La TV come specchio

Il linguaggio dell’informazione tra attenzione e attrazione

Istruire, informare e intrattenere, le finalità della cosiddetta paleotelevisione, termine coniato da Umberto Eco in contrapposizione con l’attuale neotelevisione, arrivata in Italia il 3 gennaio 1954, si sono definite nel contesto di un paese da ricostruire non solo materialmente ma anche culturalmente dovendo rivolgersi a una popolazione che prevalentemente  si esprimeva in dialetti locali.  All’impegno programmatico di comunicare in una lingua esente da inflessioni locali, a cui ha risposto proponendo telegiornali condotti da ununico speaker che leggeva i testi con una dizione perfetta mantenendo un tono neutro, si è accompagnato il controllo politico da parte dei governanti DC che, considerando il monopolio televisivo statale come monopolio governativo in cui la voce dell’opposizione non aveva spazio, introdussero l’uso della “velina”, vale a dire i suggerimenti del governo su come presentare le notizie, nell’ottica di dare l’immagine di un paese senza conflitti.

Negli anni ’60, si procedeva, con il sostegno del ministero della Pubblica Istruzione, all’alfabetizzazione del grande pubblico con il riuscito esperimento del “Non è mai troppo tardi” del maestro Alberto Manzi, che consentì a oltre un milione e mezzo di adulti di conseguire la licenza elementare,  alla modernizzazione del telegiornale con la sostituzione dello speaker unico con un gruppo di giornalisti che, incuranti delle inflessioni dialettali, introdussero uno stile colloquiale rivolgendosi direttamente al pubblico e all’introduzione di servizi  da parte di corrispondenti residenti all’estero.

Allo stesso tempo i centri di potere di un paese ancora culturalmente e politicamente molto diviso, sulla base della “Teoria  ipodermica”, paradigma egemone della sociologia della comunicazione in quegli anni, ben consci della dimensione manipolatoria del media, si impegnarono nell’illustrare i vantaggi veri o presunti della nuova situazione politica esibendo, sulla base del modello consumistico americano,  il benessere della realtà socio-del nord-ovest, teatro della rinascita economica e meta preferenziale dell’emigrazione.Questa  operazione fu agevolata sia dall’introduzione di “Carosello”, format pubblicitario di indubbio successo che attingendo a luoghi comuni e alla cultura popolare rassicurava sulla qualità dei prodotti proposti, sia sull’attivazione di un  secondo canale che permise di alternare intrattenimento e informazione che comunque, nonostante i cambiamenti estetici nella messa in onda, rimase influenzata dalle scelte politiche determinate dai governi in carica. Al riguardo basta ricordare la breve vita di “RT-Rotocalco televisivo” a cura di Enzo Biagi, un raccolta di brevi inchieste sui temi di politica nazionale e internazionale, cronaca e costume e in seguito di “Tv7”  rotocalco a cadenza  settimanale che pur godendo di una maggiore libertà espressiva rispetto ai telegiornali, non era comunque immune dalla censura governativa come si evince dall’allontanamento definitivo dalla Rai di Antonello Branca, inviato di Tv7, che nel servizio del 14 ottobre ’63 propose un’intervista ai sopravvissuti della strage del Vajont che  concordemente affermarono che tutti  sapevano che la montagna stava per venire giù e in parte puntarono il dito verso i responsabili politici mentre la versione ufficiale era quella di “catastrofe naturale”.

Difficile  dimenticare che ancora nel 2008  l’Open Society Institute valutava la RAI eccessivamente influenzata dal potere politico, ma già dagli anni ’70  con la riforma che rese illegittimo il monopolio della Rai in ambito locale, l’inaugurazione del terzo canale,che doveva trattare notizie relative all’informazione regionale oltre che a quella nazionale,e poi con l’approvazione  nel 1990 della legge Mammì, che concesse alle Tv private la diretta su tutto il territorio nazionale e la possibilità di realizzare dei telegiornali, gli obiettivi tradizionali della paleotelevisione, istruire, informare, intrattenere, sono stati in larga parte sostituiti da quelli commerciali condizionati dall’audience e quindi dal tentativo di trattenere, più che intrattenere, il pubblico.

ChuckPalahniuk, affermato scrittore americano contemporaneo, ha scritto in Ninna nanna: “Il vecchio George Orwell aveva capito tutto, ma al rovescio. Il Grande Fratello non ci osserva. Il Grande Fratello canta e balla. Tira fuori conigli dal cappello. Il Grande Fratello si dà da fare per tenere viva la tua attenzione in ogni singolo istante di veglia. Fa in modo che tu possa sempre distrarti. Che sia completamente assorbito. Fa in modo che la tua immaginazione avvizzisca. Finché non diventa utile quanto la tua appendice. Fa in modo di colmare la tua attenzione sempre e comunque.”

Il bisogno di conquistare il telespettatore, sottrarlo alle altre emittenti, offrendo una programmazione sempre più varia, con ampia scelta di contenuti, a qualunque ora del giorno e in qualunque giorno dell’anno  ha trasformato l’informazione nell’ Infotainment, cioè nello spettacolo dell’informazione. Il punto d’inizio di questa nuova fase èidentificabile con l’avvento dei talk-show, il primo “Bontà loro” di Maurizio Costanzo è andato in onda sui canali Rai tra il ‘76 e il ’77. Questa particolare forma di teatro in cui lo spettacolo è costituito  dallo scambio verbale tra persone che tendenzialmente possono parlare di tutto e che dal tradizionale ambito del costume,  ha invaso  non solo il terreno del dibattito di carattere sportivo  prevalentemente calcistico, ma, cosa più inquietante, quello della polemica politica.

Il pluralismo politico, misurato in relazione ai tempi di esposizione mediatica  delle diverse realtà politiche, non ha alcuna validità informativa se l’informazione stessa non si basa su fatti obiettivi ma sulle opposte interpretazioni che di essi forniscono le parti contrapposte. Il problema non si pone solo a livello di talk-show ma anche  in quello dei telegiornali che propongono in successione, eventualmente alternandole, le dichiarazioni dei membri della maggioranza e dell’opposizione, dando vita a un falso contraddittorio in cui la voce del giornalista che porge la notizia si dissolve nel meltingpot dei messaggi autogestiti.

Uno degli elementi formali più interessanti dell’informazione televisiva è  l’uso delle immagini che se da un verso ha decretato il successo dei primi telegiornali, perché la possibilità di vedere un fatto anziché farselo raccontare è stata per i telespettatori una novità sconvolgente, da un altro punto di vista è una sua debolezza. Se si domandasse a un telespettatore che cosa trasmettono i telegiornali

probabilmente risponderebbe: “i fatti più importanti del giorno”, ma la risposta è incompleta  infatti ad essere trasmessi sono “i fatti filmabili  più importanti del giorno”. Nell’ambito dell’informazione

televisiva le immagini sono sia un punto di forza che un punto di estrema debolezza. Se non c’è filmato non c’è notizia, al riguardo basta ricordare la rilevanza mediatica data all’attacco ad opera di integralisti islamici alla sede del giornale satirico parigino Charlie Hebdonei telegiornali di mercoledì 7 gennaio 2015, e il silenzio riguardo allecontemporanee carneficine messe in atto dagli stessi in Nigerianella città di Baqa, notizia fornita dall’informazione nazionale solo il giorno seguente e commentata da Enrico Mentana nel Tg La7 senza mandare in onda alcun servizio dicendo «non ci sono immagini, verrebbe da dire per fortuna».

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