Sempre meno uguaglianza, sempre più “Ugualita’”

Uno spettro si aggira per il mondo. È  il simulacro di un valore che ha animato i furori della Rivoluzione Francese e di tutte le conquiste sociali discese a cascata. Quel valore è l’uguaglianza, un principio sacrosanto che innerva di sé anche la nostra Costituzione. Se però l’uguaglianza muore e un fantasma (che chiameremo Ugualità) la sostituisce, allora ci dobbiamo preoccupare. Si sta affermando (anzi, già impera) il postulato per cui l’uguaglianza non è la convivenza reciproca di diversità rispettate, ma la fobica cancellazione di ogni residua differenza. O, per dirla altrimenti, sotto le sue mentite spoglie viene spacciato il culto dell’omologazione.

Così, se un tempo in nome dell’uguaglianza si predicava il dialogo, oggi sotto il vessillo dell’Ugualità si impone il monologo. Ma c’è un ma. È impossibile trattare il prossimo da ‘uguale’ se non si parte dalla ricognizione della propria identità costitutiva. È da qui che muove il riconoscimento dell’altro e il rispetto per le sue peculiarità.

In fondo, è la cifra stessa del cristianesimo e della regola aurea, radici della  civiltà occidentale. La vera uguaglianza si basa sulla consapevolezza orgogliosa di ciò che connota e differenzia. L’Ugualità si nutre del suo opposto, è la supina accettazione di ciò che pialla e nullifica.

Provate a mettere in fila una serie di fenomeni all’apparenza scollati, ma in realtà uniti da un fil rouge, e svelerete un processo in atto a più livelli, su piani così distanti, e distinti fra loro, da occultarne la matrice comune. Quotidianamente, sotto i nostri occhi addormentati, nuovi avamposti dell’Ugualità si impongano in ambito etnico, politico, sociale, religioso, sessuale, persino geografico. Esemplare, in proposito, la formidabile spinta all’eutanasia di ogni velleità nazionale e l’altrettanto poderosa campagna a favore di entità astratte, tanto inconsistenti sul piano storico, quanto carenti su quello della legittimazione democratica, tipo il Frankenstein da laboratorio che risponde al nome di UE.

Aldilà dei sussulti indipendentisti, nazionalisti, antieuropeisti che, per fortuna, ancora fermentano, osservate dove va il treno della pubblicistica di massa, dove soffia il vento degli opinion makers: nella direzione contraria, e voluta, dell’appiattimento delle specificità nazionali. Non a caso, discutere il dogma significa beccarsi di populista o di nazionalista, dove il suffisso è in spregio a chi osteggia la lunga marcia della disgregazione massificante.

Prendiamo la politica. L’ideologia è morta e anche destra e sinistra non si sentono molto bene come dimostra l’ultimo pasticcio della pazza crisi d’Agosto. Niente distingue più le posizioni dei partiti anche laddove  marcano, più per tic che per convinzione, una differenza che non c’è. Spopolano i governi di coalizione, i gabinetti di unità nazionale, gli archi costituzionali a tutto sesto e, ovviamente – l’ultimo grido in materia – i governi giallorossi.

Ci dicono trattarsi di esigenze temporanee dettate da contingenze eccezionali. E invece è il duraturo e normale portato del trionfo dell’Ugualità.

Dai sogli più alti non si fa che esortare alle soluzioni condivise, ai compromessi responsabili, alle ricerche di equilibrio. In verità, non c’è discrepanza alcuna, se non di colore, fra chi deve assecondare le ugge dei mercati, i capricci della finanza, i latrati degli eurocrati e chi vuole compiacere  le ugge dei mercati, i capricci della finanza, i latrati degli eurocrati.

Sul piano religioso, idem. Vi siete chiesti perché papa Francesco sia così amato e vezzeggiato ai limiti dell’idolatria persino dalla stampa laica, progressista, per definizione a-confessionale? Perché è il pontefice più ecumenico ed ‘elastico’ della storia, perché non rompe l’anima rivendicando i fondamentali di una religione che dovrebbe essere (come tutte) inflessibile sul Credo, instancabile nell’affermazione di una Verità con la V maiuscola che dialoga ma non capitola di fronte alle minuscole verità del mondo. E invece Bergoglio media, stempera, concilia. Agevola, diciamo, la diffusione di quell’afflato ecumenico, umanitarista, bonario che in nulla si differenzia da cento altri afflati ugualmente ecumenici, umanitaristi, bonari da mille altre fonti propinati. È  un papa in sintonia coi  tempi. Questione di feeling, e infatti l’intellighenzia ugualitaria lo applaude.

Alla “Regola” non sfugge neppure lo sport. Da quello più popolare, il calcio, a quello più popolano il ciclismo. Nel primo caso è stato introdotto l’illecito di discriminazione territoriale. Un’altra bestialità per cui se un veneto sfotte un napoletano e un siciliano sbertuccia un padovano, chiudono la curva di uno stadio. Quanto alle bici, al Giro d’Italia, pochi anni fa, un povero gregario (meridionale!) venne messo in croce perché gli scappò la parola ‘terrone’ in una volata. Ormai ci hanno talmente rieducati che abbiamo oltrepassato la soglia orwelliana dello psicoreato. Prima ancora di aprir bocca ci chiediamo se non stiamo per dire una cosa troppo normale, ma anche troppo ‘ugualmente’ scorretta da farci rischiare la gogna.

Vogliamo parlare della sfera sessuale? Oggi ciò che si pretende non è tanto il rispetto per chi ha preferenze sessuali difformi dalla maggioranza, quanto piuttosto il culto dell’indifferenziazione di genere. Come? Con il bombardamento dell’entertainment che  sforna a getto continuo film, serie, format, spot veicolanti un modello di famiglia e società dove l’essere maschio o femmina non è nemmeno irrilevante, ma addirittura arcaico, se non un disvalore da sopportare (per ora). L’apoteosi dell’ugualità. Non solo devi amare le minoranze, devi anche autocensurarti per non urtarne la suscettibilità. Con conseguenze ridicole se non fossero foriere di esiti tragici. Rimedi? Sforzo e coraggio. Sforzo supplementare per scampare alle spire della manipolazione e coraggio di sfidare a testa alta la prepotenza dell’Ugualità.

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