di Giusy Calabro
In un periodo di inganno universale, dire la verità è un atto sovversivo (George Orwell)
Nella “società dell’informazione” è noto come l’intelligence filtri, influenzi e interpreti le “fonti aperte”, ossia i media, per ottenere dati sui cittadini e indurli a operare secondo un preciso scopo socio-politico.
Nel 1995 fece scalpore l’articolo “Modern Art was CIA Weapon” pubblicato dal quotidiano britannico “The Indipendent” (intervista a Thomas W. Braden) in cui veniva pubblicamente riconosciuto il contributo della CIA alla promozione dell’arte moderna. In realtà la Central Intelligence Agency si interessò principalmente all’astrattismo, utilizzando l’arte moderna americana come arma nella Guerra Fredda. Per più di un ventennio la CIA divulgò l’Action Painting alla stregua di un mecenate rinascimentale, promuovendo l’arte astratta americana e la pittura espressionista a livello globale.
Il sostegno fu possibile grazie a una serie di “finanziamenti nascosti” alla rivista artistica “Encouter” e al circolo Congress for Cultural Freedom ma, soprattutto, attraverso l’organizzazione di grandi mostre itineranti fra gli Stati Uniti e l’Europa come la notoria “The New America Painting” (1958-1959), “Modern Art in United States of America” (1955) e “Masterpieces of XX Century” (1952). Nel 1941 fu proprio Nelson Rockfeller, direttore e fondatore del MoMA (Museum of Modern Art) di New York, a fornire i fondi. Peraltro, secondo le rivelazioni del giornale britannico, il MoMA sembrerebbe stato un “feudo della CIA” legato all’agenzia mediante molti canali. Non sarebbe casuale che proprio William Paley, presidente di CBS nonché tra i fondatori della CIA, fosse membro del programma di internazionalizzazione del museo. Già nel 1930 l’agente segreto John Hay Whitney, operativo in guerra e assegnato anche all’OSS (Office of Strategic Service), fu direttore del museo. Infine si riconosce anche il coinvolgimento di Tom Braden, primo capo della Divisione Organizzazioni Internazionali della CIA e dal 1949 segretario esecutivo del MoMA. In poco tempo, grazie alla campagna segreta, Parigi smise di essere la capitale artistica mondiale per lasciare il posto a New York. Le linee operative erano due: da un lato, artisti americani filocomunisti ignari della “macchina bellica” che li cooptava segretamente in base alla “strategia del guinzaglio lungo” (controllare per promuovere); dall’altro un gruppo di artisti che conoscevano bene la rete che li sosteneva, come afferma l’articolo “Modern Art was a CIA weapon” (22 ottobre 1995) scritto dalla giornalista britannica Frances Stonor Saunders (inchiesta ripresa nel 1998 da James Petras sulla prestigiosa rivista inglese marxista “Monthly Review”).
Willem de Kooning – Woman dal catalogo mostra MOMA_New_York_1950
Ecco i nomi degli artisti presenti nel catalogo MoMA: Jackson Pollock, Willelm de Kooning, Mark Rothko, Robert Motherwell, Barnett Newman, Bradley Walker Tomlin, William Baziotes, Jack Tworkow, Philip Guston, James Brooks, Sam Francis, Arshile Gorky, Grace Hartigan, Clifford Still e Theodoros Stamos. Tali artisti negli anni ’50 furono promossi dalla CIA e dai “poteri forti” che investirono nella New American Painting per pianificare la loro propaganda contro la Russia e i Paesi del blocco orientale mediante una scaltra e cinica strategia fondata sulla diffusione della libera espressione della soggettività e della scomposizione dei segni pittorici. Tuttavia non fu l’unico motivo: nel divulgare un linguaggio alternativo al “rigore” formale del realismo sovietico dell’epoca, l’espressionismo astratto avrebbe creato una “rivoluzione culturale controllata” nelle società occidentali che ne avrebbe mutato il gusto estetico in modo irreversibile. A dimostrazione di tale trasformazione fruitiva sarebbe esemplare l’aneddoto riferito alla visita del presidente Truman a una mostra d’arte moderna, il quale sconcertato esclamò: «Se questa è arte, io sono un ottentotto!»
Tuttavia, a dispetto del presidente, il nuovo “linguaggio americano” si sarebbe diffuso a livello mondiale veicolando la tendenza alla sregolata “negazione della forma” che, da allora, divenne il trade-mark di tutte le espressioni del costume occidentale coevo. Da allora le opere informali degli astrattisti americani furono esposte in vari luoghi ufficiali ma, soprattutto, si assistette a una rivoluzione collettiva dell’“immaginario visivo” dell’uomo occidentale. L’eccelso figurativismo di Giotto, Beato Angelico, Michelangelo, Leonardo, Raffaello e Caravaggio fu soppiantato dall’istintualità gestuale e indefinita dei maestri della “non-forma” e del caos.
Insomma, l’arte ancora una volta si chinava al servizio del potere per comunicare al mondo le peculiarità della civiltà americana: la caotica apertura mentale di un universo in espansione rispetto al formalismo russo. D’altronde, come si potrebbe tralasciare che negli stessi anni fu sempre la CIA a finanziare analoghe forme di “mecenatismo culturale” supportando altrettanto occultamente il nascente movimento femminista, la cultura del LSD, la rivoluzione sessuale e, in tempi più recenti, l’ideologia gender?
Soprattutto nell’odierna “società digitale” i Servizi segreti occupano una posizione medio-alta in qualità di decisori politici; nell’ambito informativo si collocano al vertice assolvendo il celato e tattico compito di orientare, consolidare e destabilizzare le dinamiche socio-politiche globali. Negli anni Cinquanta e Sessanta l’Espressionismo astratto fu la prima corrente tipicamente americana che, nel periodo della Guerra Fredda, venne strumentalizzata dalla CIA in termini di individualismo e democrazia: tattica ideologica per soppiantare il figurativismo e il realismo di stampo socialista.
Da un’intervista della Saunders a un ex agente della CIA si ricostruisce il quadro strategico in base al quale fu diffuso l’espressionismo americano col fine di creare consenso negli intellettuali europei e poter vincere la guerra contro l’URSS. Finanziando artisti come Pollock e de Kooning l’intelligence promosse l’America come simbolo di libertà artistica e del linguaggio irrazionale e informale, in opposizione con la linea di Mosca.
Negli anni ‘50 l’Unione Sovietica riuscì ad accaparrarsi gran parte del consenso degli intellettuali francesi e nostrani infatuati dal marxismo. D’altronde, la campagna comunista contro l’arte moderna fu violenta e repressiva: A. A. Zdanov (1896-1948) lanciò la linea egemonico-contenutistica della fedeltà oggettiva al reale e all’iconografia tradizionale. Anche in Italia artisti come Lucio Fontana e Alberto Burri si sganciarono da tale corrente e passarono al sogno americano dell’illusoria espressione democratica, attraverso un’arte materica e fluida.
L’arte russa avrebbe dovuto competere con l’irrazionalità occidentale e codici psicoanalitici che gli USA stavano diffondendo per comunicare al mondo la propria egemonia politica.
L’Action Painting venne condotta agli estremi con la tecnica del dripping (colore sgocciolato in modo causale sulla tela) di origine dadaista. Per l’arte americana il contenuto fu trascurabile, rispetto al soggettivismo esasperato tipico dell’”american way of life” che si sarebbe affermato come prioritario nell’Europa occidentale.
Nel 1995 sempre la Saunders pubblicò i risultati della sua inchiesta in The Cultural Cold War fondata sulle rivelazioni di anziani dirigenti della CIA ideatori dell’operazione. Paragonandosi ai mecenati del Rinascimento italiano gli agenti imposero New York come capitale mondiale dell’arte, surclassando Parigi. Loro obiettivo fu superare i russi nella conquista degli intellettuali filocomunisti, innanzitutto francesi e italiani. Una vera e propria guerra della comunicazione per il consenso culturale.
Dal 1939 al 1950 in Italia e Francia ci fu il “travaso” di intellettuali e artisti dall’orientamento fascista a quello filocomunista: “ricostruzione” attuata dal critico d’arte del PCI Antonello Trombadori: fu tale azione ad allarmare e mobilitare l’intelligence americana.
D’altro canto anche la maggioranza dei dirigenti dell’OSS (Office of Secret Service) fu costituita da radical-chic e anche negli Stati Uniti il PCUsa fu abbastanza rilevante coi suoi scrittori e cineasti che seguivano l’intransigente linea contro Mosca (Patto Molotov-Ribbentrop Molotov, 1939) contro i comunisti francesi accusati di essersi adeguati al patto Hitler/Stalin. Tuttavia, neanche in patria, i pittori astratti godevano di buona fama, nonostante il lancio della CIA in Europa e le acquisiszioni del MoMA e del Whitney Museum e la partecipazione a esposizioni quali la Biennale di Venezia e i maggiori musei europei. Inoltre, ogni volta che si prospettava un’onerosa trasferta all’estero si trovava un magnate miliardario come Rockfeller che, apparentemente, finanziava.
Nello stesso periodo di tempo il Partito comunista sovietico scatenò una campagna brutale contro la pittura moderna bollata come arte degenerata (come era accaduto nella Germania di Hitler) decadente e disgustosamente borghese, mentre oltreoceano Pollock danzava sulle tavole come un indios (tribù con cui aveva condiviso l’infanzia), gocciolando i colori: atto espressivo definito dispregiativamente dalla stampa dell’epoca come “drip drop and splash” (“gocciola lascia cadere e schizza”). La CIA convertì fra i massimi autori del dopoguerra il delatore inglese George Orwell, autore dell’anti-staliniano “Animal Farm” (1945) del quale promosse anche la versione cinematografica, trasformandolo in best seller. La sceneggiatura fu consigliata dal Consiglio Strategico Psicologico che ne divulgò a livello internazionale il messaggio ideologico. Nel 1949 Orwell pubblicò “1984” che fu considerato un originale capolavoro anticomunista, mentre era soltanto un’arma dell’intelligence incentrata sull’attuale tema della minacciosa omologazione del pensiero condotta dalle sette multinazionali (il “Grande Fratello”) che controllano e gestiscono i media. L’autore svolse anche l’attività di delatore per l’intelligence, fornendo il 21 maggio 1949 la lista di 38 intellettuali criptocomunisti, fonte desecretata e resa pubblica dal Public Record Office. Insomma, i “mecenati segreti” furono molto più specializzati rispetto ai critici dell’epoca nell’ingaggio, nella protezione e addirittura nell’arruolamento degli intellettuali stranieri (es. l’autore italiano Ignazio Silone e il francese André Gide), preferendo investire soprattutto sui pittori.
D’altronde la CIA assolse anche la funzione di talent scout e cultural manager aprendo decine di periodici fra cui il celebre “Encounter” (fondatori: Stephen Spender e Irving Kristol) organizzando anche le lunghe tournée di Louis Armstrong e altri cantanti neri, inviati in Europa col fine di rettificare l’immagine del conflitto razziale in Alabama e nel Sud.
La politica dei servizi segreti americani fu molto astuta, colta e raffinata come i suoi ex agenti dell’OSS e anche in Italia essa permise a molti artisti sinistrorsi, angariati dalle direttive del PCI allineato con Mosca, di sganciarsi dal realismo e seguire la via dell’astrattismo. Burri, affascinato dal gioioso clima di anarchia creativa proveniente dagli USA, iniziò la sua sperimentazione materica: sacchi di juta, plastiche fuse e metalli contorti sui quali scaricava il suo fucile di grosso calibro usato come pennello. L’operazione della CIA negli anni Cinquanta e Sessanta produsse in Italia la libera espressione delle tendenze creative e sperimentali, mentre i pittori più ortodossi rimasero ancorati al realismo come Renato Guttuso che preferì sconfinare in un raffinato iperrealismo.
L’intervento della CIA fu essenziale per affermare l’Espressionismo astratto americano come una delle più importanti tendenze dell’arte del Novecento.
Commenta per primo