Tutta colpa del colonialismo?

di Ilaria Bifarini

E’ stato stimato che, dalla metà degli anni Novanta, circa sessanta paesi in via di sviluppo siano diventati più poveri in termini di reddito pro-capite rispetto a quindici anni prima e in alcuni casi a venticinque anni prima. Il continente africano annovera i paesi con i più alti livelli di disuguaglianza al mondo, in cui il divario tra la popolazione che vive in uno stato di miseria e una ristretta fascia d’élite dedita al lusso è abissale. Il settore dell’agricoltura, da cui dipendono le condizioni di vita delle fasce più deboli, mostra continui segnali di degrado, dovuti anche a un uso spregiudicato delle terre da parte degli investitori stranieri.
E’ la famosa “maledizione” della ricchezza di risorse, che sembra condannare il Continente Nero a un eterno stato di miseria, o è il prodotto, nonché la colonna portante, del modello di sfruttamento economico globale?
Le multinazionali europee e statunitensi, subito dopo la concessione dell’indipendenza ai paesi africani dagli ex imperi coloniali, si sono stabilite nel continente per fare profitti sostenendo il progetto neocolonialista che, con il tempo, si è rivelato disastroso. Gli effetti sono risultati fallimentari non solo dal punto di vista economico: la congiuntura politica africana del periodo post coloniale è stata, infatti, animata da continui colpi di stato, dittature sanguinarie e repubbliche presidenziali criminali. Basti pensare a Bokassa nella Repubblica Centrafricana, a Mugabe in Zimbabwe, Dada in Uganda, Seko nell’ex-Zaire solo per fare alcuni esempi.
Il capitalismo occidentale ha immediatamente riconquistato l’Africa, attraverso alleanze strategiche con i gruppi oligarchici dei paesi che sono diventati i custodi dei progetti e degli interessi dei grandi poteri economici internazionali, collaborando in prima linea alla realizzazione del disegno neoliberista. Quello che in passato era stato inflitto attraverso il colonialismo e la schiavitù, adesso viene imposto dal potere delle multinazionali e dalle politiche economiche di organismi economici internazionali.
Le istituzioni preposte allo sviluppo, come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, esercitano il diritto di fissare la programmazione economica dei paesi riceventi, attraverso la presenza in loco di consulenti e di esperti e di imporre provvedimenti monetari e fiscali, particolarmente austeri, per correggere la crisi delle bilance dei pagamenti. Essi impongono una serie di misure, che vanno sotto il nome di “aggiustamenti strutturali”, finalizzate alla riduzione del debito estero dei paesi emergenti, con pesanti ripercussioni sullo sviluppo dei consumi e sulla crescita del mercato interno.
La povertà endemica dell’Africa muove un giro di affari vasto e redditizio, mettendo in circolo flussi finanziari miliardari in tutto il pianeta. Nonostante milioni di individui continuino a morire per malattie e denutrizione, i loro governi sono costretti a pagare miliardi di dollari ogni anno per adempiere agli interessi sul debito contratto con le organizzazioni finanziarie internazionali. Si stima che per ogni dollaro preso in prestito se ne paghino tredici.
Allo stesso tempo le multinazionali incrementano i loro profitti attraverso l’approvvigionamento di risorse e manodopera a bassissimo costo e favoriscono l’arricchimento e la corruzione delle élite locali; l’industria delle armi prospera con il dilagare di conflitti locali legati a spartizioni mai chiarite e una frotta di giornalisti, cooperanti e umanitari incentrano il loro lavoro su testimonianze il più delle volte preconcette e poco veritiere.
E’ il business della miseria e della sofferenza, la linfa vitale del modello economico neoliberista, che da tempo ha sperimentato nei paesi poveri quegli stessi metodi di depauperamento della popolazione che ha iniziato poi ad attuare presso le stesse popolazioni dell’Occidente, da cui il modello ha origine.
Negli ultimi anni i contributi a tale chiave di lettura della realtà sono divenuti sempre più numerosi, a cominciare dalla critica alla politica degli aiuti e della cooperazione allo sviluppo da parte di studiosi, economisti e attivisti, molti dei quali africani. Le politiche economiche del Fondo Monetario e della Banca mondiale trovano, infatti, sempre più dissenso a seguito del manifesto fallimento riscontrato negli obiettivi di sviluppo.
Per comprendere le ragioni dell’immutabile sottosviluppo del continente africano, che causa ogni giorno migliaia di vittime umane, è necessario uscire dalla trappola semplicistica degli schemi del passato e dei luoghi comuni. Anziché riversare tutte le responsabilità politiche ed economiche sulle antiche potenze coloniali, che di certo non furono poche, occorre ripercorrere la storia economica postcoloniale e analizzare perché in Africa le politiche di aiuto allo sviluppo non siano riuscite a creare le premesse per la nascita di un’industria locale, una popolazione alfabetizzata, un governo basato sui principi della sovranità nazionale e della democrazia, un’economia in definitiva in grado di svilupparsi autonomamente sfruttando le immense ricchezze del continente.

(tratto da “I coloni dell’austerity. Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”, pubblicazione indipendente, 2018)

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