di Davide
Gionco
01.10.2019
Con il fenomeno Greta Thunberg le questioni ambientali sono al centro dell’attenzione dei mass media occidentali e, di conseguenza, molte persone si mobilitano nelle piazze. Naturalmente in Russia, Asia, Africa e in buona parte dell’America Latina probabilmente non ne sanno nulla e non si coinvolgono. Per la serie: facciamo quello che i mass media ci dicono di fare.
Sono decenni che sono nati i movimenti ambientalisti i quali, giustamente, richiamano l’attenzione sul fatto che di Pianeta Terra ne abbiamo solo uno e sul fatto che se lo roviniamo non ne abbiamo uno di riserva: un saggio richiamo alle nostre responsabilità di utilizzatori e manutentori dell’unico ambiente in cui viviamo.
C’è chi
sostiene, come Greta Thunberg, che siamo prossimi ad una catastrofe ambientale
senza precedenti.
C’è chi sostiene che il riscaldamento globale non esiste.
C’è chi sostiene che il riscaldamento globale esiste, ma che non è causato
dalle attività antropiche.
C’è chi sostiene che esiste ed è causato dall’aumento della CO2
nell’atmosfera, ma che l’aumento della CO2 non sarebbe legato alle
attività umane.
C’è chi
sostiene che l’improvvisa attenzione alle questioni ambientali sarebbe
finanziata dagli interessi di certe lobbies economiche.
C’è chi sostiene che la sottovalutazione delle questioni ambientali sarebbe
finanziata dagli interessi di certe lobbies economiche.
E c’è, naturalmente, chi se ne infischia altamente di tutto questo e pensa solo a sopravvivere.
Si parla
soprattutto delle emissioni di anidride carbonica (CO2), un poco
dell’inquinamento da plastica, qualcosa sulla distruzione degli ecosistemi e
della biodiversità.
Quasi nulla sulle altre forme di inquinamento.
E naturalmente non si parla dei diritti umani e sociali (alla vita, alla
salute, al lavoro) della specie homo
sapiens, presentato come “cattivo distruttore” del pianeta, e mai come
obiettivo ultimo delle stesse attività umane.
Eppure è
fondamentale comprendere e ricordarci che la preservazione dell’ambiente in cui
viviamo è prima di tutto un atto dovuto verso noi stessi e verso le future
generazioni.
E’ quindi del tutto incoerente agire per preservare l’ambiente senza
preoccuparci di garantire i diritti umani e sociali.
Un approccio razionale alla questione delle emissioni di CO2
Cerchiamo prima
di tutto di affrontare in modo razionale la questione del riscaldamento
ambientale.
Non è ovviamente possibile riassumere in poche righe di un articolo una
questione sulla quale sono scritti libri su libri e la cui complessità tecnica
è davvero notevole, perché tale è la modellazione del clima del Pianeta Terra.
E’ tuttavia possibile offrire alcuni spunti che possono aiutare a vedere la
questione non in modo ideologico, ma guardando a dei dati che oggettivi.
La prima
questione fondamentale è l’andamento della concentrazione di CO2
nell’atmosfera ed i suoi legami con la temperatura media del pianeta.
Questo grafico rappresenta l’andamento della concentrazione di anidride
carbonica (in azzurro) e l’andamento della temperatura negli ultimi 570 milioni
di anni (i dati precedenti sono poco rilevanti per le nostre analisi).
Attualmente la
concentrazione di CO2 nell’atmosfera è di circa il 4%, pari a 400
ppm (parti per milione). Nel corso della storia del pianeta la concentrazione
di questo gas è stata molto più elevata. Ai tempi dei dinosauri la
concentrazione era compresa fra i 600 e 1100 ppm ovvero fra il 6% e l’11%.
Anche la temperatura media del pianeta era molto più elevata, da 2,5 a 5 °C più
calda di oggi.
Questo significava un clima molto diverso dall’attuale: meno terre emerse,
altri tipi di vegetali, altri tipi di animali.
L’attuale situazione, quella che vediamo nella parte finale del grafico, a
destra, mostra delle concentrazioni di CO2 fra le più basse della
storia del pianeta e delle temperature medie fra le più basse della storia del
pianeta.
Questo grafico
sembrerebbe mostrare che quello di Greta Thunberg e di molti ecologisti è un
“falso allarme”.
Ma cerchiamo di essere razionali: la nostra specie homo sapiens, così come la
stragrande maggioranza delle attuali specie viventi, si sono evolute e
sviluppate nella parte destra estrema del grafico.
L’australopiteco comparve circa 3
milioni di anni fa (Pliocene). L’homo
sapiens è comparso solo 300 mila anni fa, 0.3 milioni di anni fa.
Questo significa che tutte le attuali specie, compresa la nostra, sono adattate
all’attuale clima, non al clima di decine o di centinaia di milioni di anni fa.
Proviamo ora a guardare lo stesso diagramma in una scala molto più ravvicinata e centrata sull’evoluzione della specie homo.
Prendendo come
riferimento l’attuale temperatura media (0, in azzurro), possiamo osservare
come negli ultimi 800 mila anni (dai tempi dell’homo erectus) le fluttuazioni nella concentrazione di CO2
nell’atmosfera siano rimaste comprese fra 200 ppm e 300 ppm. Solo negli ultimi
200 anni si registra una rapida impennata del parametro fino agli attuali 400
ppm.
L’evoluzione della temperatura ha seguito all’incirca lo stesso andamento, con
fluttuazioni comprese fra +2 e -5 °C.
L’attuale situazione rappresenta quindi certamente un’anomalia rispetto ai
precedenti 800 mila anni per quanto riguarda la percentuale di CO2
nell’atmosfera, mentre per quanto riguarda la temperatura siamo ai valori più
alti degli ultimi 100 mila anni, sapendo che negli ultimi 800 mila anni gli
aumenti di temperatura sono sempre stati legati agli aumenti in concentrazione
della CO2.
Se restringiamo ancora la visuale sui parametri notiamo che il rapido aumento di CO2 nell’atmosfera si registra solo negli ultimi 100 anni.
E possiamo osservare come anche lo scostamento rispetto alle temperature medie del pianeta, anche rispetto al “periodo caldo” del Medioevo sia avvenuto praticamente negli ultimi 100 anni.
C’è chi sostiene che questo rapido riscaldamento sarebbe dovuto a fenomeni legati alle attività del Sole, i quali storicamente (ma prima di 800 mila anni fa, vedi grafici più in alto) hanno portato ad un riscaldamento del pianeta ben maggiore di quello attuale.
Tuttavia, se
guardiamo alle rilevazioni dal 1880 ad oggi ed in particolare a quelle degli
ultimi 40 anni, non si può onestamente dire che il riscaldamento del pianeta
(+0.8 °C rispetto al 1880) sia dipeso solo dalle variazioni sull’energia solare
irradiata sul pianeta.
Che le temperature medie del pianeta siano in aumento è un dato certamente
obiettivo, in quanto deriva da migliaia
e migliaia di misurazioni effettuate in tutto il mondo negli ultimi
decenni.
Ovviamente il
fenomeno è molto più complesso. Un conto è rilevare l’aumento di temperatura,
un altro conto e determinarne con certezza le cause.
Ad esempio è noto che l’effetto serra dipende anche dalla concentrazione di
metano nell’atmosfera
e possiamo notare come la concentrazione di metano sia passata da 1640 parti
per miliardo (ppb) del 1984 alle attuali 1860 parti per miliardo, con un
aumento del 13%.
Questo perché l’aumento di temperatura porta allo scongelamento del permafrost
ed alla liberazione di questo gas intrappolato nel sottosuolo.
E’ certamente possibile che vi siano altri fenomeni legati ai rapporti fra
Terra e Sole che abbiano portato al surriscaldamento globale degli ultimi 2
secoli, fenomeni quindi non legati alle attività antropiche.
Come dicevamo all’inizio, i fenomeni sono estremamente complessi, ma
obiettivamente non è possibile sostenere che le preoccupazioni degli
ambientalisti siano “totalmente infondate”, come si sente dire da alcune
persone, più o meno titolate a farlo.
Ciò che
preoccupa in modo particolare non è solo il livello della concentrazione di CO2
e delle temperature medie del pianeta, ma la velocità del cambiamento. Quello
che tecnicamente si chiama la “derivata”. I cambiamenti del passato avvenivano
in modo molto più graduale ovvero per avere l’aumento di 1 °C della temperatura
media del pianeta era necessario attendere 10 mila anni. Oggi, invece, gli
stessi cambiamenti avvengono nel corso di 100 anni.
Chi è esperto di sistemi di termoregolazione automatica (come il sottoscritto)
sa bene che rapidi cambiamenti della componente derivativa (D) possono
comportare delle reazioni inattese del sistema, potenzialmente instabili e
fuori controllo.
Non è forse il caso di essere catastrofisti come Greta Thunberg, ma forse non è
neanche il caso di sottovalutare questi fenomeni.
Il metodo scientifico non ci aiuta più di tanto
Molti dei
progressi fatti dall’umanità ci sono arrivati dalla definizione del metodo scientifico.
Il metodo scientifico utilizza questo diagramma di flusso:
Il metodo prevede quindi l’osservazione del fenomeno “riscaldamento climatico”,
con la raccolta di tutti i dati e le informazioni sul fenomeno (dati storici
provenienti dalle carotature nei ghiacciai, rilevazioni del tasso di CO2
in atmosfera, dell’attività solare, ecc).
Dopo di che viene formulata la teoria, tanto cara a Greta Thunberg, che il
pianeta si surriscalda a causa dell’aumento delle emissioni di CO2.
A questo punto la teoria dovrebbe essere verificata mediante degli esperimenti,
ripetibili da qualunque scienziato nelle condizioni standard definite.
Ed è proprio qui che si arresta la “scientificità” della teoria del
riscaldamento globale.
Non è infatti possibile fare degli esperimenti sul Pianeta Terra nel suo
insieme, riproducendo la composizione di CO2, di metano,
l’irraggiamento solare, lo scongelamento del permafrost, l’inerzia degli
oceani, la fusione dei ghiacciai, ecc.
E meno che mai degli esperimenti ripetibili.
E’ solo possibile osservare i fenomeni attuali e ricostruire i fenomeni del
passato, tentando di interpretarli.
E’ quindi del tutto normale che in queste interpretazioni non vi sia l’unanimità degli studiosi. Tanto più che le interpretazioni rischiano di essere influenzate, in un senso o nell’altro, dalle aspettative degli studiosi e di coloro che li finanziano.
Se, quindi, la
teoria per cui il riscaldamento globale dipende dall’aumento delle emissioni di
CO2 di origine antropica non può essere “scientificamente” dimostrata, è
altrettanto vero che anche la teoria per cui il riscaldamento globale è dovuto
ad “altre” cause (interazioni fra Sole e Terra, ecc.) non può essere
scientificamente dimostrata.
Ci troviamo quindi di fronte a delle teorie più o meno corroborate dai dati
osservati, ma che non potranno mai avere una dimostrazione scientifica come
avviene per altri fenomeni che possono essere riprodotti su piccola scala.
L’approccio scientifico al problema, quindi, non dovrebbe mai essere la negazione “per certo” di queste teorie, ma l’accettazione della possibilità che siano vere.
Facciamo un
esempio simile che ci aiuti a comprendere meglio quale dovrebbe essere
l’approccio razionale.
Supponiamo di trovarci nella situazione in cui siamo malati di una grave forma
di diabete, che peggiora nel tempo, di cui i medici non conoscano la causa.
Alcuni medici dicono che secondo loro la causa è la cattiva alimentazione a
base di cibo non biologico, che ha intossicato l’organismo. La soluzione
proposta sarebbe, quindi, il cambio di dieta, passando ad un’alimentazione al
100% da biologico.
Altri medici, invece, sostengono che la causa sarebbe di tipo genetico, per cui
non ci sarebbe nulla da fare.
Non potendo fare degli esperimenti ed applicare il “metodo scientifico” alla
persona in oggetto, il malcapitato si troverà di fronte ad un dilemma.
1. Passare ad un’alimentazione totalmente biologica, con un aumento delle spese
mensili per la propria alimentazione, sperando che la diagnosi del primo gruppo
di medici sia stata corretta.
2. Credere alla seconda diagnosi, non modificare la propria dieta ed accettare
il decorso della malattia, fino alla propria morte.
Voi cosa fareste?
Quale sarebbe la scelta più razionale?
Risparmiare denaro, da lasciare ai propri discendenti, e non tentare nulla per
guarire dalla malattia?
Oppure spendere più denaro, sperando di guarire, pur senza certezze, dalla
malattia?
I costi del riscaldamento ambientale
Se vogliamo
paragonare il grave caso di diabete con il riscaldamento globale, dobbiamo
guardare alle possibili conseguenze.
Nel caso della grave forma di diabete le conseguenze saranno la morte di quella
persona.
Nel caso del riscaldamento globale, invece, le conseguenze sono probabilmente
un ritorno al clima del passato, quello di 1.5-2 milioni di anni fa, con lo
scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari, la riduzione
della superficie delle terre emerse. Un cambiamento climatico che potrebbe
portare alla modifica delle correnti marine, ad una intensificazione degli
eventi atmosferici, alla desertificazione di alcune aree, ma anche al rinverdimento
di altre aree. Anche in questo caso, data la complessità dei fenomeni, non è
facile prevedere con precisione le trasformazioni del pianeta, degli ecosistemi
e delle interazioni fra genere umano ed il pianeta.
Se alcuni fenomeni sono complessi per fare previsioni, la fusione dei ghiacciai,
l’innalzamento del livello dei mari e la riduzione della superficie delle terre
emerse sono delle conseguenze abbastanza certe, con l’aumento della temperatura
media del pianeta.
Siamo disposti
a prenderci carico dei costi di tutto questo?
Meno superfici agricole per produrre cibo, un clima improvvisamente più caldo,
che non lascia il tempo agli ecosistemi di adattarsi.
Necessità di ricostruire le nostre città in zone oggi arretrate rispetto alle
coste, migrazioni di popoli (potrebbe toccare anche a noi…) che non dispongono
più di terre sufficienti per produrre il proprio cibo. Guerre fra popoli per
approvvigionarsi delle terre fertili rimaste a disposizione. E cose del genere.
Non si tratta di essere catastrofisti, ma di valutare obiettivamente le
possibili conseguenze, sapendo che delle conseguenze certamente ci saranno.
C’è chi ha già fatto l’esercizio di “calcolare” i costi del riscaldamento
globale, chi è interessato a conoscerli ne può prendere visione, non è questo
il luogo per una loro trattazione.
La domanda
fondamentale per ciascuno di noi deve essere quella del malato di diabete: che
cosa vogliamo fare?
Vogliamo continuare a nutrirci “a buon prezzo” di cibo non biologico, che
potrebbe causare la nostra morte, o correre il rischio di spendere di più per
un’alimentazione biologica, senza la certezza di guarire?
Detto fuor di metafora, vogliamo continuare ad utilizzare per la produzione di
energia combustibili fossili “a buon prezzo”, che potrebbero portarci a pagare
il caro prezzo del riscaldamento globale?
Oppure siamo disposti ad utilizzare energia più costosa, proveniente da fonti
rinnovabili, che potrebbe consentirci di evitare il riscaldamento globale?
Questa decisione, come chiaramente illustrato, non si può fondare su dati
certi, “scientifici”, ma solo su dei dati “probabili”, perché la scienza non ci
consente di avere risposte certe.
Da un lato la
“certezza” di pagare più cara l’energia. Ad esempio, parlando dell’Italia,
passando dai 2500 euro l’anno per il riscaldamento invernale a 5000 euro l’anno
e passando da 1000 euro l’anno per l’energia elettrica domestica a 2000 euro
l’anno.
Dall’altro lato il “rischio” di dover pagare un prezzo molto più caro, magari
dell’ordine di 15 mila euro l’anno in più, derivante dal riscaldamento globale.
La disponibilità di energia è certamente un fattore determinante per lo sviluppo umano. Lo sarebbe anche se fosse un po’ più costosa rispetto ad oggi.
A noi la responsabilità della decisione, non soltanto per noi stessi, ma per i nostri discendenti.
Gli interessi delle lobbies
Francamente stupisce molto tutta l’attuale attenzione dei media e della “politica che conta” intorno a Greta Thunberg, dopo che per decenni fior di studiosi e milioni di sinceri ambientalisti sono stati sistematicamente ignorati dai mass media e dalla “politica che conta”.
E’ molto
probabile che vi siano delle lobbies economiche dietro a tutto questo, le quali
sperano di lucrare nei settori dei pannelli fotovoltaici, dell’energia nucleare
o quant’altro.
C’è anche da dire, però, che vi sono altre lobbies che hanno interessi legati
alla vendita di combustibili di origine fossile e che hanno interesse a rendere
non credibili, magari usando una ragazzina “scientificamente poco credibile”
come Greta Thunberg, le teorie sul riscaldamento globale legato alle emissioni
di CO2.
Le lobbies non sono un “blocco unico”, ma sono imprese che tentano di aumentare
le proprie vendite, anche a scapito di altre. Per questo le pressioni e le
influenze avvengono in tutte le direzioni, dove di più (chi investe di più) e
dove di meno.
Il fatto che vi siano delle lobbies che tentano di inquinare l’informazione in
materia, diffondendo posizioni ideologiche ed irrazionali, non deve essere un
motivo per propendere a priori per “l’altra teoria”.
Non solo la CO2
L’approccio
irrazionale alla questione ambientale non riguarda solo coloro che sono
“certi”, senza alcuna prova scientifica, dell’inesistenza del fenomeno, ma
riguarda anche il fatto di trascurare, riducendosi a discutere di Greta e la CO2,
tutti gli altri fenomeni rilevanti per la preservazione del Pianeta.
Poco o nulla si dice nelle prime pagine dei giornali (e nelle parole di Greta)
sugli effetti sugli ecosistemi e sulla nostra salute dei prodotti chimici
utilizzati in agricoltura, sugli effetti delle microplastiche (la plastica che
non si biodegrada, ma che si sbriciola fino a frammenti di pochi micron), sulle
enormi quantità di energia sprecata (energia grigia, obsolescenza programmata)
per fabbricare prodotti usa-e-getta unicamente per favorire le vendite
commerciali di nuovi prodotti, sulle enormi quantità di cibo lasciate deperire
solo per assicurare migliori guadagni dei distributori, sulle devastazioni di
ecosistemi in giro per il mondo derivante dallo sfruttamento irresponsabile
delle materie prime.
Nulla ci viene spiegato sul fatto che molti di questi danni derivano da un
sistema economico irrazionale, irragionevole e insostenibile, fondato sulla
massimizzazione dei profitti per pochi e sulla esternalizzazione dei danni,
ambientali e non.
E nulla ci viene detto, infatti, sui danni sociali e sanitari che vengono
causati dallo stesso sistema.
Se davvero intendiamo lasciare ai nostri posteri un pianeta ospitale e vivibile è necessario che ci prendiamo le nostre responsabilità, informandoci correttamente al di là dei paraocchi ideologici e prendendo le giuste decisioni, anche se dovessero costarci dei sacrifici.
l’articolo esamina in maniera equanime le diverse posizioni sull’argomento clima e ci porta a decidere verso quella soluzione che implica un rischio minore. Un articolo veramente equilibrato che fa piazza pulita di tanti opinionisti improvvisati.