Rifondare l’immaginario collettivo

Dopo l’abolizione della sfera politica democratica resta solo la vita economica

L'asino e il momento Polanyi

di Lidia Beduschi

“ (…) Il potenziale rivoluzionario di queste fasi storiche, definite Momenti Polanyi, viene quindi disinnescato mediante la sedazione della capacità reattiva dei Popoli con la tattica della Shock Economy che prevede l’utilizzo contemporaneo di diverse tecniche di manipolazione di un’opinione pubblica ormai dipendente dalla Società dello spettacolo, in un contesto emergenziale che induce le popolazioni ad accettare passivamente le trasformazioni sociali imposte dalle classi egemoni in virtù di uno stato d’eccezione che viene vissuto in modo fatalistico”. (1)  

Parto da qui per un percorso non lineare, aperto, che vuole arrivare all’oggetto indicato nel titolo di questo articolo. Specificità della società occidentale allargata, è secondo Polanyi, proprio la perdita del senso della comunità sociale, che viene sostituita dall’utilitarismo individualistico. Di più: la società cessa di essere il centro delle istituzioni umane, di cui marxianamente l’economia è quella fondamentale, per divenire invece essa stessa funzione dell’economia, oggetto del mercato.

Voglio in primo luogo soffermarmi su una questione che mi appare molto meno “risolta” di quanto suggerisce l’uso lessicale di società: con che tipo di società abbiamo a che fare? Qual è il modello sociale su cui dobbiamo operare per una vera e propria rifondazione culturale? Di certo possiamo scartare senza dubbio alcuno la società popolare visto che nel processo di deculturazione/acculturazione al modello capitalistico neoliberista, il primo attacco si è rivolto in via prioritaria alle “tradizioni” che sono state cancellate o trasformate e rese irriconoscibili come basi e patrimonio delle identità comunitarie storiche; ma pure la società di massa (3) mi sembra tutt’altro che appropriata per l’identificazione del nostro oggetto, poiché è venuta meno proprio la caratteristica fondante di questa sua definizione, quella del significativo ruolo delle masse nello svolgimento della vita politica e sociale.

La società di oggi, quella in cui siamo immersi e sommersi, non è nemmeno a ben vedere definibile come individualistica, se per individuo (certo già molto più spoglio di persona) si intende un soggetto agente per finalità autocentrate e autoreferenziali, in quanto l’individualità conserva comunque un certo grado di coscienza di sé e del contesto in cui si situa. Piuttosto la definirei con una metafora, una società granulare: ogni suo granulo (individuo) è stato ed è assorbito dall’economia neoliberista – non è più un soggetto che sceglie, ma un oggetto scelto e decostruito/ricostruito incessantemente dal “mercato” – fino alle conseguenze e agli esiti più radicali e terribili di una dissoluzione dell’umano in sé , nel progetto transumanista delle cosiddette élites del Nuovo Ordine Mondiale come è programmato minutamente nel Great Reset del World Economic Forum ( già in questi due anni abbondanti ne abbiamo fatto prova con le estensioni ancora separate dal corpo ma “necessarie” per il riconoscimento sociale : mascherine,tamponi, Green Pass, “vaccini”, “lockdown” ). (4)

Il nome stesso di società non mi appare quindi più adatto a definire questa formazione a-sociale, che non agisce ma è costantemente agita da , tanto che non solo è stato cancellato il modello dualistico del cogito ergo sum ma pure quello delle moderne neuroscienze del sentio et cogito quod sum in cui il corpo diviene centrale: a ben vedere l’informazione-propaganda, le narrazioni come sono definite ora, non si rivolgono certo alle facoltà razionali del pensiero e nemmeno, mi pare, a quella “pancia” che conterrebbe i dispositivi di reazioni puramente emozionali soggettive; siamo in presenza di una “non – società” che si muove come limatura di ferro sottoposta al campo magnetico di una calamita e forma (o si fa formare in) aggregazioni indotte dall’esterno, non autoconsapevoli.

Come si può agire su questa a-società per restituirle la consapevolezza dello “stare al mondo”, del Dasein (ed estremamente a volte addirittura dell’ “essere”, del Sein)? Essa appare spesso inattaccabile da tutti gli sforzi che la “contronarrazione” le offre per far sì che almeno sorga in essa il dubbio verso tutto ciò che le viene proposto di “ingurgitare” (e qui mi occorre richiamare il duplice significato che si deve tener presente quando ci si riferisce alla formazione sociale contemporanea quale società dell’immagine:

immagini sono le “icone”, i “miti”, i “simboli” veicolati dai media al servizio del mercato, e della comunicazione “politica”), come modelli ideali cui conformarsi non tanto e non solo per indurre consumi compulsivi ma sempre più per veicolare al di sotto della ragione i comportamenti “buoni” per un potere ormai totalitario; immagini sono anche e a volte esclusivamente i testi informativi sottratti per questa via alle possibilità argomentative del linguaggio verbale sia “attivo”, nella costruzione di testi, sia per così dire “passivo”, nella lettura di testi (ci tornerò nel seguito di questo articolo che dedicherò al tema della scuola). (5)

“Dopo l’abolizione della sfera politica democratica resta solo la vita economica; il capitalismo organizzato nei diversi settori dell’industria diventa l’intera società. Questa è la soluzione fascista”. (6) Questo è il Polanyi del 1935: con i dovuti aggiornamenti, già presenti nella Grande trasformazione del 1944 in cui il posto dell’industria è preso dalla finanza internazionale, rimane ancora un punto di partenza valido e importante per la comprensione delle dinamiche dell’oggi. Mi offre infatti un suggerimento per cercare di raggiungere, attraverso il “giro lungo” di C. Klukhohn, le menti spogliate dei “granelli” da riportare a casa: mi riferisco alla opportunità, necessità, di un racconto immaginifico e argomentato delle esperienze delle numerose “comunità solidali” che sono sorte e stanno sorgendo in questo periodo, dove la categoria dell’ “economico” non si coniuga con quella di “guadagno”. Credo che solamente dopo che la “società granulare” avrà ritrovato la strada per abitare di nuovo un mondo in cui sia dato di agire in modo consapevole poiché ne sono stati ridefiniti gli orizzonti di senso, rimescolando le gerarchie del vivere sociale in modo che l’ “economia” torni ad essere una funzione della vita sociale e non viceversa, sarà possibile ricondurla pienamente nell’agorà del discorso e dell’azione politica.

Intanto il primo passo da fare in modo accurato è quello della ricostruzione dei codici del pensiero, della memoria storica, della comunicazione consapevole, elementi fondanti di una società in cui si producono relazioni “sane” e si possa riaprire la progettualità di un futuro umano condiviso. Il luogo elettivo di questa ricostruzione è la scuola in senso allargato, una scuola che a mio parere ha bisogno di essere profondamente ripensata. Sarà questo il tema del prossimo articolo, di cui qui ho proposto l’introduzione.

NOTE

  1. A. Pecere, Trasformazione antropologica, Giubbe Rosse News, 27 gennaio 2022 https://giubberosse.news/2022/01/27/trasformazione-antropologica/
  2. Karl Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, 1944 (edizione italiana di questo articolo, Einaudi Paperbabacks, 1997)
  3. “Società caratterizzate da un significativo ruolo delle masse nello svolgimento della vita politica e sociale, ma anche da una loro crescente omologazione, perdita di autonomia individuale, atomizzazione, conformismo, facilità di manipolazione ed eterodirezione”.

https://www.treccani.it/enciclopedia/societa-di-massa_%28Dizionario-di-Storia%29/#:~:text=Societ%C3%A0%20caratterizzate%20da%20un

4 Si veda il progetto https://id2020.org/ e le sue implicazioni https://generazionifuture.org/id-2020-ti-dice-qualcosa/

  1. Per una prima informazione comparativa sull’ultimo rapporto OCSE si può vedere https://www.invalsiopen.it/competenze-adulti-indagine-ocse-piaac/
  2. K. Polanyi, The Essence of Fascism, in Christianity and Social Revolution, a cura di J. Lewis, K. Polanyi e K. Kitehin, London, 1935, pp. 359 -94.
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