E’ sempre più fuori controllo la gestione dei pesticidi
Urgente la riforma del processo europeo di valutazione del rischio dei pesticidi in commercio
Da sempre, la Monsanto invoca la scienza come stella polare della propria attività, tacciando di dogmatismo antiscientifico coloro che avversano l’uso di erbicidi e gli OGM. Nelle sue campagne di marketing, adopera slogan quali “RadicatiNellaScienza”, osando apporre il proprio nome e simbolo su ritratti di scienziati eminenti della storia mondiale. A onor del vero, la Monsanto spende circa il 10 per cento del proprio fatturato in ricerca & sviluppo e “crede che l’innovazione abbia il potenziale di portare i bisogni umani in equilibrio con le risorse del nostro pianeta.” Sfogliando le presentazioni aziendali on line e quella dell’ ECPA, lobbysta a favore delle multinazionali dell’agroalimentare, notiamo come il marketing dei produttori di pesticidi/erbicidi abbia ideato una narrazione davvero suggestiva a sostegno dei loro prodotti, atta a suscitare nel lettore ad un tempo partecipazione emotiva e timore, un classico della propaganda.
Nuvole plumbee si stagliano all’orizzonte dell’alimentazione umana: nel 2045, vi saranno 9 miliardi di bocche da sfamare sul pianeta terra, un aumento demografico vertiginoso che può avere conseguenze devastanti se affrontato in modo inadeguato (sottotesto: agricoltura biologica). Ma niente paura, la mano invisibile del mercato ha creato le multinazionali agroalimentari e i loro promoter, fra cui…Graeme Taylor!
In un astuto articolo apparso su Politico, il direttore del marketing di ECPA racconta come sua figlia, una bimba di sei anni, abbia colto esattamente il senso della sua missione: papà alias Superman prima salvava le foche (Taylor era riuscito in un precedente incarico a far approvare la messa al bando del commercio delle loro pellicce), ma ora “salva il cibo”. E come lo salva? Grazie a prodotti “per la Protezione dei Raccolti”, pesticidi per il volgo. L’industria, infatti, ha raccolto il guanto dell’“enorme sfida sociale di salvare il cibo”, di avere “un’offerta alimentare sicura e alla portata delle tasche” di una popolazione in aumento esponenziale (in realtà, l’aumento demografico mondiale è in preoccupante calo). E tale sfida può solo essere affrontata attraverso “l’innovazione e la tecnologia”, per ridurre “l’uso di suolo e risorse.”
OGM e i “prodotti di protezione dei raccolti” sono le innovazioni capaci di sventare “flagelli d’insetti infestanti ed epidemie” e assicurare il rifornimento di cibo in un quadro di “risorse naturali vieppiù scarse”. Ma “in questa parte del mondo”, “innovazione e tecnologia hanno una minore accettazione sociale”, aggiunge amaro. Vi si oppongono forze oscurantiste che, se non saranno vinte, possono riportare fra noi lo spettro della fame: “Decisioni prese oggi in questa città – Bruxelles, N.d.A. –, potrebbero far sì che quando si entra in un supermercato si possa comprare, non più una cipolla intera, ma solo metà”. Conclude, poi, cupamente: non vorrei dover dire a mia figlia che “Papà non è riuscito a salvare il cibo.” Ovviamente, nel caso infausto in cui gli enti regolatori europei e la Commissione si lasciassero persuadere da quelle forze oscurantiste a testare seriamente pesticidi ed erbicidi prima di ammetterli in commercio.
Sulla strada dei Salvatori del Cibo si frappongono, infatti, scienziati “politicizzati” che, sbandierando “scienza spazzatura”, osano, fra l’altro, classificare il glifosato “un probabile cancerogeno per l’uomo,” come avvenne in quel fatidico giorno di marzo 2015 da parte di IARC.
La Monsanto ha sempre proclamato a gran voce l’innocuità del glifosato, sostenendo che l’attestano sino a un migliaio di studi. E’ d’obbligo, tuttavia, sottolineare che la maggior parte degli studi è realizzata o finanziata dall’azienda stessa. Secondo Carey Gillam, una giornalista investigativa, è scandaloso che gli enti regolatori sulle due sponde dell’Atlantico basino l’approvazione della licenza di un prodotto su studi tossicologici sponsorizzati dalle aziende produttrici stesse e che, per di più, richiedano studi realizzati unicamente sul principio attivo (il glifosato), non sui formulati. Ma sono i formulati come il Roundup a essere materialmente spruzzati sul nostro cibo e questi includono altri potenti ingredienti (formulanti), la cui tossicità non è MAI stata sistematicamente testata.
Gli studi aziendali presentano, inoltre, qualche altro problemuccio: essendo coperti da segreto commerciale (trade secret), non sono pubblicati sulle riviste scientifiche e, quindi, non sono sottoposti allo scrutinio degli altri scienziati (inter pares) o del pubblico. Infine, è stato scoperto (vedere “Monsanto Papers”, documenti interni che l’azienda è stata costretta a depositare in tribunale, a seguito delle cause intentategli da persone ammalate di cancro) che pure la manciata di studi apparsi su riviste scientifiche e firmati da scienziati apparentemente indipendenti sono stati celatamente scritti da ricercatori della Monsanto, “avvelenando il pozzo della scienza”.
Sin dagli anni ’80, la ricerca scientifica aveva scoperto che i risultati variano in dipendenza di chi sia la fonte del finanziamento della ricerca. Se è l’industria, i risultati sono favorevoli al prodotto; se le fonti sono pubbliche, molto meno. Ciò può essere causato da due fattori principali: 1. Il cosiddetto “funding bias”: i ricercatori che lavorano per le aziende tendono a ideare gli studi in modo tale che abbiano risultati positivi per i propri sponsor. Ad es., i topi cui viene somministrato glifosato vengono sacrificati molto giovani, prima che possano essere osservati risultati negativi; 2. Il “Publication bias,” le aziende non pubblicano gli studi se i risultati sono avversi al prodotto.
Un problemuccio non da poco quando è proprio questa scienza “regolatoria” alla base delle decisioni pubbliche. Le valutazioni degli enti regolatori europei, quali EFSA e ECHA, infatti, si basano primariamente su ricerca sponsorizzata dall’industria.
CATTURA DEI REGOLATORI Il sistema di valutazione del rischio dovrebbe essere costruito in modo tale da impedire la “cattura dei regolatori” da parte dell’industria. Per questo, Citizens for Science in Pesticide Regulation, una coalizione europea di organizzazioni della società civile e scienziati, chiede a gran voce una riforma del processo di valutazione del rischio e ha presentato alla Commissione Europea un manifesto che affida a laboratori indipendenti la ricerca sui pesticidi. Quest’ultima dovrebbe essere finanziata da un fondo alimentato dall’industria (paga chi trae profitti dalla vendita del prodotto) e gestito da un ente pubblico totalmente distaccato dall’industria stessa, in modo che non vi siano contatti fra industria e istituti di ricerca. La sicurezza alimentare deve essere garantita, non da OGM e pesticidi, ma “proteggendo gli elementi fondanti dell’agricoltura: biodiversità, fertilità del suolo e qualità dell’acqua”, che l’attuale sistema, lungi dal “salvare il cibo”, ha messo in grave pericolo.
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