“Le donne nigeriane vittime di tratta!

Tra riti e nuove leggi internazionali la criminalità organizzata vince

Violenza e tratta delle nigeriane in Italia

di Felicetta Salerno

L’attivista nigeriana Noo Saro Wiwa, nel suo libro “In cerca di Transwonderland. Il mio viaggio in Nigeria”, ha dichiarato: “…quando si va in un Paese o si entra in una situazione bisogna raccontare la storia, il più possibile, per intero…E’ una concomitanza di fattori economici, storici, ambientali, culturali che crea la situazione, e non si può risolvere un conflitto, a meno che non si comprenda la società sotto tutti gli aspetti… Serve un approccio olistico per esaminare la società sotto tutti gli aspetti…”. Ecco, dunque, l’importanza di saper indossare delle lenti adatte a seconda dell’interlocutore con cui ci interfacciamo, presupposto fondamentale per comprendere punti di vista, abitudini, credenze seppure non ci appartengano.
La Nigeria è uno dei Paesi maggiormente coinvolti dal fenomeno della tratta. In questo Paese, purtroppo, dominano corruzione, instabilità politica, assenza di un sistema sanitario efficiente, povertà per circa il 62% della popolazione, forte discriminazione sia tra gruppi etnici (circa 250) sia di genere.
Tante donne nigeriane non hanno un accesso paritario alla società ma sono relegate alla vita domestica o alla coltivazione dei campi negli appezzamenti familiari, spesso sono soggiogate prima dalla famiglia patriarcale di appartenenza e poi da un marito in un matrimonio spesso precoce e combinato; a volte per le stesse famiglie di origine diventano un peso, tanto da diventare il primo anello della tratta!
La rete criminale nigeriana gestisce tantissimi traffici nel mondo (adozioni illegali, vendita di organi, contrabbando di armi, droga, accattonaggio e prostituzione).
Le tappe principali della tratta: la ricettazione, il patto/legame, il viaggio, lo sfruttamento, la riscossione del debito e le minacce.
Inizialmente, parliamo degli anni ‘70, le donne nigeriane arrivavano in Italia regolarmente, con un visto, solitamente per motivi di studio, in aereo, appartenevano a ceti medio alti e poi finivano nella rete della prostituzione.
Con il decadimento della condizione sociale del Paese, la situazione economica è precipitata, tutto è diventato più complicato e di conseguenza anche gli ingressi sono diventati irregolari.
Analizziamo i vari step.
La ricettazione: tutto comincia con l’individuazione della vittima da parte delle MAMAN/MADAM/MA, che quasi sempre sono ex vittime di tratta che gestiscono il reclutamento delle ragazze, donne perfettamente conosciute nel villaggio come delle benefattrici, spesso frequentatrici della Chiesa, che viaggiano in Europa e aiutano le ragazze ad avere un futuro (questo il credo collettivo), considerate persone di fiducia, donne d’affari. Le ragazze, le famiglie, quindi, si fidano di loro e grazie a loro sognano l’Occidente. Partiamo dal presupposto che le ragazze che finiscono nella tratta sono ragazze pronte a tutto pur di cambiare il loro futuro, spesso sono ragazze non istruite, non hanno assolutamnte la consapevolezza di essere delle vittime. Ciò che viene loro presentato come “THE WORK”, il lavoro, è per loro un inganno che sarà svelato solo al momento dell’arrivo.
Il patto/legame: il legame si crea con i riti cosiddetti JUJU (“divinità” nella lingua fon). E’ una ritologia fatta di riti e formule magiche in cui tutti credono profondamente. Vengono eseguiti dai NATIVE DOCTORS, delle figure tradizionali di guaritori o protagonisti politici locali. Durante i riti usano oggetti personali o parti intime (sangue, peli, capelli, ecc.) o animali o oggetti considerati magici, che poi vengono conservati nei loro templi, poichè in caso di violazione del patto da parte delle vittime loro possano rifarsi su questi elementi e causare follia, morte o malattia sia sulla vittima che sulla sua famiglia. Parliamo di un vero e proprio SOGGIOGAMENTO PSICOLOGICO perchè tutti credono fermamente al Juju, credono fermamente che li seguirà per sempre e ovunque. Alle ragazze viene fatto giurare che non tradiranno mai la persona che le sta “aiutando”.
Il viaggio e lo sfruttamento: il viaggio prevede sempre lo stesso percorso, vale a dire Nigeria, Niger, Libia, Italia. E’ un viaggio debitamente organizzato dai trafficanti. Per alcune donne la prima tappa della prostituzione è la Libia, per altre direttamente l’ Italia. Arrivate in Libia vengono messe nelle cosiddette CONNECTION HOUSES, dei veri e propri bordelli, dove oltre a doversi prostituire subiscono i peggiori abusi dagli stessi trafficanti. Ad un certo punto delle finte coppie le allontanano da questi bordelli e le imbarcano per condurle in Italia. Le ragazze si illudono ancora una volta di aver trovato dei benefattori, ignare del fatto che si tratta sempre di trafficanti. Arrivate in Italia, sono sempre in possesso di un numero di telefono da contattare: alcune vengono allontanate subito dai Centri di accoglienza e diventano dei fantasmi irregolari, altre vengono lasciate nei Centri e sfruttate contemporaneamente.
Il debito: oltre al Juju, ciò che lega profondamente le vittime ai trafficanti è il debito, il cui prezzo varia continuamente (Debt boundage – schiavitù da debito). Inizialmente le madame dicono che il debito potrà essere ripagato quando inizieranno a lavorare. Solitamente si aggira intorno ai 70.000/80.000 euro a vittima. Per qualsiasi inconveniente durante il viaggio che interrompe la prostituzione, il debito aumenta.
Contestualmente la mafia nigeriana paga alla rete criminale italiana il cosiddetto JOINT, cioè il prezzo del “marciapiede”.
La tratta è un fenomeno che si sta evolvendo: ora riguarda anche le donne ivoriane e si sta spostando verso la Spagna. Inoltre si stanno aprendo delle connection houses anche in Mali.
In riferimento ai professionisti coivolti nell’accoglienza, è fondamentale che essi riescano a riconoscere le vittime di tratta nel più breve tempo possibile. Esistono dei veri e propri indicatori, delle linee guida ministeriali per la loro identificazione. I trafficanti le istruiscono su tutto, anche sulla storia che devono raccontare una volta in Italia: è comune durante i colloqui sentir dire da una vittima di tratta “Un mio amico mi ha detto che c’era una signora che poteva aiutarmi a fuggire”, oppure “Non sono più in contatto con la signora che mi ha aiutato”, oppure descrivono l’uomo che le ha fatte uscire dalle connection houses in Libia come un benefattore che ha pagato loro il viaggio verso l’Italia.
Un respiro di sollievo si è avvertito ad un certo punto perchè nella legislazione nigeriana negli ultimi anni sono state inserite leggi internazionali sul riconoscimento degli sfruttamenti e sui diritti delle donne. Un altro segnale è arrivato con l’editto dell’OBA di Edo State che nel 2018 ha lanciato una maledizione su tutti i trafficanti e ha liberato dal vincolo del Juju tutte le donne coinvolte, ma vista la persistenza del fenomeno, tanto ci sarebbe da fare ancora.

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