Gli abusi della guerra

La persecuzione dei russi e di tutto quello che è russo deve essere denunciata

Per favorire l'Ucraina è vietato andare in bicicletta

di Alessandro Fellagara

La guerra non è per definizione una condizione pulita. Ci sono però delle regole internazionali a cui è possibile fare riferimento per promuovere azioni sanzionatorie nei confronti dei trasgressori, siano pure esse contro un paese amico o nemico.

In questo senso, parrebbe quasi un gioco, la guerra. Una partita con regole e fair play, come fosse una competizione sportiva.

Come per le competizioni sportive la comunità internazionale ha pensato che fosse necessario avere un arbitro preposto al controllo e al rispetto di queste regole.

In realtà non ce n’è uno solo, ma molti arbitri, che in un modo o nell’altro fanno capo all’ONU ed ai suoi finanziatori.

Ma che succede quando le regole internazionali sono utilizzate a favore di una delle due parti contendenti? In genere, negli stadi, il pubblico fischia. Il pubblico di una delle due parti beninteso. Ma nelle competizioni sportive ci sono vincitori e perdenti, nelle guerre abbiamo vincitori e vittime. E quando una delle due parti è favorita da un arbitro scorretto, le prime vittime si trovano nel popolo. Di entrambe le parti. Si, perché la vittima per eccellenza è la Giustizia; se questa non c’è per una parte, non ci sarà neanche per l’altra. La vittima è il diritto stesso. Nazionale ed Internazionale. Carnefici sono le regole che creano un nuovo potere, il potere nelle mani dell’arbitro, a discapito di tutti. E -a differenza del calcio- senza possibilità di Replay.

Questo è quanto sta succedendo a una cinquantina di famiglie di origine italiana, spagnola, ceca, ucraina e russa. Solo per prendere ad esempio gli effetti collaterali nel mondo del ciclismo. Senza scomodare il tennis o il calcio che di fatto hanno già una grande visibilità sui media nazionali e internazionali. Il merito è comunque della nuova politica sportiva internazionale.

Si da il caso, infatti, che a seguito delle sanzioni imposte alla Russia, il Presidente dell’UCI (Unione Ciclistica Internazionale), unico arbitro in pista nelle competizioni professionistiche, ha deciso di revocare la licenza alla squadra svizzera Pro Velo. E quindi, tutti a casa senza stipendio. La colpa di questi professionisti? Avere Gazprom come sponsor. Peccato che nessuno di loro lo ha scelto e tutti hanno chiesto la possibilità di oscurare o cambiare lo sponsor, ma il terribile arbitro che decide chi può correre in bici e chi no, ha mostrato il “cartellino rosso” e, come un imperatore romano davanti ai gladiatori, non ha alcuna intenzione di tornare sui suoi passi.

David Lappartient Presidente dell’UCI, ha dichiarato nell’AGENDA del 2022 <<Rafforzare la posizione e l’autorità dell’UCI mi sembra cruciale: la nostra Federazione deve essere forte per essere efficace>>. Sembra che la forza da dimostrare al mondo sia quella di decidere o meno chi possa andare in bici e chi no e non tanto <<…di sovrintendere e promuovere il ciclismo in tutte le sue forme, favorendone una pratica diffusa fra la gente, come competizione sportiva, salutare attività ricreativa, mezzo di trasporto e forma di intrattenimento>>.

Vediamo allora i dettagli della vicenda direttamente dalla bocca di Marco Canola, portavoce in Italia di oltre cinquanta famiglie dimenticate dalle istituzioni internazionali, ma ancor più ignorate da quelle italiane.

MARCO: a seguito delle sanzioni politiche ed economiche imposte alla Russia, l’Unione Ciclistica Internazionale ha revocato la licenza alla nostra squadra con effetto immediato. Non ha lasciato alcuno spiraglio per tornare a correre. Nessuno della squadra ha ricevuto un sostegno economico e dal 1° marzo siamo tutti senza stipendio. Ci troviamo in una situazione di stallo dove nessuno riesce a fare nulla per noi, non abbiamo una squadra di fatto, e ci manca un interlocutore istituzionale in grado di mediare questa situazione.

ALESSANDRO: È chiaro che sia una situazione molto difficile, ma chi potrebbe fare qualcosa?

MARCO: A noi interessa lavorare. Ci siamo allenati per appuntamenti importanti come la Tirreno-Adriatico, la Milano Sanremo, probabilmente avremmo potuto essere alla partenza del Giro d’Italia e arrivare preparati con una certa condizione fisica. Ci siamo allenati molto, E ti dico che allenarsi non è facile perché non sono gli allenamenti che fa una persona qualsiasi, ma sono allenamenti professionali dove mettiamo il fisico in stress e carichi adeguati a queste gare. Il primo danno -che è difficile da quantificare- sono le ore, le fatiche passate in inverno, nei mesi precedenti alla guerra, per prepararsi a queste gare. Il lato economico è una ulteriore conseguenza non da poco. Questo non ci permette di mantenere le nostre famiglie. Che faremo? Il problema è che a seguito della revoca delle licenze, nessuno ha pensato a un piano di recupero per noi. Non una parola dall’UCI, nulla dall’Italia o da qualsiasi altro ente che si possa occupare di questi temi.

ALESSANDRO: Come è possibile che l’Italia non abbia voce in capitolo per i propri corridori? Lo stesso Presidente dell’UCI David Lappartient dichiara che <<come associazione delle Federazioni Nazionali, l’UCI deve essere maggiormente al servizio di queste ultime>>.

MARCO: È una domanda che ci siamo posti tutti quanti, e io ti dico la mia idea qual è; non dovrei neanche dirla forse, ma è un discorso politico. Abbiamo il presidente dell’unione ciclistica internazionale David Lappartient che ha una posizione anche all’interno del Comitato Olimpico. Il Comitato Olimpico ha dato disposizione -in seguito all’invasione della Russia in Ucraina- di fermare tutte le squadre russe e biellorusse. Il problema è che la nostra squadra non era russa, ma una squadra con sede legale in Svizzera, con lo sponsor russo.

ALESSANDRO: Non sarebbe stato sufficiente cambiare lo sponsor e il nome della squadra principale (RusVelo)?

MARCO: Si poteva pensare a qualsiasi cosa se ci fosse stata la volontà di sostenere i professionisti e tutte le persone che lavorano nella squadra. Qualcosa di diverso, magari in un primo momento si poteva oscurare lo sponsor, quindi correre con una maglia neutra, bianca, senza essere minimamente ricondotti alla Russia o allo sponsor russo. Per esempio una maglia bianca in segno di Pace. Fra l’altro nella nostra squadra, oltre ai corridori russi, c’erano anche ucraini. E noi lavoravamo tutti insieme.

ALESSANDRO: se non sbaglio le olimpiadi sono nate per mettere una tregua ai conflitti; se il Comitato Olimpico esclude un paese nelle proprie competizioni, non vuol dire che sta prendendo le parti di uno dei due contendenti? Tutti ricordiamo che gli Stati Uniti sotto il comando di George W. Bush, hanno invaso l’Afganistan e l’Iraq a seguito dell’attentato alle torri gemelle. Obama, dopo aver vinto il nobel per la pace -come scrive Mauro Leonardi sul sito dell’AGI- <<oltre ai noti interventi in Siria, Libia, Iraq e Afghanistan, ha bombardato anche lo Yemen, la Somalia e il Pakistan. Secondo alcuni analisti [Obama] è stato il presidente americano che ha tenuto in guerra gli Stati Uniti per più tempo>>. Allora, c’è da chiedersi, perché gli sportivi statunitensi non sono stati bloccati e hanno continuato a fare sport a livello internazionale?

MARCO: questo è lo stesso problema che abbiamo messo in evidenza noi. Abbiamo chiesto perché non non è stato fatto in passato con la squadra israeliana, per esempio, o americana? Purtroppo i conflitti ci sono e sono sempre esistiti, ma quella è una cosa che riguarda la politica. Lo sport, per i valori che porta, non dovrebbe rientrare in questi meriti. Sembra che la decisione sia di fatto un accanimento nei confronti della nostra squadra forse per lo sponsor così importante nelle strategie di guerra? Intanto, anche qui, se nessuno se ne occupa, ci vanno di mezzo degli innocenti.

ALESSANDRO: cosa intendi dire?

MARCO: nella mia squadra c’erano russi e ucraini. In particolare io sono legato a un caro amico ucraino. L’ho aiutato ad espatriare e a salvare così tutta la sua famiglia. Hanno vissuto da me per le prime settimane del conflitto. Se aspettavamo le decisioni dell’UCI questi sarebbero rimasti sotto le bombe.

ALESSANDRO: Non ho parole. E l’Italia che fa?

MARCO: siamo arrivati a questo stato di cose nell’arco di tanti anni, ma prima le decisioni politiche erano di competenza dei politici, non delle federazioni sportive. Oggi l’Unione Ciclistica Internazionale è l’ente che governa tutte le discipline delle due ruote a livello mondiale. Il professionismo è internazionale per cui l’unico ente di riferimento è l’UCI. Le squadre devono passare da lì per forza. Esiste una federazione italiana FCI che fa capo al Coni. Potremmo chiedere un aiuto all’FCI, ma la nostra squadra è internazionale e sarebbe giusto pensare a livello collettivo, non solo a livello italiano e nazionale. Se facessimo appello alla Federazione Ciclistica Italiana ci spingerebbero a ragionare da nazionalisti, mentre il nostro problema è internazionale; in squadra abbiamo spagnoli, ciechi, norvegesi e russi per cui sarebbe giusto pensare al bene collettivo, non solo agli italiani all’interno della squadra.

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