Dalla parte giusta

Il colonialismo moderno

Colonialismo moderno

di Danilo D’Angelo

Sin dagli albori delle cosiddette civiltà queste si sono garantite la loro sussistenza attraverso la conquista di territori oltre i propri confini. La popolazione aumentava, come conseguenza di un benessere raggiunto? Questo imponeva l’acquisizione di nuovi territori da coltivare. E di solito non si parlava con il vicino per negoziare l’utilizzo dei suoi terreni, garantendo, magari, una vita più che dignitosa a lui e alla sua discendenza, ma lo si sterminava. Questo perché l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, che è notoriamente infinitamente buono e giusto.

Da quello che noi identifichiamo come “colonialismo moderno” l’usanza di occupare territori altrui per procurarsi i beni necessari al proprio benessere, sterminando le popolazioni autoctone, è stata esclusiva di noi europei: solo noi avevamo il diritto di sottomettere altri Stati per poterne ricavare le materie prime che ci servivano.

Ancora oggi, sull’enciclopedia Treccani, alla voce “colonialismo” si legge: “In età moderna e contemporanea, l’occupazione e lo sfruttamento territoriale realizzati con la forza dalle potenze europee ai danni di popoli ritenuti arretrati o selvaggi.” In età moderna e contemporanea, di popoli ritenuti arretrati e selvaggi. Beh, se sono arretrati e selvaggi… Come siamo bravi a giustificare le nostre atrocità! Anzi, come disse Sir Michael O’Dwyer, Luogotenente del Governatore del Punjab, che ordinò quello che passò alla storia come il massacro di Amritsar, dove circa 1.500 dimostranti pacifisti indiani, tra cui donne e bambini, furono uccisi da bombardamenti aerei e a colpi di mitragliatrice: “It is not only our right but our duty to rule India”, non è solo nostro diritto, ma nostro dovere governare l’India. Certo, nostro dovere; d’altronde sono “arretrati e selvaggi”.

Si definisce il primo impero coloniale della storia moderna quello portoghese cominciato con la conquista di Ceuta nel 1415, appena al di là dello stretto di Gibilterra, oggi città autonoma spagnola circondata dal Marocco. Poi presero Madera, le Azzorre, il Senegal, la Guinea, Capo Verde, la Sierra Leone, il golfo di Guinea e poi raggiunsero l’India dove stabilirono il loro centro operativo a Goa e da lì continuarono la loro occupazione del Mozambico, di Kilawa, di Mombasa e dell’Abissinia. Ma l’elenco non finisce qui, i portoghesi conquistarono molto di più, ma qui non m’interessa fare l’inventario delle loro colonie. Ma perché si spinsero così lontani da casa, per sete di conoscenza, per varcare le colonne d’ercole come dei novelli Ulisse? Non scherziamo, chi mette la conoscenza al primo posto non stermina il prossimo. Cercavano merci da commerciare, soprattutto spezie e oro, in modo da rimpinguare le proprie casse, ma anche schiavi ossia manovalanza gratuita. Diedero così il via a quella fortunata e simpatica usanza chiamata “economia estrattiva”: arrivo, ti prendo tutto quello di cui ho bisogno e a te non lascio un bel nulla. Anzi, quando me ne vado faccio in modo da lasciarti in uno stato tale da farti rimpiangere quando ti governavo io, vedi gli inglesi con India-Pakistan-Bangladesh e il Nord Africa.

E così gli spagnoli impararono dai loro cugini portoghesi e quando un certo Cristoforo Colombo si propose per trovare una via più rapida per raggiungere le indie, non si lasciarono sfuggire l’occasione per poter raggiungere quei luoghi più velocemente dei portoghesi e batterli sul tempo. La storia ci dice che andò diversamente, ma i bravi spagnoli seppero approfittarne comunque. Ci misero un po’ di anni, ma all’inizio del ‘500 cominciarono la colonizzazione del Sud America. E state tranquilli che nemmeno quella volta noi europei ci spingemmo così lontani per amore della conoscenza o per aiutare i popoli più arretrati di noi. Come scrisse Bernal Diaz del Castillo – cronista della spedizione di Hernán Cortés – “Siamo venuti per servire Dio e il Re, ma anche per diventare ricchi.” E lo fecero. Sì è vero, per diventare ricchi distrussero gli imperi dei Maya, degli Incas e degli Aztechi, ma erano “arretrati e selvaggi” quindi si poteva fare. Nel migliore dei casi quei popoli erano ritenuti incapaci di autogovernarsi e di arrivare autonomamente ad un grado di civiltà superiore e quindi andavano “tutelati”. Nel trovare i vocaboli giusti non ci batte nessuno.

Quindi gli spagnoli, nonostante non avessero trovato le Indie, non si persero d’animo e presero tutto ciò che trovarono nei nuovi territori, a cominciare dai prodotti agricoli come le patate, i pomodori, legname e le fibre tessili, cotone in primis, ma anche oro e argento e, manco a dirlo, schiavi. Il tutto sfruttando la manodopera dei nativi ridotti in schiavitù. Col tempo, poi, affinarono quest’arte estrattiva importando le materie prime in Europa a prezzi bassissimi e rivendendo i prodotti lavorati ai Paesi produttori originali a prezzi alti e senza dotarli di infrastrutture per la lavorazione. In buona sostanza, vengo a casa tua, ti riduco in schiavitù, ti rubo le materie prime, ti vendo i prodotti lavorati dalle mie aziende europee e non t’insegno nemmeno come farlo da solo, quindi diventi dipendente da me.

E noi europei, che siamo dei tipi svegli, questo l’abbiamo imparato immediatamente. Infatti anche gli altri Stati europei seguirono il buon esempio dei portoghesi e degli spagnoli (quelle che oggi definiremmo “le buone pratiche”), a cominciare dagli inglesi, gli olandesi, i francesi e i belgi, ai quali poi seguirono anche i tedeschi e noi.

Non ci crederete, ma nessuno dei Paesi europei, culla della cultura e dell’arte mondiale dell’epoca, ha mai colonizzato un Paese “arretrato e selvaggio” per portargli “virtute e canoscenza”, ma solo per rubargli le materie prime, sfruttare la manodopera locale e renderlo dipendente commercialmente e finanziariamente.

Non credo ci sia bisogno che elenchi le nefandezze arrecate dagli inglesi agli indiani, ai cinesi, agli africani, agli australiani o agli indiani d’America e nemmeno che ribadisca quanto la loro posizione di predominanza attuale sia stata costruita letteralmente sul sangue e sulle ossa delle popolazioni da loro colonizzate.

Ma non solo gli inglesi sono campioni di massacro estremo. Penso, per esempio al massacro delle isole Banda – un arcipelago di dieci isole in Indonesia – avvenuto a cura dei simpatici olandesi (che oggi vengono annoverati tra i cosiddetti “Paesi frugali”) agli inizi del ‘600 per il monopolio sulla noce moscata. Si stima che la popolazione delle isole fosse di circa 15.000 abitanti; quando gli olandesi fecero il loro dovere ne rimasero non più di mille.

Un altro campione di questo meraviglioso sport fu re Leopoldo II in Congo. Nel 1885 il gentile sovrano belga occupò l’attuale Stato del Congo impossessandosi della ricchezza di quelle terre, primo fra tutti il caucciù che in quegli anni era oro, dato il rapido proliferare dell’industria automobilistica. Naturalmente il buon sovrano pensò bene di utilizzare la popolazione locale sia per l’estrazione che per il trasporto del prezioso materiale, senza pagarla. Anzi, se non raccoglievano il quantitativo giornaliero richiesto gli venivano amputate le mani o i piedi e, alle donne, le mammelle. Alla fine del ventennio di regno sul suo personale possedimento, il buon Leopoldo poté vantare un record tutt’oggi imbattuto: grazie alle sue atrocità morirono circa dieci milioni di “arretrati e selvaggi”.

E gli americani?

Beh, loro sono fenomenali. Ci hanno provato anche loro a invadere qualche nazione, ma non ce l’hanno mai fatta. Militarmente sono delle nullità. Come, direte voi, la più grande potenza mondiale? Hanno vinto la seconda guerra mondiale! Ne siete sicuri? Pensate ce l’avrebbero fatta senza l’aiuto dei russi? Fu la grande offensiva dell’Armata Rossa a provocare la disfatta della Wermacht in Russia, in Polonia e Bielorussia arrivando a Berlino prima degli americani, con l’operazione Bagration. E in Corea, in Vietnam, in Afghanistan? Una figuraccia dietro l’altra. Anche in Iraq gli americani vinsero grazie alla collaborazione di tutte le forze armate alleate. Quindi, militarmente non sono mai stati in grado di fare alcunché. Pertanto hanno sempre preferito utilizzare i servizi segreti o i ricatti economici per ottenere le materie prime per loro essenziali, vedi tutte le azioni intraprese nel loro “cortile di casa” come definiscono il Centro e Sud America.

Occupare territori stranieri per assoggettarne le popolazioni “arretrate e selvagge” è una prerogativa tutta occidentale, un nostro primato. L’India non ha mai colonizzato nulla, lo stesso vale per gli stati africani, per non parlare di quelli del centro e sud America.

Diverso è per la Russia, che si è annessa tutti i territori del centro Asia, ma come ci insegna la storia recente, li ha dovuti lasciar andare a poco a poco. E quando prova a riprendersene qualcuno siamo noi i primi ad ergerci paladini dell’autodeterminazione dei popoli. Che ipocriti!

La Cina sta imparando da noi e sta espandendo la sua influenza economica in molti stati asiatici (Nord Korea, Sri Lanka e tramite la Belt and Road Initiative, la nuova via della seta), ma soprattutto in Africa come per esempio in Madagascar, Nigeria, Guinea Equatoriale, Namibia, Sud Africa, Congo, Eritrea, Uganda, Sudan e Kenya. E lo fa sempre per gli stessi motivi; manodopera a basso costo (maledizione, oggi non si possono più renderli schiavi) ed estrazione delle materie prime. E come facciamo noi occidentali quando, dopo aver causato morte e distruzione per esportare la democrazia, ricostruiamo le infrastrutture dei Paesi da noi violentati, allo stesso modo i Cinesi costruiscono, in tempi rapidissimi, strade, ponti e ferrovie. Ma a nostra differenza, nel farlo, coinvolgono le grandi corporazioni locali, le grandi società statali africane e le piccole e medie imprese. Ma, come noi, non lo fanno gratuitamente; anzi, gli Stati aiutati devono rimborsare tutto, interessi compresi. E, ovviamente, molti Stati non ce la fanno (vedi il Congo e Sri Lanka) e quindi diventano “sudditi” di Pechino.

Ora basta, altrimenti mi viene il vomito.

Tralascio volutamente tutti gli altri scempi ambientali e i massacri di popolazioni avvenuti nel nome del progresso di poche nazioni (noi compresi) a discapito della Natura e dei popoli da noi europei colonizzati perché, come dicevo all’inizio di questo articolo, il mio intento non è quello di elencare le atrocità di cui ci siamo macchiati e, grazie alle quali, ancora adesso ci vantiamo d’essere i Paesi più progrediti. Ci sono fior di libri che sono molto più accurati di queste poche righe e che illustrano molto più nel dettaglio le raffinatezze utilizzate da noi occidentali per ottenere ciò che vogliamo. No, il mio intento è un altro.

Farvi vergognare.

Vorrei che prendeste coscienza nelle profondità del vostro essere, di come siamo arrivati fin qui, di come abbiamo costruito il nostro benessere, la nostra supposta superiorità culturale, economica, sociale e democratica su cumuli di cadaveri di uomini, donne e soprattutto di bambini innocenti. Gli stessi bambini e le stesse donne di cui proclamiamo di volere salvaguardare i diritti. Quanto ci sentiamo buoni quando parliamo di femminicidi e di questione gender. Ma per favore!

Ma quanto riusciamo ad esserne consapevoli? Basta che uno stupido come me scriva qualche riga per farvene rendere conto nel profondo del vostro essere? Servirà a qualcosa quanto da me scritto? Vi rendete veramente conto che gli strumenti che noi utilizziamo, a cominciare dal computer col quale sto scrivendo, al cellulare che usiamo continuamente tutti i giorni, dalle nostre belle automobili iper tecnologiche, a quelle elettriche, dagli elettrodomestici “smart” a tutto il mondo digitale, ci rendiamo conto che sono strumenti che grondano il sangue di quei poveracci che estraggono i semiconduttori necessari per fabbricarli? I rapporti dell’ONU parlano di 11 milioni di morti legati al controllo del business dei semiconduttori (da un articolo di Andrea Nicastro sul Corriere della Sera del 15 aprile 2017, figuriamoci quanti sono oggi!).

Direte «E io che c’entro?» Io, tu, tutti noi c’entriamo, perché se è vero che non abbiamo deciso noi questa situazione, chiamiamola questa politica, se non è colpa nostra se da più di 500 anni sfruttiamo il resto del mondo per poter star bene noi, è anche vero che avalliamo le scelte politico-economiche che i nostri Paesi adottano a discapito dei Paesi sfruttati. È vero che compriamo questi strumenti e che non ci imponiamo sui nostri governanti. Lasciamo che facciano, che siano loro a prendere queste decisioni scomode, vero?

E va bene, continuiamo così.

Però sappiate che il male esiste, che le persone cattive esistono e siamo noi. E se esiste un dio di bontà, di amore e di giustizia sappiate che non gli piacciamo affatto.

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