di Maurizio Torti
Il fenomeno delle baby gang, prima principalmente diffuso in USA e nei Paesi anglosassoni, sta imperversando anche in Italia. Tuttavia, mentre all’estero le politiche di security stiano agendo con piani mirati per arginare il fenomeno, nel nostro Paese il primo studio a livello nazionale non riesce a decollare, neanche nella regione che ne vanta la paternità. Elaborato dalla criminologa Giusy Calabrò e presentato a Verona tramite mozione dal consigliere regionale Stefano Valdegamberi sembra non trovare il minimo interesse da parte dell’amministrazione comunale appena insediatasi. Seppur risaputo che i governi di Sinistra non siano portati ad attuare politiche di security su territorio nazionale, prediligendo il “dialogo” anche dove sarebbe controproducente, tuttavia ci si chiede per quale motivo venga ignorato un piano che prevede, non solo di monitorare e contrastare il fenomeno tramite la collaborazione sinergica fra istituzioni civili e Forze dell’Ordine, ma anche di sviluppare attività preventive e socio-rieducative rivolte ai soggetti coinvolti e ai loro familiari.
E’ chiaro che, come dichiarato dalla dott.ssa Calabrò, “tali attività non possano essere risolutive e definitive se prima non ci sia l’intenzione di apportare delle modifiche al sistema penale minorile che si basa ancora sull’obsoleta Legge 488/88, in relazione alla quale i ragazzi sono consapevoli che una volta commessi i reati rimarranno impuniti.”
Il piano che ha riscosso grande entusiamo, innanzitutto fra i membri delle Forze dell’Ordine veronesi, troppo spesso impegnate nel costrasto delle baby gang, e dai media veneti, è rilevante sono solo nella modernità del taglio, ma anche nella completezza delle proposte: un periodo rieducativo obbligatorio per i ragazzi, sia minorenni, sia maggiorenni, coinvolti nelle gang; la presa di responsabilità dei genitori coinvolti che, almeno a Verona, sono per la maggioranza italiani di seconda generazione i quali usufruiscono di agevolazioni comunali che gli potrebbero venire sottratte nel caso non dovessero rispettare i doveri genitoriali previsti dalla Costituzione italiana, quali il diritto di educare, non solo alla cittadinanza attiva ma anche di far frequentare la scuola ai propri figli, invece di lasciarli a gironzolare senza una meta; nonché di sorvegliarli (non si spiega come gran parte dei furti di capi costosi firmati e biciclette non venga scoperta dai genitori).
La situazione emergenziale presente a Verona è solo la cartina di tornasole di un fenomeno criminale che si sta diffondendo anche in altre città italiane e che vede le istituzioni assenti o inermi. Insomma, ancora in Italia permane un atteggiamento ipergarantista nei confronti dei minori che delinquono: occorre comprendere come la Generazione Z sia troppo diversa da quella degli anni Ottanta per tutta una serie di motivazioni psico-sociali. Ciò nonostante, escludendo la proposta di qualche leghista veronese di insediare la polizia di quartiere nei luoghi più soggetti agli attacchi delle baby gang, soltanto il provvedimento presentato da Valdegamberi risulta completo e in grado di avere un impatto territoriale che possa garantire la sicurezza dei cittadini veronesi
Dichiara Valdegamberi: “La mozione che include il piano di security che include l’analisi criminologica della dott.ssa Calabrò e le mie proposte politiche è stata approvata in Regione ai primi di febbraio ed è ancora nel limbo. Essa traccia una road map per affrontare il problema a vari livelli mediante la sinergia di figure professionali competenti. Diversamente non si otterrà nulla.”
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