di redazione
Sfogliando il vocabolario, in modo del tutto casuale apro la pagina e leggo: “scegliere” ma in alcune costruzioni verbali anche “dire” e cioè “i lavoratori, il popolo deliberano durante le assemblee, meglio ancora, lo dicono in maniera pubblica in modo che chiunque possa capire quanto accade e quanto è stato scelto.
E’ quello che hanno fatto i lavoratori della GKN: da settimane impegnati in una dura protesta per fermare la delocalizzazione di tutto l’impianto produttivo e rilanciano al governo una propria proposta in merito alle delocalizzazioni, dato che i politici e la politica sono troppo timidi, in sintesi, non vogliono assolutamente trovare una soluzione alle delocalizzazioni che vanno assolutamentefermate ora e vietate domani.
“Non sulle nostre teste ma con le nostre teste”
Questo il titolo dell’appuntamento dato ai cancelli della fabbrica a giornalisti, giuristi, avvocati ed il messaggio è arrivato forte a Bonomi e ai responsabili del Fondo Melrose.
Sono incomprensibili e inaccettabili le modalità con cui Bonomi (Confindustria) annuncia i licenziamenti e la chiusura di uno stabilimento come quello della GKN, all’avanguardia con tecnologie avanzate, ottima formazione del personale, contratti attualmente attivi ed i magazzini pieni di prodotti da consegnare e commercializzare, in sintesi “si può continuare a produrre, in sicurezza e con redditività.
Quindi la domanda è, perchè il Fondo finanziario rifiuta la ristrutturazione, o la conversione privilegiando solo ed esclusivamente la chiusura?
La questione GKN mette in luce un’altra problematica importante, al governo, non era subito chiaro il problema dei licenziamenti collettivi, la legge 223, essendo del 1991, non prevede ciò ed è quindi necessario ideare una procedura per le imprese che “intendono chiudere un un’azienda produttiva .. per ragioni non dettate da squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne renda probabile la crisi o l’insolvenza”. Vanno cioè introdotti obblighi di informazione e confronto in capo all’impresa per la creazione di un piano per minimizzare l’impatto della chiusura valorizzando lo strumento della “struttura della crisi di impresa” di cui alla legge 296/ 2006, n. 296.
Manca a questa legge il buon senso e si evidenzia la pericolosità e l’inadeguatezza della rappresentanza degli industriali, cioè Confindustria.
La legge non solo non prevede casi come questi ma non è efficacie per la salvaguardia del tessuto occupazionale e produttivo.
Anche la proposta del Governo, quella dell’impianto sansonatorio è ridicola, si fanno sempre gli stessi errori come per lo sblocco dei licenziamenti.
I lavoratori della GKN, all’assembla sono venuti con le idee chiare e proposte solide: “non impegni a raccomandare” “occorrono regole chiare ed un apparato sanzionatorio forte, fortissimo, in modo da convincere gli imprenditori a non perseguire la strada delle delocalizzazioni, e se proprio è necessario devono essere risarcite tutte le realtà coinvolte nella produzione, chiaramente prima i lavoratori.
Dall’assemblea ecco che prendono forma le prime proposte:
“le aziende che intendano disimpegnarsi in via definitiva da un sito produttivo, per ragioni non determinate da squilibrio patrimoniale o economico-finanziario” possono venderlo ma non procedere alla sua chiusura.
L’eventuale procedura deve avviarsi solo dopo che l’imprenditore abbia provato, senza riuscirci, per un periodo congruo a vendere l’azienda e deve essere finalizzata a trovare un capitale industriale (eventualmente partecipato dallo Stato) disponibile a sostituire quello che intende disimpegnarsi. La procedura non deve più essere finalizzata alla espulsione dei lavoratori ma alla sostituzione del capitale sociale, con il sostengo del pubblico non nella veste del cattivo espropriatore ma del buon compratore , chiaramente riducendo il valore dell’azienda che il proprietario ha già deciso di dismettere.
Al termine dell’assemblea sono stati annunciati due licenziamenti senza appello: il per il fondo Melrose ed il secondo per la delocalizzazione delle imprese produttive in Italia.
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