di Antonella Grana
Dopo svariati viaggi e soggiorni nei territori dei Sibillini colpiti dal sisma, in particolare tra Umbria e Marche, tento di tirare un po’ le fila di quanto “sperimentato” in loco in relazione a territorio e cultura.
Per iniziare suddividerei in due sezioni diverse le voci territorio e cultura:
- La cultura del territorio, dove per cultura del territorio mi riferisco all’attenzione verso l’ambiente
- Territorio e cultura/storia, legato alla presenza/assenza dell’essere umano e delle sue costruzioni
La cultura del territorio
Ciò che mi ha colpito maggiormente dei Monti Sibillini sono i colori molto vividi, il paesaggio che si tinge di ocra verso la fine dell’estate facendolo somigliare alla California, la limpidezza del cielo. La cultura del territorio, il fatto di preservare un ambiente incontaminato credo sia il risultato di anni di lavoro dell’Ente Parco dei Sibillini. Vi sono luoghi particolari come, a esempio, il Lago di Pilato. Si tratta di un piccolo lago naturale, di origine glaciale, a forma di “occhiello” in cui vive un organismo unico al mondo chiamato “Chirocefalo dei Marchesoni”. È un piccolo crostaceo branchiopede di colore rosso che misura 9-12 millimetri e nuota col ventre rivolto verso l’alto.
L’ecosistema del lago è molto delicato e la presenza dell’essere umano può essere estremamente dannosa. L’Ente Parco vigila costantemente, è proibito bagnarsi ed è necessario mantenere una distanza di almeno 5 metri dal bordo per evitare di calpestare le uova del chirocefalo deposte a riva, tra le rocce in secca.
A onor del vero, a causa della mancanza di segnaletica lungo i sentieri dopo il sisma, poco più di un anno fa alcuni turisti stranieri erano arrivati fino al lago e vi si erano immersi,per fortuna senza conseguenze per il chirocefalo. I sentieri oggi sono ripristinati per più del 80% e praticabili per escursioni con vari livelli di difficoltà.
Questi luoghi sono definiti spesso con l’aggettivo “incontaminati” e in effetti lo sono ma, paradossalmente,ciò che manca di più è proprio la presenza umana, fattore che si è acuito dopo il sisma. A volte si ha la sensazione che la specie in via di estinzione sia proprio l’essere umano. Probabilmente sarebbe necessario iniziare a raccontare il territorio con vocaboli e con “storie” nuove per attirare turisti consapevoli del rispetto con cui è necessario approcciare quel territorio a oggi ancora ferito.
Come ho già avuto modo di scrivere ho un vocabolo che inizia proprio a starmi stretto, il vocabolo è magia. Se si chiede, a chiunque, perché una persona dovrebbe fare centinaia di chilometri per visitare i Sibillini, la risposta che si riceve è “perché sono luoghi magici”. Cosa si intenda per magia non è dato sapere, ci si riferisce soprattutto alla leggenda della Sibilla. Dalla Sibilla a una visione Sibillini-centrica, con una scarsa propensione a relazionarsi e a raccontarsi verso l’esterno, il passo è breve.
Territorio e cultura
Queste aree si distinguono per la presenza di chiese e borghi. Il culto cristiano si mescola con le storie pagane della Sibilla. I borghi sono generalmente molto piccoli, alcuni come Castelsantangelo sul Nera (MC) contavano prima del sisma poco meno di 200 abitanti che diventavano circa 3000 nel periodo estivo poiché vi era una buona presenza di B&B e molte famiglie possedevano seconde case. Dopo il sisma il turismo, per mancanza di strutture, si è praticamente azzerato, fatto salvo il turismo giornaliero che, per forza di cose, è un turismo prettamente locale. Molte persone temono i pernottamenti nelle strutture funzionanti. Noi ci siamo fermati più volte, in diverse strutture agibili, non ci sono stati problemi e sicuramente in alcune tornerò e in altre no, per un puro e semplice livello di servizio ricevuto. In qualche posto, sia ristoranti che alberghi, il terremoto è diventato un alibi per dare un servizio (e dei pasti) pessimo.
Il numero di strutture storiche che si possono trovare, tra dimore, castelli e soprattutto chiese, è impressionante. Considerate che il solo paese di Castelsantangelo sul Nera, splendido con le sue mura a pianta triangolare, ne contava più di 20. In una delle sue frazioni, Vallinfante, a causa (in questo caso forse è grazie) del terremoto sono stati scoperti nella chiesa di Santa Maria degli affreschi databili all’inizio del XV sec. La chiesa ora è stata messa in sicurezza con tecniche innovative anche se purtroppo si trova in zona rossa e non è raggiungibile. L’essere umano sta rimanendo fuori dalla sua storia.
La cultura del territorio e territorio/cultura/storia sembra facciano più fatica a coesistere dopo il sisma. La ricostruzione procede con difficoltà a causa dell’ampiezza dell’area colpita. Il grande patrimonio storico va preservato ma chi è più in sofferenza è l’essere umano che non riesce più a riappropriarsi dei propri luoghi. Le frizioni con l’Ente Parco che deve gestire, e va doverosamente ricordato, un territorio molto vasto, coperto da vincoli paesaggistici e che abbraccia le regioni Marche e Umbria, sono pressoché giornaliere. Il tasso di litigiosità e di esasperazione è altissimo. Il rischio dell’abbandono dei borghi più piccoli è dietro l’angolo.
Per poter evitare tutto questo, l’economia del territorio va ripensata, a partire dall’interazione tra uomo e ambiente in un processo costruttivo e inclusivo delle varie istanze: quelle dei Comuni che devono evitare lo spopolamento, quelle dell’Ente Parco, Regioni, ma anche amministrazioni in genere, che devono portare avanti una visione di territorio che, ne ho la forte impressione, è mal comunicata, frammentaria, magari un po’ datata e per questo poco condivisa dalla popolazione.
Si può ricominciare? Certamente sì. Il sisma che ha azzerato ciò che c’era prima può diventare un punto di forza per riscrivere la storia dei luoghi in processi che si integrano. Ecco allora che territorio, cultura, storia diventano anche economia e sviluppo. Sarà semplice? No, decisamente no. Ma strumenti decisionali, manageriali, tecnici, risorse economiche ci sono, basta volerli usare in “armonia”.
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