Le immagini di corpi dilaniati, di madri che scavano a mani nude, non sono solo testimonianza di una tragedia: sono lo specchio di un ordine globale in putrefazione. E il modo in cui il mondo reagisce, o non reagisce, segna la linea di faglia tra due fronti che ormai si guardano senza parlarsi.

E la gente nelle strade dell’Occidente si chiede: ma noi non eravamo i buoni? Ma non è che per caso ci hanno ingannato? O forse facevamo finta di non sapere?

Gaza. Palestina

Le capitali Occidentali, che si vantano da decenni di essere la culla dei diritti umani, si sono finalmente guardate per quello che sono. Non dalla parte della giustizia, ma da quella del potere. Gli Stati Uniti armano Israele, l’Europa balbetta condanne e poi approva vendite di armi, mentre i media parlano di “diritto a difendersi” davanti a quartieri interi rasi al suolo.

È una posizione non solo immorale, ma suicida. Perché la credibilità di un mondo che ha fatto della legalità internazionale il proprio vanto si sgretola ogni giorno in diretta. Chi oggi giustifica Gaza, ieri giustificava Baghdad, Kabul, Tripoli. Cambiano i nomi, resta il disprezzo per la vita degli altri.

Ma la Palestina non ha gettato soltanto giù le maschere. Ha fatto molto di più. Ha costretto tutti i governanti della Terra a schierarsi, a prendere posizione e decidere pubblicamente da che parte stare: dei potenti o della giustizia. Spagna, Maldive, Indonesia, Sud Africa e altri hanno preso posizioni nette, di recente. La Palestina ha spaccato il mondo e spinto in una voragine in cui sta finendo chi vuole salvarsi dall’ accusa, un giorno, di essere stati dalla parte di chi ha compiuto un genocidio. E in questo vortice sono finiti la Spagna appunto che, oltre a riconoscere la Palestina come Stato, ha espresso, con la voce della ministra Jolanda Diaz, che la Palestina sarà libera dal fiume al mare. In questo vortice sono finite l’Irlanda, già da molto tempo, ma anche la Norvegia e la Slovenia fino ad arrivare a sfiorare la Francia, e a travolgere Conte e addirittura la Schlein…

Dall’ altra parte dell’ Occidente Cina, Russia, Iran, Yemen, Sudafrica, Bolivia e altri convergono in un’ alleanza che va oltre i BRICS, è un’ alleanza che la Palestina ha reso viscerale: quella di chi rifiuta il mondo come lo ha disegnato l’Occidente dopo il 1945 e poi ridisegnato, con la forza, dopo l’89 e che condanna unito il genocidio del popolo palestinese.

In questa nuova mappa della resistenza globale, la Palestina è diventata simbolo e bandiera. Non solo per alcuni Paesi musulmani, ma per ampie porzioni del Sud globale. L’Algeria denuncia Israele per crimini di guerra. Il Sudafrica denuncia Israele alla Corte Penale Internazionale. Le piazze di Caracas, Sana’a, Damasco, Jakarta, Pretoria si riempiono, mentre quelle di Parigi e Berlino vengono represse, censurate, ridotte al silenzio.

I due schieramenti hanno anche una diversa visione dell’ economia.
I BRICS crescono, sfidano il dollaro, costruiscono nuove vie commerciali, propongono un mondo multipolare dove l’Occidente non comanda più da solo. La Cina parla di “comunità dal destino condiviso”, e lo fa mentre costruisce ponti (veri) in Africa. L’Occidente parla di “democrazia”, e lo fa mentre impone sanzioni, condizioni, protettorati economici.

Ma l’aspetto più profondo non è il PIL. È l’etica. L’Occidente ha perso la capacità di indignarsi per chi non gli somiglia. Il Sud globale lo sa. E non dimentica. Ecco perché chi condanna il genocidio di Gaza oggi non lo fa solo per pietà, ma per memoria. Perché riconosce, in quei bombardamenti, qualcosa che ha già visto: nei colpi di Stato appoggiati dalla CIA, nei governi corrotti installati a forza, nei villaggi sterminati per il cobalto, per il petrolio, per l’uranio. Per il mercato.

Il mondo non tornerà indietro. La frattura è aperta. Oggi Gaza, ieri Kabul, domani forse Taipei o Kinshasa. La domanda non è più “da che parte stai”, ma “perché stai da quella parte”.
Chi crede ancora che l’Occidente sia la misura di tutto dovrebbe guardare Gaza. E poi guardarsi allo specchio. Perché non ci si può più definire civili se si è diventati insensibili.
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