Musica&Parole Figlio della terra: una poesia in musica

L’incontro di arti nobili, poesia e musica a confronto. - “Accettati, non cambiare, sii chi vuoi, non modificare in base al dolore”

I musicisti Alessio Felicetti e Carlo D’Ariano

Dialogo tra due amici: un racconto che parte dalla poetica moderna e che diventa musica attraverso un giovane musicista

Intervista ad Alessio Felicetti, a cura di Carlo D’Ariano

Il rapporto con Alessio va ben oltre l’amicizia, siamo ormai come fratelli. Ci siamo conosciuti al Conservatorio di Milano, nella classe di Storia della Musica, durante un anno, tra l’altro, disperato poiché dovevamo sostenere un esame che comprendeva un programma di ottocento anni di storia. Lui studiava tromba e composizione e io ero nel dipartimento di musica antica e studiavo la tiorba, strumento barocco. Abbiamo condiviso assieme molte esperienze fantastiche e momenti di gioia. Lui è una persona molto particolare, ma conoscendolo fino affondo posso affermare che gli affiderei la cosa a me più cara, non conosco persona che abbia un senso di responsabilità maggiore del suo. E’ un musicista straordinario e tra di noi c’è stima reciproca. Artisticamente ha una mentalità veramente raffinata e molto aperta. Abbiamo fatto assieme tanti progetti e abbiamo l’ambizione di fare un concerto assieme, lui sul podio e io chitarrista solista, per eseguire il concerto per chitarra e orchestra numero 1 dell’opera 30 di Mauro Giuliani. Come compositore l’ho conosciuto bene quando io ho dovuto affrontare un esame di musica contemporanea e gli ho chiesto se gli andava di scrivermi un brano, ha accettato immediatamente e nel giro di due settimane mi ha scritto un brano che mi è piaciuto molto. Ha una struttura ben definita, andante, allegro e ripresa. Melodicamente è straordinario, ma anche molto difficile tecnicamente. La parte dell’allegro mi ha messo molto in difficoltà per la tecnica, però anche in quella parte predilige una melodia molto cantabile. Gli chiesi di scrivermi il brano proprio perché sapevo innanzitutto che mi avrebbe scritto musica tonale e soprattutto che mi avrebbe creato una delle sue melodie. E’ molto bravo a scrivere, per i compositori è difficile proprio creare l’idea tematica, a lui viene molto semplice. Ricordo una giornata molto piovosa a Milano, poco prima di Natale. Andai a casa sua per provare assieme il brano, fu straordinario il modo in cui lavorammo assieme sui dettagli. La musica era pronta, ma le rifiniture le ha fatte su di me. Abbiamo provato ogni singola nota, sia della melodia che dell’armonia, mi rese più facilmente eseguibili passaggi che mi erano difficili, diciamo che il brano me l’ha cucito sulle mani. Certo, poi lo dovetti studiare bene poiché è un brano bello ma difficile, però in un certo senso lo rese migliore grazie al fatto che si dedicò assolutamente alle mie esigenze esecutive. Fu un lavoro di un’intera giornata proprio per l’attenzione maniacale ai dettegli. Quando finimmo gli chiesi “Maestro, ma il titolo?” e lui con la sua ironia mediterranea mi esclamò un “Minchia!” alla siciliana. Lavorammo per ore e poi la cosa più semplice la trascurammo. Pensavamo ai soliti titoli, tipo “divertimento per chitarra No.1 Op1”, qualcosa di serio e anche nobile dato che il brano alla fine risultava molto bello. Alla fine, però, nella più totale umiltà il titolo che scelse fu “Mon Amis” e un sottotitolo con una dedica speciale in Calabrese “Allu cumpari miu Carlu”, (al mio amico Carlo) e così è stato registrato. Da Parigi alla Calabria in un secondo! La cosa straordinaria è che quella fu la prima composizione per Chitarra. Il mio è uno strumento particolare, non è semplice scrivere per Chitarra e non si impara da un giorno all’altro poiché è una scrittura essenziale ai minimi termini, gli mandai delle musiche da ascoltare, delle partiture e lui gli diede un’occhiata e dopo un giorno mi scrisse che aveva capito come compormi il brano. Al mio esame era presente quando l’ho eseguito, mi accompagnò in questa avventura fino in fondo e fummo entrambi soddisfatti. Detto ciò sono felice di essere a casa sua ad intervistarlo ed introdurmi, con lui, in questa sua nuova composizione.

Maestro, De Bartolo, Noemi, il brano per chitarra sola e ora questo brano sinfonico orchestrale. Alla base del processo compositivo è presente un’idea extramusicale (testo poetico, letterario, un’opera pittorica etc.) o un’idea musicale assoluta?

Nelle poche composizioni scritte ho avuto vari input. Ho musicato il testo di Primo Levi – “Se questo è un Uomo” – e in quel caso sono partito dalle immagini evocate dal testo, ragion per cui il sistema tonale in quel caso mi poneva grossi limiti, quindi il testo mi ha fatto optare per un qualcosa che andasse oltre la tonalità e naturalmente mi indirizzò anche verso l’organico da utilizzare. Il resto delle volte ho scritto musica per il piacere di farlo, senza partire da un qualcosa di extramusicale. Ho scritto quelle due marce sinfoniche perché provengo dalla grande tradizione bandistica del sud. Certo, entrambe dedicate: De Bartolo è la banda da cui sono musicalmente nato e Noemi è una persona a me molto cara, ma comunque non si parla di composizioni derivanti da contenuti extramusicali, ma di idea musicale assoluta. Anche il brano per chitarra non nasce da contenuti extramusicali, mi hai chiesto un brano, ma è nato comunque da idee personali.

Parti da un’idea melodica o armonica?

Solitamente parto da un’idea melodica. La tonalità che scelgo è quella che mi permette di rendere più affascinante possibile quell’idea tematica, una tonalità che mi permette di mettere in risalto un qualcosa che arrivi in fondo all’anima di chi ascolta. Prediligo il modo minore. Proviene da tristezza? I più grandi artisti hanno tirato fuori la loro arte più bella dalla sofferenza interiore. Prediligo il bel canto. Prediligo il Romanticismo e il Verismo. Ragion per cui, dopo aver scelto il materiale di lavoro si uniscono per avere un risultato finale. Comporre è come preparare un piatto. Ci sono gli ingredienti e quelli si usano. Se voglio fare una carbonara utilizzo ingredienti specifici, non mi servono tutti i beni culinari, stessa cosa è una composizione. Dipende! Scelti gli ingredienti, l’utilizzo dell’armonia, il movimento all’interno del sistema tonale, va da se dopo vari anni di studio della materia.

Come approcci dunque la scrittura per uno strumento che non suoni o che comunque non conosci in profondità?

Ecco, io provengo da una concezione musicale un po’ antica. Oggi molti non sanno far niente ma fanno tutto. C’è chi scrive due suoni a caso e si chiama compositore, chi sale su un podio a fare quattro “zompi” e si chiama direttore. A mio parere esiste un’etica morale, un’educazione, secondo la quale, per poter fare certe cose, bisogna conoscere. Si tratta anche di eleganza in un certo senso. Il non saper suonare uno strumento è già un limite. Se sapessi suonare perfettamente un determinato strumento mi verrebbe più semplice scrivere musica per esso. Tutta via, un compositore, così come un direttore d’orchestra, deve conoscere benissimo gli strumenti per cui scrive o dirige. Bisogna conoscere tutti i pregi e difetti sotto qualsiasi punto di vista, se si vuol fare musica. Altrimenti per emettere suoni a caso, anche le pendole che si hanno in cucina vanno bene. Però quando si mette mano alla scrittura o, peggio, si sale su un podio davanti un’orchestra con la quale si affronta una partitura altrui, bisogna conoscere cosa si ha davanti. Fino ad ora ho imparato da grandi artisti, grandi artigiani, musicisti eccellenti che ho avuto l’onore di incontrare nell’esperienze di questi anni. Ho respirato, respiro e amore respirare la polvere del palcoscenico: il “non conoscere in profondità” nella mio modo di fare non può esistere.

Nel tuo percorso di formazione musicale e specificatamente compositivo, quali sono stati e quali sono i tuoi compositori di riferimento?

La mia fortuna è di aver avuto molta esperienza nel suonare in orchestra, nonostante la giovane età. Questo privilegio mi ha dato la possibilità di scoprire un vasto repertorio sia operistico che sinfonico. Per quanto riguarda i miei studi compositivi sono sempre stati mirati non ad eccellere come compositore, ma a creare il bagaglio culturale adatto, assieme alla letteratura, alla filosofia e altri rami artistici, che deve possedere un giovane direttore d’orchestra che ha l’ambizione di far bene il proprio dovere. Da tutto questo vien facile comprendere che avere un compositore di riferimento nella vasta letteratura musicale è complicato. Nell’opera sicuramente Verdi rappresenta per me l’emblema del teatro d’opera e direi anche drammatico. Nel sinfonico è molto difficile. I miei colleghi scherzano sul mio profondo amore Mahleriano, ovviamente! Da trombettista come si fa a non contemplare Gustav Mahler? Ma nei panni di un giovanissimo direttore si fanno i conti con tantissimi grandi geni ed è molto difficile scegliere “un preferito”.

Eppure nella tua messa in musica di Figlio della Terra vi sono molte influenze, oltre all’omaggio ben delineato dedicato a Beethoven

Si? Non è voluto. Tu sei musicista, quali influenze avverti?

In realtà c’è tanto, sicuramente un gigantismo orchestrale Wagneriano, un uso di ottoni Mahleriano. Si sente bene l’influenza dei poeti Russi come Tchaikovsky e in alcuni punti l’orchestrazione richiama Bruckner.

Ecco, è un qualcosa di involontario ma anche normale. Abbiamo secoli e secoli di musica e di giganti artisti, praticamente immortali e quando si suona in orchestra, quando si affrontano percorsi direttoriali e compositivi è normale essere influenzati. E’ tutto una casualità, a parte il richiamo Beethoveniano. Ma il tutto conferma la precedente risposta: è difficile avere un preferito! Siamo tutti allievi di questi giganti.

Relativamente alla tua concezione della tecnica e dell’arte compositiva, sei ligio alle regole strutturali, armoniche e formali o ritieni che esse rappresentino dei vincoli eccessivamente limitanti?

“Occorre imparare le regole come un professionista per poterle infrangere come un’artista”, lo dice un certo Pablo Picasso..mica io! Le più grandi invenzioni, le più grandi forme d’arte sono avvenute infrangendo le regole e le più grandi scoperte sono frutti provenienti da errori fatti mentre si applicavano le regole. Quindi, questo è solo un modo un po’ arrogante, e me ne scuso, per poter dire che per osare occorre andare oltre le regole o non aver paura di farlo erroneamente, se si vuol concretizzare qualcosa di bello o anche prendere consapevolezza del brutto.

Cosa ti aspetti da un interprete? Pretendi che segua rigorosamente le indicazioni contenute nelle tue composizioni o sei disposto a concedergli delle libertà interpretative?

I tempi, le dinamiche, sono consigli, variano per mille motivi: dallo stato d’animo che si ha prima o durante l’esecuzione, dalla freschezza fisica e mentale, dalla forma, dall’ambiente in cui si suona e tanti altri fattori. Quindi mi aspetto che l’esecutore faccia una sola cosa al meglio del sue possibilità: musica!

Aspiri ad una interpretazione assoluta ed universale delle tue opere o ti aspetti qualcosa di diverso da ogni esecuzione?

Non esiste un’esecuzione assoluta, una verità universale. Dietro la musica ci sta l’infinito. Come dicevano i Sufi, se vedi lo zero non vedi nulla, ma se guardi attraverso lo zero vedi l’infinito: così è la musica. Occorre sforzarsi di guardare attraverso le note e, non mi fraintenda, vedere l’infinito non vuol dire comprendere. Anzi, molto spesso non ci si capisce proprio niente. Occorre ben comprendere che anche noi musicisti non siamo intenditori. Di una partitura possiamo capirne la forma, l’armonia, la strumentazione, i tempi, le dinamiche.. insomma, tutti gli ingredienti oggettivi, ma quello che sta dietro al comporre assieme quegli ingredienti, il Genio, è un mistero anche per noi che studiamo un’intera vita. Tutto questo su di noi lascia un’impronta. Il mistero, la bellezza dell’arte, lascia un segno su noi interpreti e la nostra esecuzione deriva proprio da quanto questi segni ci toccano l’anima. Parliamo di cose di un certo livello, qua entriamo nella filosofia: complesso. In breve, un’esecuzione assoluta, una uguale ad un’altra, non esiste. Nemmeno lo stesso esecutore esegue in modo uguale una stessa musica. Mi aspetto, quindi, che ci sia passione, amore, voglia di far musica. Spero che quelle melodie lascino un’impronta. Lo strumento non è quello che suoniamo, lo strumento sta dentro di noi. Bisogna dare l’anima, tutto, su ogni nota. Ci deve essere intensità su tutto. Beethoven diceva che sbagliare una nota fa niente, ma suonarne una senza passione è l’orrore. Quella che viene chiamata “interpretazione assoluta” può essere intesa come tradizione. Molte cose vengono eseguite, spesso male, perché si segue una tradizione. Il direttore d’orchestra tedesco, Wilhelm Furtwangler diceva che la tradizione è il cattivo ricordo dell’ultima cattiva esecuzione. Prendendo spunto da questa frase amo studiare sempre da capo qualsiasi partitura, anche quella eseguita tante volte, perché magari posso accorgermi di dettagli ai quali precedentemente non avevo fatto caso e da lì la nuova esecuzione cambierà rispetto alla precedente.

Ouverture tratta dalla poesia “Figlio della terra” di Ilaria Rocco, ci racconti un po’ le origini di questa composizione orchestrale?

Quando ho conosciuto Ilaria mi sono imbattuto con una persona straordinaria. Il suo modo di pensare, di riflettere sulla realtà che ci circonda, l’ho trovata fin da subito incantevole anche se non l’ho compresa appieno, non allora. Inevitabile è stato conoscere le sue poesie e da lì ho capito che avevo davanti una giovane artista a mio parere straordinaria. Leggendo la sua arte si comprende la sua persona. Siamo davanti ad una ragazza di grande sensibilità ed umiltà. Se dovessi associare una musica a lei probabilmente sceglierei l’Ouverture «Dichter und Bauer» di Franz Suppé, «il Poeta e il Contadino» in italiano: per evocare la purezza, la semplicità e umiltà della sua persona, caratteri tipici appunto di un contadino, figura semplice e umile e guarda caso lavoratore della terra. Al tempo stesso, però, la musica evoca anche la nobiltà d’animo, la sensualità, la sensibilità di un poeta. La Rocco è una ragazza che crede e vive la sua poetica. È semplice, umile, ma anche nobile e sensibile. Una persona che sa molto ascoltare, il che è un grande pregio al giorno d’oggi, è un dono. Tra le tante, “figlio della terra” in quel momento mi è apparsa come un abito cucitomi addosso, sembrava parlasse di me o, per meglio dire, con me. Perciò le proposi un progetto che portammo a buon fine: pubblicare la poesia con la sua spiegazione, le ho fatto l’intervista che in Luglio è uscita proprio qui, su “Sovranità Popolare”. E’ stato un lavoro molto bello. Le avevo promesso che avrei messo in musica quelle parole e l’ho fatto.

Cosa ti ha colpito di quella poesia?

Tutto. Ogni parola. Ci sono dei versi che mi sono rimasti impressi, inevitabilmente. «Pretendi, figlio, di restare la persona che vuoi senza che tu cambi per chi non ti dice “Vai bene così”; tu figlio della terra togli ciò che ti pesa, togli ciò che puoi togliere, perdonati senza uccidere le vene per uno sbaglio, tu parla alle persone di chi sei, spiegati e non pensare che una scelta ti descriva del tutto il tuo quadro generale, il tuo essere va visto nell’intero foglio bianco di purezza; Chiedi tempo per reagire e dona tempo; Non accettare meno di quanto credi; che un essere umano meriti e non dire mai che tu non lo meriti; Tu figlio mio, sii tu». Insomma, dovrei recitarla davvero tutta. Il concetto di base è sii te stesso, amati per come sei e abbi rispetto per te stesso. E da qui la frase più fondamentale: «Accettati, non cambiare, sii chi vuoi, non modificare in base al dolore»

Pensi sia questo il futuro della poesia moderna?

Secondo me è un’innovazione. Spesso la poesia fa rivivere in noi sentimenti, cose vissute in passato. Oppure ci suggeriscono i sentimenti e le emozioni avvertite dai poeti in determinate circostanze. Questa, invece, è una poesia moderna e come tale si vive al momento. E’ una poesia da vivere ogni giorno. Quante volte riceviamo consigli come questi? Una marea: dagli amici, familiari, psicologi. Come detto, si tratta di una ragazza che parla all’umanità della realtà e delle problematiche che viviamo. Insomma, la poca autostima penso sia un problema non da poco e non in via d’estinzione.

Perché crede sia importante?

Perché ci sarà sempre qualcuno che vive quelle parole. Non è un testo che mira al futuro e nemmeno uno che resta nel passato, è un testo che vive il presente e quindi anche il presente del domani. Non è una cosa scritta oggi per domani, è una poesia scritta oggi per oggi e che servirà sempre. Non so se mi spiego bene. Ci sarà sempre un presente in cui qualcuno avrà bisogno di quelle parole così come di qualcuno che le dica. Si tratta di dare fiducia, speranza, calore umano e infondere senz’altro coraggio. E lei lo fa con un tono semplice.

Cos’è in realtà figlio della terra?

Provo a citare la Rocco sperando di ricordare bene. Significa uomo, figlio del tuo tempo e della tua cultura: ognuno di noi è figlio dell’ideologia del proprio periodo storico, delle mode e delle battaglie sociali che si affrontano. Si è figli della propria educazione in quanto fino a che un bambino non inizia a porsi domande e a notare un confronto, un’altra possibilità e modalità nello svolgere le cose, conoscerà soltanto le idee e le reazioni del proprio ambiente, quello familiare credo sia un esempio, e le riterrà esatte per molto tempo. Poi lei dice di non avere timore di pretendere amore, rispetto, attenzioni e carezze, non ritenerle oggetto di colpa, di egoismo o richiesta eccessiva. Ma la cosa davvero importante sulla quale sto riflettendo e studiando in questo periodo il “pretendi” non è “elemosina”, ma va interpretato come “non consentire a nessuno di innescarti un senso di colpa per aver preteso una cosa così naturale come una carezza o rispetto”.

Insomma, parliamo di grandi messaggi. Eppure, nella sua musica, vi è drammaticità. Come mai?

Innanzitutto non vi è solo drammaticità ma vi sono anche momenti di luce che effettivamente appaiono come delle situazioni di breve durata: la tensione surclassa la serenità. Sono contrasti emotivi ben evidenziati. Io non mi sono posto, io ero in una posizione ben diversa rispetto al semplice lettore.

Quale?

E’ complicato parlarne senza fare riferimenti alla mia vita privata. Però puoi immaginare una persona appunto che ha bisogno di quelle parole per svariati motivi. Eppure, lettura dopo lettura, quella persona non riesce a metterle in pratica. Come detto prima, è una poesia da vivere, ma se non ci si riesce la situazione può diventare drammatica. Non solo perché non si migliora in autostima, ma si rischia di peggiorare e toccare un fondo assai oscuro. E naturalmente, quando si va verso l’oblio, vi è drammaticità! E’ come dire “vorrei seguire i tuoi consigli, ma è tanto difficile” per motivi vari… allora la poesia è vista dal punto di vista di chi ha bisogno di quelle parole, ma in qualche modo non riesce ad assimilarle o a comprenderle. Si vive una drammaticità interiore ed è da lì che proviene la mia musica. La luce, le dolci melodie in Maggiore rappresentano la poesia, i consigli e in qualche modo la Rocco che mi parla, il resto rappresenta quello stato d’animo che si avverte quando, per chissà quale motivo, non si riesce a vedere una striscia di colore in nulla e quelle parole, seppur lo vorrei tanto, non fanno effetto.

Quindi parliamo di una persona che in quel momento non riusciva ad avere autostima?

Dire così diciamo che è sminuire di molto la situazione, ma per mantenere un po’ di mistero..sì, possiamo affermarlo. A volte si può sbandare, si perde fiducia, speranza e autostima. Purtroppo quando accade si possono commettere delle gesta stupide e perdere anche amicizie per comportamenti inappropriati dove per rimediare, chiedere “scusa”, potrebbe rivelarsi inutile. Da queste emozioni nascono quelle note.

Capisco da dove proviene il Do minore, non ti fa paura questa sensazione?

A dire il vero il Do minore è da sempre la mia tonalità preferita. Ha un colore tutto particolare e che lascia un solco nell’anima straordinario, ringraziamo Beethoven. Tutta via oggi non avverto più timore. Negli ultimi due mesi e mezzo sono stato chiuso in casa ma non sono stato solo seduto a pianoforte a comporre, ho ripreso anche lo studio della filosofia. Credo proprio ne avessi bisogno. Confucio diceva che la felicità non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta. E sempre lui dice che quando si ha bisogno di una mano, la si trova infondo al proprio braccio. Ora comprendo le parole della Rocco, non solo quelle della poesia. Dopo due mesi di lavoro riesco per lo meno a comprenderle.

Tutta la musica impiantata sul Do minore, ma quell’ultimo accordo, l’ultimissimo, in Do Maggiore cosa vuol dire?

Quell’accordo l’ho cambiato giorni dopo aver finito di scrivere. In realtà ora sto curando i dettagli finali, ma quell’accordo è stata la prima cosa che ho cambiato. Per quanto un qualcosa sia difficile e complicato il buio non può vincere.. è il mio modo per dire che non è finita e che alla fine, seppur in maggioranza nella composizione, non vince la negatività o la drammaticità e così dev’essere nella vita.

Ha un messaggio per la giovane poetessa?

Sicuramente ci tengo a ringraziarla, l’ho fatto in privato e preferisco farlo anche pubblicamente perché è una persona eccezionale e soprattutto un’artista incredibile di cui il mondo ha bisogno. Io sicuramente. Merita il giusto plauso. Sempre pubblicamente ci tengo a farle i miei migliori auguri affinché questo suo talento fiorisca sempre al meglio. Fare arte oggi non è facile, in Italia in particolare e nel Sud la situazione è ancora più problematica, ma la invito a non arrendersi mai, ad avere coraggio, fiducia e speranza. Le proposi di scrivere un libro di poesie, di pubblicare un qualcosa di totalmente suo. Occorre modernità, freschezza, gioventù e sono convinto che è ciò che serve a tutti noi, anche se non lo sappiamo ancora. Spero un giorno di farmelo autografare questo libro. Credo fortemente sia un’ambizione degna di una giovane artista come lei. Io non sono stato assolutamente una figura da prendere come esempio, ho deluso alcune aspettative e purtroppo non sono riuscito ad essere chi volevo, non sono riuscito per niente ad accettarmi e ho lasciato che il dolore mi mutasse.. quindi della sua poesia ho seguito ben poco a causa di un periodo buio, soprattutto durante questa maledetta pandemia. Perciò ne approfitto per scusarmi di non averla compresa e di averla offesa, mi auguro almeno che la mia musica non deluda e naturalmente che un giorno si torni a lavorare assieme.

Progetti e ambizioni future?

Tanti progetti, tante ambizioni. A piccoli passi, ma si ritorna.

 

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