The Crisis of Democracy REPORT ON THE GOVERNABILITY OF DEMOCRACIES TO THE TRILATERAL COMMISSION

Minacce interne nelle stesse democrazie della Trilaterale.

Le minacce interne sgorgano direttamente dallo stesso funzionamento della democrazia. Se non controllate da qualche intervento esterno, finiscono col condurre all’indebolimento della democrazia. In complesso, quelli intrinseci sono pericoli generali, in una certa misura comuni all’operare di tutti i sistemi democratici. Anzi, più democratico è un sistema, più probabilità esso ha di esporsi ai pericoli intrinseci, i quali, in questo senso, sono più gravi dei quelli estrinseci.

Questo tema fu certamente centrale nelle intuizioni di De Tocqueville sulla democrazia. Riapparve negli scritti di Schumpeter e di Lippman; esso è un elemento-chiave nell’attuale pessimismo riguardo al futuro della democrazia.

N.d.R.: Non a caso il rapporto cita a questo punto De Taqueville, Schumpeter e Lippman. Vale la pena approfondire il loro pensiero.

Il visconte Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville (1805-1859) è stato un giurista e magistrato francese, filosofo, sociologo, storico e politico. Il suo pensiero è alla base della concezione liberale. Vediamolo in una breve sintesi, è molto interessante.

J. Locke aveva già definito i diritti individuali: primo fra  tutti il diritto alla vita, da cui seguono in ordine gerarchico: la libertà personale, la proprietà privata e, al quarto posto, la salvaguardia della salute. Voltaire (François-Marie Arouet) aveva aggiunto anche il diritto alla difesa e il diritto ad essere garantito come cittadino.

Il liberalismo è, per sua natura, scettico di fronte al potere politico e sostiene la necessità di potersi opporre ad ogni suo arbitrio, in particolare alla sua inevitabile corruzione. Montesquieu, per questo,aveva tracciato la teoria della separazione dei poteri secondo la quale in ogni stato vi sono tre generi di poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Condizione oggettiva per l’esercizio della libertà del cittadino, è che questi tre poteri restino nettamente separati.

A questo processo di avvio democratico, de Tocqueville aggiunge e modula il concetto complesso di uguaglianza: tutti i cittadini sono uguali di fronte alle leggi; a differenza dell’ancien régime, le varie posizioni sociali devono essere aperte a tutti; ogni individuo aspira all’eguaglianza effettiva di tutti nella società, anche se non è realizzabile in pratica. Ma non è quest’ultima il tipo di uguaglianza che va perseguito, si dovrebbe invece realizzare quella dei punti di partenza. Ognuno poi realizzerebbe la sua vita secondo le proprie capacità e disideri (Si veda anche L. Einaudi- Prediche inutili).

Dopo il suo viaggio in America, de Tocqueville chiarì che l’eguaglianza poteva essere perseguita in vari modi e con diverse forme democratiche. La sua preoccupazione maggiore però rimaneva salvaguardare, all’interno di questo processo inarrestabile, il fondamentale valore aristocratico della libertà. Per de Tocqueville, lo sviluppo graduale delle istituzioni e dei costumi democratici (la democrazia) è l’unico mezzo che rimane per essere liberi e non cadere nel dispotismo.

Altro concetto interessante di de Tocqueville  è che la tendenza all’uguaglianza presenta il pericolo di accompagnarsi a un aumento dell’individualismo e questo indebolisce la coesione sociale e induce l’individuo, rimasto solo, a sottoporsi alla volontà della maggioranza. Ci si chiede pertanto se questo progresso verso l’uguaglianza sia compatibile con l’esercizio della libertà. Uguaglianza e libertà sembrano in realtà opporsi poiché, secondo de Tocqueville, l’individuo tende sempre più a delegare il suo potere sovrano a un’autorità dispotica e quindi può non utilizzare la sua libertà politica: “l’individualismo è una sensazione ragionata che porta ogni cittadino ad isolarsi dalla massa dei suoi simili”.  Secondo Tocqueville, una delle soluzioni per superare questo paradosso, risiede nel restauro dei corpi istituzionali intermedi che occupavano un posto centrale nell’ancien régime (associazioni politiche e civili, corporazioni, ecc.).

Joseph Alois Schumpeter (1883-1950) Corresse la teoria dell’equilibrio economico generale, secondo cui il sistema economico si adatta ai fattori esogeni (istituzioni, evoluzioni politiche, eventi storici, ecc.) ed endogeni (preferenze dei consumatori, sviluppo tecnico, ecc.), tendendo all’equilibrio. Schumpeter aggiunse quella dello sviluppo economico. Lo “sviluppo” è dato dall’imprenditore che introduce nuovi prodotti, sfrutta le innovazioni tecnologiche, apre nuovi mercati, cambia le modalità organizzative della produzione. L’imprenditore può fare questo in quanto dispone dei capitali messigli a disposizione dalle banche, che remunera con l’interesse, ossia una parte del profitto aggiuntivo realizzato grazie all’innovazione. La teoria delle innovazioni e dello sviluppo consente a Schumpeter di spiegare l’alternarsi, nel ciclo economico, di fasi espansive e fasi recessive.

Walter Lippman (1889-1974) Giornalista statunitense liberale, dapprima di sinistra poi su posizioni più moderate. Membro della delegazione statunitense alla conferenza di Versailles. Studiò le tecniche della propaganda, del sondaggio e del marketing, volte ad analizzare o a manipolare gli strati dell’opinione pubblica dal punto di vista economico o politico, favorito dallo sviluppo degli strumenti di comunicazione di massa. Scrisse un articolo sul giornalismo spiegando come l’interesse del lettore si conquisti esprimendosi in modo preciso e chiaro fino dalle prime dieci righe, seguendo uno schema di riferimento costituito da cinque quesiti: le cinque W:

Who?  (“Chi?”), Where? (“Dove?”), When? (“Quando?”), What? (“Cosa?”), Why? (“Perché?”). 

Fu lui a coniare l’espressione Guerra fredda (in inglese “cold war”) per descrivere un’ostilità che non sembrava più risolvibile attraverso una guerra frontale tra le due superpotenze, dato il pericolo per la sopravvivenza dell’umanità rappresentato da un eventuale ricorso alle armi nucleari. 

Questi tre personaggi, citati dal rapporto della CT, sono gli emblemi dei rischi più significativi endogeni allo sviluppo dei sistemi democratici appartenenti alla Trilaterale.

“Appare, inoltre, che queste democrazie abbiano negli ultimi anni generato un cedimento dei mezzi tradizionali di controllo sociale, una negazione di legittimità alla classe politica ed altre forme di autorità, nonché un sovraccarico di richieste al governo, eccedente la sua capacità di risposta”.

“Ad ogni modo, a fare della governabilità della democrazia una questione vitale e davvero impellente per le società della Trilaterale è la concomitanza tra i problemi politici che sorgono dalle minacce contestuali, la decomposizione della base sociale della democrazia manifestatasi con la formazione di intellettuali che si schierano all’opposizione e di giovani estranei alla vita sociale, oltre che gli squilibri che derivano dalle attività democratiche stesse”.

It is, however, the conjunction of the policy problems arising from the contextual  challenges, the decay in the social base of democracy manifested in the rise of oppositionist intellectuals and privatistic youth, and the imbalances stemming from the actual operations ot democracy itself which make the governability of democracy a vital and, indeed, an urgent issue for the Trilateral societies”. Questo concorso di minacce sembra richiedere obiettivi e priorità a lungo termine e di più ampia formulazione, il bisogno di una maggiore coerenza complessiva di indirizzo politico. Tutto questo avviene mentre  la crescente complessità della compagine sociale, le crescenti pressioni politiche sul governo e la sempre minore legittimità di quest’ultimo, rendono sempre più difficile il raggiungimento dei suoi scopi. Le richieste al governo democratico si fanno più pressanti, mentre le sue possibilità ristagnano. Questo, sembra, è il dilemma di fondo della governabilità della democrazia manifestatosi in Europa, Nord America e Giappone negli anni’70.

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