di Patrizia Scanu
Negli ultimi due anni, il livello di manipolazione delle menti da parte della comunicazione mediatica, da sempre propensa a indirizzare il gregge nel recinto percettivo voluto dai manipolatori, ha raggiunto livelli abnormi e radicalmente distruttivi di qualunque principio democratico. Lo spin doctoring, ovvero l’insieme delle tecniche di propaganda, ha sostituito all’informazione un osceno liquame di falsità, stravolgimenti e omissioni che ha definitivamente avvelenato il pozzo del dibattito pubblico, se mai ce n’è stato uno. Quando il pozzo è avvelenato, muoiono i diritti e muore un intero Paese.
Per chi non conosce le tecniche psicologiche utilizzate e le leve individuali con le quali esse raggiungono lo scopo voluto, può essere arduo riconoscere i segni evidentissimi della manipolazione in atto. Come ci accorgiamo di essere manipolati?
Possiamo rendercene conto attraverso alcuni indizi rilevanti.
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Senso di contrapposizione noi/loro: quando proviamo ostilità verso gli altri, ci sentiamo spinti a categorizzare, a giudicare, a contrapporci, questo è un possibile segnale di manipolazione.
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Emozioni come paura, odio, insofferenza: le emozioni sono degli indicatori, dei segnali che ci avvertono se l’ambiente si conforma ai nostri scopi. Non dobbiamo mai dimenticare però che sono soggettive e dipendono dalla nostra interpretazione degli eventi. Persone diverse possono reagire in modo diverso agli stessi stimoli. Perciò dobbiamo osservarle. Quando proviamo paura e questa paura è alimentata dall’autorità, siamo abbastanza sicuri che si tratti di manipolazione. Il compito dell’autorità non dovrebbe essere di fare paura, ma di rassicurare, offrendo soluzioni razionali e appropriate. Allo stesso modo, se è l’autorità a istigare all’odio, all’intolleranza, all’ostilità verso un gruppo sociale, siamo in presenza di manipolazione. Il compito dell’autorità è di tutelare i diritti di tutti, rispettando le differenze e rimanendo neutrale rispetto ad esse.
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Sensazione di essere nel giusto: quando ci sentiamo completamente dalla parte della ragione e non abbiamo dubbi sulla bontà della nostra posizione o rifiutiamo anche di ascoltare punti di vista differenti, e se questa certezza dogmatica, apodittica, viene sostenuta dall’autorità, abbiamo la ragionevole certezza di essere manipolati. Nessuno possiede la verità e solo il dialogo permette di avvicinarsi ad essa.
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Discriminazione: quando siamo portati a credere che altre persone meritino un trattamento di sfavore (perdita del lavoro, di movimento, di accesso ai servizi eccetera) per ragioni non dipendenti da azioni delittuose, ma per condizioni oggettive o per opinioni diverse o per scelte personali legittime, e questo trattamento di sfavore è sostenuto dall’autorità e perfino dalla legge, siamo di fronte alla discriminazione, alla manipolazione e all’abuso di autorità. Ricordo che esistono leggi ingiuste, alle quali un cittadino fedele alla Costituzione è tenuto a disobbedire.
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Idealizzazione o denigrazione del leader: l’intensa simpatia o antipatia per un leader è quasi sempre frutto di campagne di propaganda, tese a esaltare o a denigrare a seconda degli interessi in gioco. Notevole il caso di Obama, che, secondo alcuni studi, usava tecniche di PNL e riusciva a conquistare tutti con discorsi vaghi, suggestivi, privi di contenuti. Per la denigrazione, di parla di reductio ad Hitlerum di un leader scomodo, in modo da giustificare la sua rimozione violenta. Ci hanno raccontato numerosi episodi di questo tenore Noam Chomsky, ne La fabbrica del consenso e John Perkins, nelle Confessioni di un sicario dell’economia. Si pensi poi alla faccenda delle inesistenti armi chimiche di Saddam.
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Identificazione di un nemico pubblico e distinzione fra buoni e cattivi: quando il potere individua un nemico interno o esterno, affibbiando etichette svalutanti alle posizioni dissidenti, e divide i cittadini in buoni e cattivi, siamo sicuramente in presenza di manipolazione della peggior specie e di un assalto ai fondamenti dello Stato democratico da parte di lobby di interesse. Lo Stato dovrebbe essere imparziali rispetto ai cittadini, perché dovrebbe esprimere la volontà collettiva del popolo. La divisione è pericolosa, perché getta le premesse della guerra civile (si pensi alla guerra in Rwanda), ma è funzionale a chi vuole distruggere il senso di appartenenza alla comunità nazionale e impegnare il popolo in lotte intestine, impedendogli così di unirsi contro gli usurpatori. Sentirsi buoni e responsabili, dalla parte giusta, per molte persone insicure è un modo per darsi valore, per sentirsi sicuri di essere con la maggioranza, per gestire l’ansia. Non ci vuole molto per arrivare alla delazione e alla persecuzione delle minoranze.
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Mancanza di cura per il sentire delle persone: quando l’autorità non si prende cura del sentire delle persone, ma mostra un volto feroce e spietato, incurante dei loro bisogni e della loro umanità e dei danni che produce con le sue scelte politiche, sanitarie, fiscali, militari eccetera, siamo certi che il messaggio è propaganda e nasconde una brutale manipolazione, tipica delle dittature. L’autorità dovrebbe avere rispetto per tutti i cittadini e rispettare i loro diritti inviolabili.
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Incongruenza fra dichiarazioni e azioni: se l’autorità agisce in modo opposto a quanto dichiarato, siamo di fronte ad una falsificazione strumentale. Per esempio, dichiara di proteggere la salute imponendo comportamenti dannosi o lesivi della dignità personale o diffondendo paura o tagliando le spese sanitarie, con il risultato opposto a quello dichiarato, e quindi peggiorando la salute. Bisogna ricordarsi da sempre che le peggiori azioni vengono travestite da un’apparenza di bene e che i lupi si possono travestire da agnelli, ma restano lupi. In tal caso, si può provare disagio e dissonanza, perché si sente che qualcosa non va, anche se magari è difficile argomentarlo. Ma se si osserva bene, l’ipocrisia appare evidente.
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Intolleranza alle opinioni difformi: se si ha paura ad esprimersi liberamente o, viceversa, si ha la convinzione che alcune opinioni o posizioni non siano legittime, o se si constata che vengano censurate, criminalizzate o perseguitate, siamo di fronte alla manipolazione, tipica dei regimi totalitari. L’intolleranza fa sempre il gioco dei manipolatori e tutti i regimi più oppressivi tendono a considerare il pensiero critico come una forma di malattia mentale, perché richiedono l’obbedienza acritica e assoluta. Sembra superfluo ricordare che il pilastro della democrazia e della scienza è il pluralismo delle idee.
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Clima dogmatico e assenza di argomentazioni: quando il clima sociale è dominato da credenze a senso unico e manca quasi del tutto il dibattito delle idee, c’è sicuramente qualcuno che lo sta pilotando verso obiettivi non dichiarati. Il segno evidente è duplice: da una parte, una serie di affermazioni dogmatiche, presentate dai media come certezze granitiche e indiscutibili; dall’altra, la completa mancanza di argomentazione e di prove attendibili che suffraghino le proprie affermazioni. Una prova è attendibile non se viene affermata come tale ripetutamente, ad alta voce e a reti unificate, ma se supera il vaglio della smentita. Quindi senza dibattito fra posizioni opposte siamo sicuramente di fronte alla manipolazione.
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Uso ingannevole della statistica, delle immagini e delle informazioni: mentire è la forma più semplice e antica di manipolazione. Se si guarda un po’ più da vicino, ci si accorge che i media usano continuamente la menzogna, attraverso immagini false o decontestualizzate, attraverso informazioni parziali, stravolte, taciute o inventate; attraverso un uso falsato ed ingannevole dei numeri e della statistica. Un esempio fra i tanti: usare due denominatori diversi per comparare dati numerici, in modo da falsarne la percezione comparata. Uno su mille e uno su un milione possono corrispondere a numeri molto diversi in cifra assoluta, e non necessariamente il primo è più piccolo del secondo. Dipende sempre dal numero totale dei casi sui quali viene calcolata la percentuale, cioè dal denominatore, che può essere molto diverso nei due casi. In questi casi, se i dati vengono “sparati” con clamore e senza discussione, sarebbe meglio andare a controllare da vicino. Quando l’ho fatto, ho sempre trovato manipolazione.
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Uso di immagini e slogan a forte impatto emotivo: poiché gli spin doctor conoscono benissimo il lato debole delle persone, che sono le emozioni, sanno bene come spingere l’opinione pubblica dove vogliono, attraverso la diffusione massiccia di immagini simboliche e di alto impatto emotivo (bambini morti, donne ferite o piangenti, file di cadaveri…) o di slogan ad effetto. D’altronde, una delle parti della retorica classica era la mozione degli affetti. Quando siamo in balìa delle emozioni, tendiamo ad essere meno critici e se lo fossimo ugualmente, saremmo assaliti dall’indignazione degli altri, che non possono accettare il disconoscimento del loro stato emotivo. Appartiene a questa strategia la mostrificazione del nemico, per suscitare odio e ostilità. Quando una massa di persone prova nello stesso momento una forte emozione, si genera un cambiamento nella coscienza collettiva che impatta su tutti.
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Uso di etichette svalutanti: come ci ha spiegato bene George Orwell, attraverso il linguaggio si plasma il pensiero. L’uso di etichette svalutanti per isolare minoranze scomode e critiche sfrutta abilmente alcune delle leve psicologiche della manipolazione: per esempio, la conformità sociale, la categorizzazione e l’accentuazione della differenza, la coesione della maggioranza, la credenza nel mondo giusto e così via. In questo modo, si scoraggia l’espressione delle idee, per paura delle ritorsioni, si compatta l’ideologia della maggioranza, che si sente così infallibile, si semina odio per evitare che la gente se la prenda con i manipolatori, si scoraggia l’analisi delle sfumature e la ricerca di un punto di incontro fra le posizioni. Quindi il senso di infallibilità da una parte e la paura ad esporsi dall’altra sono segnali inequivocabili di manipolazione in atto.
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Uso di fallacie e di argomenti ad baculum (chi grida più forte): poiché a scuola non si insegnano più logica e teoria dell’argomentazione, alla maggior parte delle persone è difficile percepire le fallacie logiche e argomentative. In televisione, una delle più usate è l’argomento ad baculum: ha ragione chi grida più forte e zittisce l’avversario. Ovviamente, la prepotenza e la prevaricazione, anche se vengono dalle istituzioni, non sono affatto un segno di buona fede. Chi urla lo fa perché non ha argomenti. È una fallacia anche quella ad personam: attaccare la persona e denigrarla, perché veicola verità scomode, anziché argomentare la propria tesi, che è indifendibile. Altro esempio, largamente usato nei media, è la fallacia ad ignorantiam: se non ho le prove di un fenomeno, allora quel fenomeno non esiste. In realtà, l’assenza di una prova non è mai la prova di un’assenza. Al massimo, può portarmi a sospendere il giudizio. Se non trovo il cadavere di una persona scomparsa, non vuol dire che è viva. Se non ho le prove che uno studente abbia copiato la versione di latino, non vuol dire che non l’abbia fatto. Questa fallacia permette di evitare di indagare ulteriormente su un evento, con risultati potenzialmente scomodi. La comunicazione politica e mediatica è infarcita di fallacie. Ne risulta, la fine del dibattito democratico, come evidenzia Franca D’Agostini in un bel libro, Verità avvelenata, Bollati Boringhieri. Se avvertiamo un senso di insoddisfazione per le modalità di un dibattito o di un talk-show o per una campagna pubblicitaria o se un ricercatore viene denigrato pubblicamente come un ciarlatano dopo aver detto qualcosa di scomodo, è probabile che siano presenti fallacie di cui non ci siamo accorti e che la mancanza di argomenti a sostegno della propria tesi abbia spinto qualcuno a mettere in moto la macchina del fango.
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