di Simone Sbarbati
Si può essere non violenti/pacifisti dentro a un videogame di guerra? Si può andare contro ai limiti imposti dal codice, ancora più rigidi e insuperabili di quelli dettati dal potere nel mondo reale? Può un videogioco diventare il terreno di gioco per praticare il dissenso e la disobbedienza creativa?
Sono alcune delle tante domande che direttamente o indirettamente pone un cortometraggio-capolavoro come How to Disappear, realizzato dal collettivo austriaco Total Refusal.
Fondato nel 2018 da tre artisti — Robin Klengel, Leonhard Müllner e Michael Stumpf —, Total Refusal nasce per tentare di appropriarsi degli spazi videoludici mettendo da parte i comportamenti previsti dalle piattaforma e usando la tecnica situazionista del détournement, quindi avvalendosi dei materiali e dei meccanismi trovati all’interno degli stessi videogiochi per mandarne alla deriva il senso, per ribaltarne gli schemi e le narrazioni precostituite, provando a creare spazi critici.
Partendo dal paradosso insito nel concetto stesso del giocare la guerra — «per definizione un gioco viene giocato volontariamente e per la maggior parte dei partecipanti non c’è niente di volontario nelle guerre del mondo reale» dice la voce narrante — How to Disappear parla di diserzione e di storia della diserzione all’interno di uno dei più celebri videogame del filone bellico: Battelfield 5, «un gioco che rende la guerra un prodotto di consumo» e, soprattutto, un gioco in cui, a differenza delle battaglie reali — non si può disertare. Qualora l’avatar tentasse di farlo, una voce che arriva da non si sa dove — la divina voce del potere — intima a tornare indietro. Se non si ubbidisce, un colpo sparato da un non identificato esecutore (di nuovo, il potere che esercita il suo ruolo divino) lo fa fuori.
Dentro a un videogame, dopotutto, chi gioca accetta la guerra così per come essa è. Non si mettono in discussione i motivi, non ci si chiede quando finirà. Si combatte e basta, con l’idea di vincere. In Battlefield non ci può nemmeno liberare dell’arma che si ha in mano (tranne che andando a nuotare in acqua) quasi come fosse un parte del corpo.
«Un videogame non è solo un artefatto culturale. Esso segue anche le logiche capitaliste» dice la voce narrante, che spiega come nel gioco la guerra venga resa “comoda”, ”esteticamente consumabile” e, soprattutto, libera da situazioni ambigue e complesse e da incertezze morali, quindi anche da una figura ambivalente come quella del disertore.
Se nella guerra reale il disertore pacifista diventa un nemico, nella guerra virtuale l’opporsi al combattimento e il sabotare le azioni altrui viene interpretato come un scherzo, un fare trolling.
Tutto il documentario è realizzato dentro a Battlefield, mostrando soldati idealmente “imboscati” tra cespugli e resti distrutti, dietro a rocce e alberi, o mettendo in scena l’insensatezza del combattere una guerra “per gioco” e l’assurdità della guerra stessa.
Presentato in oltre 60 festival in tutto il mondo (tra cui, in Italia, il Concorto Film Festival, il FILMETS Badalona Film Festival, il Sedicicorto International Film Festival, il Milan Machinima Festival), How to Disappear ha vinto numerosi premi ed è appena arrivato in versione integrale su Vimeo.
Ne consiglio caldamente la visione.
Qui il link: BUONA VISIONE
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