Grattacelo

 

di Francesco Veronese

Tra il 1100 e il 1300 furono costruite a Bologna un centinaio di torri. È molto probabile che le prime avessero una funzione militare di avvistamento, a difesa del territorio, sottoposto al potere feudale dell’impero. Con l’inizio del sistema politico comunale, si proseguì a costruire torri, era il periodo delle guerre tra guelfi e ghibellini, ma divennero ben presto simboli di potere delle famiglie rivali più importanti della città. Cessata la lotta tra guelfi e ghibellini, dal trecento in poi, non si costruirono più torri, molte furono ridotte, demolite, fuse in altri edifici, destinate a funzioni pubbliche o religiose. Ne sopravvivono oggi una ventina, quella degli Asinelli è sicuramente la più famosa, svetta ancora verso il celo con i suoi 97 metri di altezza, pendenti verso ovest.

Si può dire che Bologna sia rinsavita, abbia cioè compreso, ad un certo punto della sua storia, che le torri, crescendo in verticale, sono l’opposto di ciò che invece serve all’uomo per una vita in sintonia con la natura. Crescendo in altezza ci si allontana dai giardini, dagli orti, dalle foreste piene di animali, dal mare, dai fiumi, dai laghi, dalle camminate sui prati e sulle spiagge e da tutto ciò che il suolo ha fornito all’uomo per centinaia di miglia di anni, permettendogli di progredire. Noi oggi siamo così perché ci siamo evoluti grazie alla natura a cui apparteniamo. Non c’è dubbio che allontanandoci da essa, ci discostiamo dalla nostra felicità, già di per sé tanto difficile da raggiungere.

Il gotico si sviluppava in altezza perché rappresentava l’anelito dell’uomo verso il divino, verso la spiritualità. Difficilmente riusciamo adattare questo concetto al grattacelo. Essendo frutto di un’economia in competizione molto combattiva, elevarlo a simbolo di un innalzamento del pensiero e della mente umana, dalla materialità del suolo all’aria dello spirito, sembra piuttosto arduo. Il potere della retorica può anche tentare di farlo, ma quando ci si pensa bene, inevitabilmente il grattacelo finisce per mostrarsi in tutta la sua realtà: l’emblema di un potere economico, che vuole crescere all’infinito, che vuole far diventare imperitura la sua forza, pretendendo di emulare Dio.

Si costruiscono grattaceli sempre più alti, grazie alla scoperta di nuovi materiali e di nuove tecnologie. A cosa servono gli 828 metri di altezza del Burj Khalifa di Dubai o i 632 della Shanghai Tower? Servono solo a celebrare la fortuna economica di particolari élite, forse anche a lanciare il loro monito al mondo con cui mostrano la loro potenza, il loro anelito di dominio. Chi ha voluto associare al grattacelo il fallo, probabilmente trasforma inconsciamente il seme virile, la fertilità e l’origine della vita in simboli di potere, quel potere che arriva a controllare anche la generazione della vita e per questo pretenderebbe di avvicinarsi a Dio.

Nel giugno del 2013 il collettivo artistico e politico Shift//Delete di Londra ha animato il grattacelo fallico Gherkin con delle proiezioni laser di un vero e proprio atto di masturbazione. Il Gherkin, un pene con un’erezione alta 180 metri, è il simbolo dell’egemonia finanziaria delle banche e dei poteri forti. Lo scopo era quello di dare voce all’indignazione per tutti coloro che stavano subendo tagli ai propri budget, assistenza, ore di lavoro, diritti, libertà e qualità della vita, mentre il Parlamento non faceva niente per colpire i banchieri.

Anche l’aspetto esteriore del grattacelo definisce il concetto di bellezza dal punto di vista prettamente capitalistico, escono paradigmi nuovi e stravaganti della sua forma, delle sue caratteristiche di espressione, descrivendo la modernità con una vistosità inconsueta quasi provocatoria.

Il grattacielo pertanto manifesta la visione capitalistica del mondo che considera l’economia e la finanza sopra ogni altra cosa; queste sono le cause prime della disumanizzazione della vita. Il loro obiettivo è aumentare sempre più la propria dimensione, accumulare ricchezze e sfruttare sempre più risorse e persone con la competizione, esibire la propria grandezza ignorando la natura e i bisogni più fondamentali dell’uomo.

Sembra quasi che la massimizzazione degli utili induca l’uomo a staccarsi dalla natura e guardarla dall’alto, quasi ne fosse al di fuori, ricordandogli però che, rispetto alla mastodontica mole del grattacelo, egli comunque non è nessuno.

Il mondo globalizzato, vittima della finanza più egocentrica, imbruttito dalla più cruda insensibilità verso i più deboli, mercificato dal mito imperante dell’utile, disumanizzato dall’egoismo più gretto di una politica asservita al libero mercato privato senza controllo, che pone l’uomo al servizio dell’economia e non viceversa, ha come simbolo il grattacelo.

 

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