Contro il Coronavirus in Europa ciascuno può fare da sé

Come fanno i paesi fuori dall’Europa e dall’Area Euro a fare fronte alla crisi? Forse che paesi come la Corea del Sud, la Norvegia, il Messico, la Serbia sono condannati ad essere travolti dalla crisi sanitaria ed economica solo perché sono “piccoli” e non fanno parte dell’Unione Europea?

di Davide Gionco.

In questi tempi di coronavirus, di crisi sanitaria e di crisi economica, molti esponenti politici continuano a ripetere su tv e giornali lo slogan “In Europa nessun paese ce la fa da solo”. Ma che cosa dobbiamo salvare in Europa?

Una istituzione politica internazionale astratta o, piuttosto, dobbiamo salvare i cittadini dai rischi sanitari e dagli effetti economici causati dalle pesanti misure restrittive imposte dalla crisi sanitaria?

Come fanno i paesi fuori dall’Europa e dall’Area Euro a fare fronte alla crisi? Forse che paesi come la Corea del Sud, la Norvegia, il Messico, la Serbia sono condannati ad essere travolti dalla crisi sanitaria ed economica solo perché sono “piccoli” e non fanno parte dell’Unione Europea?

Fanno esattamente come stiamo facendo noi:
1) Mettono in campo tutte le risorse sanitarie di cui dispongono, pubbliche o private che siano: strutture ospedaliere, medici, infermieri, tecnici dei laboratori di analisi.
2) Mantengono aperte le attività economiche essenziali, che consentono alla risorse sanitarie di funzionare e che consentono a tutti gli altri di sopravvivere durante il periodo di quarantena in cui non possono lavorare: produzione di cibo, di energia, telecomunicazioni, ecc.

Si tratta di attività economiche per le quali ciascun paese generalmente provvede da se stesso, tramite le competenze e l’impegno dei propri lavoratori. In alcuni casi ci saranno da importare gas e petrolio dall’estero (ma molto meno di prima della crisi) o ci saranno da importare dei beni alimentari. In ogni caso nessun bisogno di aumentare le importazioni dall’estero rispetto a prima della crisi.

Unica eccezione: i dispositivi medicali per fare fronte alla crisi sanitaria, come i ventilatori polmonari, le mascherine, i reagenti chimici per i tamponi Covid-19. L’emergenza sanitaria ha richiesto di aumentare in modo eccezionale la produzione di questi dispositivi. Le nazioni nelle quali, in onore al libero scambio mondiale delle merci, la produzione di tali dispositivi era stata delocalizzata in Cina, si sono trovate in grave difficoltà, con ritardi che sono costati molti morti.
Si ci fosse dovuta essere una solidarietà fra paesi europei, ci dovrebbe essere stata prima di tutto nella condivisione della disponibilità di questi dispositivi, ma dato che ciascuno aveva lo stesso problema di carenza, ciascuno ha fatto per sé, a parte piccole donazioni simboliche giustificate dal marketing politico internazionale.

Quando Paolo Gentiloni dice che “in Europa nessun paese ce la può fare da solo” a cosa si riferisce?
Ciascun paese ha fatto “da solo” tutto quanto poteva fare per fare fronte alla crisi sanitaria. Lo hanno fatto i paesi dell’Unione Europea e quelli fuori dall’Unione Europea.
Questo non per mancanza di solidarietà (forse sarebbe successo anche per questo), ma perché non avrebbe avuto nessun senso “mettere straordinariamente in comune” gli ospedali, i medici, gli infermieri, la produzione di cibo, di energia, ecc.

Probabilmente Gentiloni si riferisci al supporto finanziario ai paesi in difficoltà.
Ma i paesi fuori dall’Unione Europea, cosa stanno facendo “da soli”?
Il Regno Unito, neo-uscito dalla UE, ad esempio, ha imposto alla propria banca centrale Bank of England di emettere e dare denaro a fondo perduto al governo per fare fronte ad ogni esigenza. In questo modo nessuna famiglia è stata lasciata in stato di bisogno e nessuna impresa è stata sola di fronte ai danni causati dal lockdown dell’economia. Al di là della specifica efficacia delle misure adottate nel Regno Unito, dove la crisi è ancora in corso e non è possibile esprimere un giudizio, certamente non sarà la mancanza di fondi per il governo a rendere inefficaci i provvedimenti.

In Italia, invece, è del tutto evidente che se ancora oggi, ad oltre 2 mesi dallo scoppio della crisi, troppe famiglie sono rimaste senza un reddito per vivere e troppe imprese sono sull’orlo del fallimento, questo è avvenuto prima di tutto per la mancanza di fondi da parte del governo.
Non è stata la “burocrazia” a frenare le elargizioni del governo a chi aveva bisogno, ma è stata usata la burocrazia per evitare che il governo rimanesse senza soldi per assicurare gli ordinari pagamenti di pensioni e stipendi ai dipendenti pubblici, oltre alle misure eccezionali anticrisi.
L’Italia si è presentata con il “cappello in mano” a Bruxelles senza neppure provare a chiedere ciò che invece ha ordinato il governo del Regno Unito alla propria banca centrale, ma solo implorando di farsi prestare denaro (centinaia di miliardi di euro) a condizioni meno severe.
Per chi non lo sapesse, la “potenza di fuoco” della BCE è denaro unicamente destinato ad aumentare le riserve per le banche che fanno credito, quando nessuno nell’attuale situazione è in grado di rimborsare (e quindi di ottenere) un credito o ad aumentare la liquidità di alcune grandi aziende quotate in borsa. Nulla che riguardi le famiglie e le piccole-medie imprese colpite dalla crisi in Italia.

Riepilogando: ciascun paese, fuori o dentro dalla UE, dispone delle risorse umane necessarie a fare fronte alla crisi. Quello che manca sono solo i soldi per pagare questi lavoratori. Chi è fuori dalla UE ha modo di ordinare alla propria banca centrale di creare denaro e di erogarlo a fondo perduto. Questo è possibile perché è noto che oggi le banche centrali creano denaro semplicemente pigiando i tasti di un computer, senza alcun costo.
Chi è dentro la UE non ha questa possibilità, per cui rischia di lasciare milioni di persone nella disoccupazione, solo per mancanza di uno che pigi i tasti di un computer per creare il denaro necessario.

La richiesta di alcuni partiti affinché l’Italia chieda di modificare lo statuto della BCE, consentendole di funzionare come Bank of England, è tecnicamente corretta. Non tiene tuttavia conto della fattibilità politica: per cambiare l’art. 123 del TFUE (trattato istitutivo dell’Unione Europea) è infatti necessaria l’unanimità fra i 27 paesi membri. E’ evidentemente fantapolitica pensare che questo cambiamento possa avvenire in tempi immediati, quelli necessari a far pervenire liquidità all’Italia per aiutare le famiglie e le imprese colpite dalla crisi.

La dichiarazione di Paolo Gentiloni, rilanciata come un mantra da tv e giornali, per cui “in Europa nessun paese ce la può fare da solo” non è solo un falso logico, ma si configura come un invito a buttarsi tutti nel pozzo “europeo” dei debiti impagabili. Questo, infatti, sarà il destino dei paesi che saranno obbligati ad indebitarsi con i mercati per fare fronte alla crisi.
In questo momento l’Europa si rivela non un aiuto, ma bensì un grave ostacolo che impedisce agli stati membri di intervenire efficacemente in favore delle proprie economie.

Se l’Italia potesse “fare da sola”, come il Regno Unito, oggi saremmo qui a parlare di un’altra storia.
Se la Comunità Europea sognata da De Gasperi, Schumann ed Adenauer, fatta di popoli in pace e in cooperazione fra i popoli era una certamente utile per tutti, l’idea di mettere in comune la banca centrale e la moneta si sta rivelando un grave problema che in questo momento sarebbe molto meglio non avere.

Data l’attuale situazione disperata dell’economia italiana, l’unica posizione politicamente sensata è l’adozione di un “Piano B” in cui l’Italia non si attende nulla dall’Unione Europea, ma, senza perdere inutilmente tempo, dà vita a strumenti finanziari paralleli all’euro, in modo da poter fin da subito intervenire a sostegno di famiglie e imprese, senza provocare fallimenti e povertà diffusa.

Un “Piano B” potrebbe essere quello proposto nel Piano di Salvezza Nazionale da un gruppo di economisti.
https://pianodisalvezzanazionale.it/

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