di Francesco Cappello
Mentre la diplomazia dell’Unione europea, per bocca di Joseph Borrell, che aveva definito le autorità di Mosca “regime fascista”, dichiara l’Europa un “giardino” e il resto del mondo una “giungla”, nel resto del mondo Russia e Cina hanno avviato una vera e propria rivoluzione diplomatica.
Ecco la dichiarazione di Borrell proferita nel corso dell’inaugurazione a Bruges del nuovo programma di studi dell’Accademia diplomatica europea che dovrebbe formare i futuri diplomatici della Ue: «Sì, l’Europa è un giardino. Abbiamo costruito un giardino. Tutto funziona. È la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità sia riuscita a costruire: le tre cose insieme (…) La maggior parte del resto del mondo è una giungla e la giungla potrebbe invadere il giardino. I giardinieri dovrebbero occuparsene, ma non proteggeranno il giardino costruendo muri. Un bel giardinetto circondato da alte mura per impedire l’ingresso della giungla non sarà una soluzione (…) I giardinieri devono andare nella giungla. Gli europei devono essere molto più coinvolti con il resto del mondo. Altrimenti il resto del mondo ci invaderà, in modi e mezzi diversi (…) questa guerra è stata un’occasione per l’Unione europea di essere più assertiva e di spingere per la creazione di una posizione europea – dal lato della politica estera e anche dal punto di vista militare e di difesa».
e la Dichiarazione congiunta sulla cooperazione UE-NATO del 10 gennaio:
L’Occidente unito «mobiliterà ulteriormente l’insieme degli strumenti a nostra disposizione, siano essi politici, economici o militari, per perseguire i nostri obiettivi comuni a beneficio del nostro miliardo di cittadini».
Da una parte l’impero egemonico angloamericano, a cui è asservita l’Ue, intrappolato nella pratica sistematica del Divide et Impera, che ricorre all’imposizione basata sulla minaccia della forza e l’esercizio esplicito della violenza militare, che continua a non farsi scrupolo a sfruttare le più violente ingerenze sostenendo dittature locali ed alimentando “terrorismi” finalizzati al regime change (cambio di regime) con la volontà sistematica di utilizzare risorse altrui, rendite di posizione, per propri interessi, dall’altra il perseguimento di rapporti collaborativi, alla pari, alla ricerca del reciproco vantaggio in logica relazionale win win nel rispetto delle identità nazionali e delle civiltà di appartenenza.
Le diplomazie russe e cinesi stanno operando una vera e propria offensiva diplomatica in Medioriente rifondando la speranza di Pace in un’area devastata dalle guerre volute dagli USA, un’area che rappresenta più di un terzo della produzione mondiale di petrolio, di cui l’economia occidentale non potrà fare a meno per molti decenni a venire.
Sta accadendo che i diversi Paesi arabi sunniti diano ora maggior credito alla mediazione russo-cinese che alle promesse occidentali per controllare la minaccia sciita iraniana. La grande svolta diplomatica, con l’intermediazione della Cina, ridurrà l’eventualità di conflitti armati tra gli ex rivali del Medio Oriente, sia direttamente che in conflitti per procura.
Il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita
L’Arabia saudita sunnita e l’Iran sciita, nemici storici, avevano rotto le relazioni diplomatiche nel 2016 dopo sette anni di conflitto. A marzo scorso l’annuncio di averle riavviate al termine di trattative, svolte con la mediazione del governo cinese, finalizzate a promuovere “sicurezza, stabilità e prosperità” in Medio Oriente.
Il conflitto tra Iran e Arabia Saudita aveva assunto la forma di guerra per procura, attraverso i rispettivi alleati nei vari contesti di crisi che hanno coinvolto lo Yemen, la Siria e il Libano (1) che beneficiano ora del processo di pacificazione in atto. L’iraniano Hossein Amir-Abdollahian e il saudita Faycal ben Farhane hanno dichiarato, in una nota congiunta: “Le due parti hanno concordato di sviluppare la loro cooperazione in tutti i settori, al fine di garantire la sicurezza e la stabilità della regione”. Nel 2015, i rapporti tra i due paesi si erano guastati dopo che l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti erano intervenuti nella guerra in Yemen. Il movimento huthi in linea con le desiderata iraniane aveva cacciato il governo sostenuto dai sauditi. Si è trattato di una guerra terrificante che ha ucciso, secondo stime ONU, oltre 130.000 yemeniti.
Nello Yemen di oggi più di 23 milioni di persone soffrono per insufficienza di cibo e cure mediche a causa del conflitto. La guerra saudita, sostenuta dagli Stati Uniti, ha demolito le infrastrutture dello Yemen distruggendo fabbriche, strade, ponti, scuole, ospedali ecc. Il ministro degli esteri iracheno Fuad Hussein ha riferito che le parti hanno raggiunto un accordo su un memorandum d’intesa in dieci punti e riaffermato la volontà di rafforzare il cessate il fuoco nello Yemen.
Scambio di prigionieri tra le parti, liberati dall’Arabia Saudita e dal gruppo ribelle Houthi, sostenuti dall’Iran, che controlla parte dello Yemen. Lo scambio ha riguardato quasi 900 prigionieri di guerra
L’ambasciatore saudita Walid Boukhari, ha dichiarato che «c’è sicuramente qualcosa di positivo per il Libano a seguito della distensione dei rapporti tra Iran e Arabia saudita». Il Libano, infatti, è stato decennale terreno di scontro tra i partiti legati alla Siria e all’Iran e quelli appoggiati dagli Usa e dall’Arabia Saudita.
Ovviamente questa “intrusione” diplomatica della Cina non ha fatto molto piacere agli USA. Il NYT titola: L’accordo mediato dalla Cina sconvolge la diplomazia del Medio Oriente e sfida gli Stati Uniti. Così Fox News: “I colloqui mediati dalla Cina tra l’Arabia Saudita e l’Iran rappresentano uno sviluppo ‘preoccupante’, avverte l’ex DNI (ex direttore dell’intelligence nazionale). Gli fa eco il canale televisivo statunitense MSNBC news: ‘L’accordo saudita-iraniano mediato dalla Cina ha grandi ripercussioni per il Medio Oriente e gli Stati Uniti’
Se si pensa ai Paesi coinvolti nella Nuova Via della Seta risulta evidente l’interesse di Pechino nel mediare la distensione e la stabilizzazione regionale in tutta l’area mediorientale ma anche quella di “una comunità globale di futuro condiviso”.
La prima visita del Presidente Xi Jinping è stata in Kazakistan e a Samarcanda, in Uzbekistan all’incontro della Shangai Cooperation Organization (SCO) del settembre 2022.
Il processo di normalizzazione in corso ha portato da una parte Teheran a riaprire la propria amabasciata a Riyad e dall’altra il Consolato generale iraniano a Gedda oltre all’ufficio di rappresentanza di Teheran presso l’organizzazione per la cooperazione islamica.
I ministri degli esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian e saudita Faycal ben Farhane in un comunicato congiunto a Pechino hanno dichiarato che «Il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita contribuirà a promuovere sicurezza, stabilità e prosperita in Asia occidentale». I due ministri si sono impegnati a risolvere problemi riguardanti i voli diretti tra i due Paesi, il rilascio di visti di viaggio, il commercio e la cooperazione in materia di sicurezza.
In altra dichiarazione congiunta Iran e Arabia Saudita si definiscono «Nazioni fraterne». I due ministri hanno ringraziato la Cina per averli ospitati e mediato la distensione. Secondo l’ambasciatore iraniano Keshavarzzadeh: «Gli sforzi diplomatici di Pechino per riunire Iran e Arabia Saudita stanno correggendo errori commessi dall’America. Pechino potrebbe svolgere un ruolo significativo nella mediazione del conflitto in Ucraina». Per il Global Times la ripresa dei rapporti diplomatici e commerciali tra Iran e Arabia saudita «Ha implicazioni geopolitiche di vasta portata ed è vista da molti come un duro colpo per l’influenza diplomatica degli Stati Uniti, ma anche come un risultato significativo per la Cina sulla scena politica internazionale».
Liu Zhongmin della Shanghai International Studies University, ha detto al Global Times che:
«E’ ovviamente difficile per l’Occidente comprendere la ragione fondamentale per cui la Cina può promuovere con successo la riconciliazione tra Arabia Saudita e Iran, perché la Cina segue un concetto e una politica diplomatica completamente diversi dalla strategia e dalla politica mediorientale dell’Occidente, ed è diversa dai comportamenti dell’Occidente che dividono la regione, incitano allo scontro e promuovono la cosiddetta trasformazione democratica, nonché pratiche dannose come la guerra per procura. Il successo con il quale la Cina può promuovere la riconciliazione e allentare le tensioni in Medio Oriente si basa su una solida base affinché la Cina conquisti la fiducia dei paesi del Medio Oriente accumulata dall’adesione a lungo termine ai cinque principi della coesistenza pacifica, e la loro storica amicizia con la Cina. Nella nuova era, la Cina ha lanciato e proposto una serie di idee e pratiche tra cui una comunità globale di futuro condiviso, l’iniziativa Belt and Road, nonché la Global Development Initiative, la Global Security Initiative e la Global Civilization Initiative, che sono compatibili con i bisogni delle popolazioni del Medio Oriente che sono state a lungo travagliate da guerre, scontri e tensioni di civiltà».
Il viceministro degli esteri cinese, ha concluso: «L’accordo raggiunto a Pechino tra Arabia Saudita e Iran è una vittoria per la pace. Non è solo una pratica della Global Security Initiative, ma una pratica di successo dell’idea della comunità globale del futuro condiviso».
La Turchia ha riconfermato Erdogan alla sua guida per i prossimi anni. Far parte della NATO non pare impedire alla Turchia di avvicinarsi ai BRICS e alla SCO (Shangai Cooperation Organization), un’organizzazione asiatica che ha come fine la sicurezza dei paesi membri, una sorta di Nato asiatica, alternativa alla NATO. Le dichiarazioni di Erdogan all’indomani delle elezioni lascerebbero intendere che la Turchia potrebbe in futuro lasciare la NATO scegliendo la SCO. Tutto da verificare ovviamente. La Turchia ha sempre giocato al confine tra i due mondi…
TURCHIA – SIRIA – IRAN
Della Turchia ricordiamo il tentativo di mediazione di una proposta di pace tra Russia e Ucraina, e il successo dell’accordo sul grano. Essa si riavvicina, oggi, alla Siria e all’Iran incoraggiata in questo processo dalla mediazione russa.
La Turchia ha evitato di accodarsi alla richiesta occidentale di sanzioni alla Russia. Il presidente turco ha, però, fatto cadere il veto sull’ingresso della Finlandia lo scorso 30 marzo, permettendo così l’adesione del Paese all’Alleanza Atlantica il 4 aprile 2023, ma frena, per ora, sull’ingresso della Svezia.
Lo scorso 10 maggio si è svolto un incontro a Mosca tra i ministri degli esteri di Russia, Iran, Siria e Turchia finalizzato alla ripresa del dialogo e della cooperazione tra Damasco e Ankara. Un benefico effetto secondo Lavrov di tale riavvicinamento tra i due Paesi sarà il rientro di almeno tre milioni di profughi siriani che erano rimasti confinati in Turchia. Il nuovo ministro della difesa, il generale Yasar Guler, garantirà il processo di riavvicinamento oltre che con la Siria, dopo la precedente attività bellica, anche con Libano e Iran molto meglio dell’ex ministro della difesa Hulusi Akar, ormai compromesso con le ostilità belliche della vecchia politica verso quei paesi.
Afghanistan: Pechino e Mosca sostengono la nuova politica di Kabul
papavero da cui si ricava oppio
Con la dipartita degli USA, nell’agosto del 2021, dopo venti anni di permanenza, Russia e Cina e Iran hanno confermato, nel fuggi fuggi generale, le loro ambasciate a Kabul. Anche l’Iran si inserisce nel nuovo contesto.
L’ambasciatore russo a Kabul, Dmitry Zhirnov, riferisce inoltre che i talebani intendono costruire un Afghanistan “civilizzato”, “libero dal terrorismo e dal traffico di droga”.
Non a caso, diminuisce drasticamente la produzione dell’oppio: “L’Afghanistan produceva oltre l’80% dell’oppio mondiale. L’eroina ricavata dall’oppio afghano costituisce il 95% del mercato in Europa“. A confermarlo è l’analisi satellitare della BBC che ha documentato gli effetti della dipartita degli USA sulla coltivazione del papavero da oppio. I leader talebani hanno avuto successo nel reprimere la coltivazione. La coltivazione annuale potrebbe essere inferiore dell’80% rispetto allo scorso anno. I raccolti di grano, seppure assai meno redditizi, stanno soppiantando i papaveri nei campi(2). Non è facile per i contadini adeguarsi. Piccoli appezzamenti di terra, finalizzati alla produzione di oppio, davano loro un equilibrio economico che ora dovranno imparare a ricavare da altre coltivazioni meno redditizie.
La Cina spera apertamente in un governo islamico “aperto e inclusivo” in grado di garantire la sicurezza dei cittadini afghani e delle missioni straniere in Afghanistan. Intende sviluppare “relazioni amichevoli” con i talebani e svolgere un ruolo attivo per la pace e la ricostruzione post-bellica del Paese.
L’Iran, per bocca del suo presidente Ebrahim Raisi, ha dichiarato che: “La sconfitta dell’esercito degli Stati Uniti e il suo ritiro dall’Afghanistan devono essere utilizzati come un’opportunità per rilanciare la pace e la sicurezza nel Paese in modo definitivo (…) l’Iran resterà impegnato in relazioni di buon vicinato con l’Afghanistan”.
Armenia ed Azerbaijan verso una soluzione di pace?
Nel corso di un incontro a Mosca, Aliyev, presidente dell’Azerbaigian, aveva annunciato la possibilità di raggiungere un accordo di pace tra Baku e Yerevan, dal momento che l’Armenia ha riconosciuto il Karabakh come parte dell’Azerbaigian:
A Mosca e Chisinau si sono tenuti altri incontri tra i leader dei due paesi del Caucaso per cercare una soluzione di pace.
Arabia Saudita e Siria
Mosca ha contribuito a porre le premesse per ricucire i rapporti tra sauditi e siriani che rafforzano i loro legami. La Siria è stata riammessa nella Lega araba dopo l’espulsione nel 2011. “Lo hanno stabilito, a maggioranza, gli esponenti dell’organizzazione regionale che conta 22 stati membri, con un voto simbolicamente molto importante per l’intero mondo arabo“. Il ritorno dei profughi sarà finanziato da Emirati e Arabia Saudita con il beneplacito della Turchia. Siria e Arabia Saudita ristabiliscono così relazioni dirette. Una enorme novità dopo quel periodo di immensa discordia inter-araba in cui tanti stati regionali, tra cui l’Arabia Saudita, avevano sostenuto milizie armate con il fine di far cadere il governo guidato da Assad secondo i voleri statunitensi. A quest’esito ha contribuito anche l’Egitto con il piano del Cairo presentato dal suo ministro degli Esteri Sameh Shoukry. Finalmente è stato riconosciuto il fallimento di quelle strategie fondate sulle richieste di “cambio di regime” e guerra per procura.
Turchia ed Emirati Arabi
Nel rinnovato clima relazionale in corso di sviluppo in medioriente, dopo un conflittuale decennio tra le parti, oggi i due paesi lavorano, si direbbe inaspettatamente, per ricucire le relazioni e la collaborazione economica inaugurando una nuova fase delle relazioni bilaterali che hanno portato al raggiungimento di 10 accordi nel campo dell’energia, del commercio, della finanza, dell’ambiente e all’istituzione da parte degli Emirati Arabi Uniti di un fondo da 10 miliardi di dollari per investimenti in Turchia nei settori dell’energia, della salute e del cibo.
Siria ed Egitto
Perché il piano di pace egiziano possa avere completo successo nel normalizzare i rapporti tra Turchia e Arabia Saudita con la Siria, risulta fondamentale lo smantellamento di quei gruppi armati come l’”Esercito nazionale siriano” appoggiato dalla Turchia e l’integrazione di queste forze nell’Esercito arabo siriano.
Arabia Saudita e Turchia si impegnano, la prima, a porre fine al finanziamento dei gruppi armati legati ad Al-Qaeda, attivi nel ruolo di opposizione armata siriana mentre la seconda darebbe “garanzie di sicurezza a Idlib”, residua roccaforte delle milizie estremiste in Siria.
Questo processo di normalizzazione rimane tuttavia ancora ostacolato dal dispiegamento di truppe statunitensi nella Siria orientale e nel nord-est, ufficialmente contro l’ISIS, in aree controllate dalle forze democratiche siriane (SDF) a maggioranza curda, in realtà,
gli americani, tra l’altro, non rinunciano a continuare ad appropriarsi di più del 80% della produzione petrolifera siriana che dopo una triangolazione con l’Iraq raggiunge gli Stati Uniti.
Purtroppo non ci sono indicazioni che gli Stati Uniti intendano ritirarsi, almeno nel breve periodo, da queste aree. Il generale Mark Milley, presidente dei capi di stato maggiore congiunti degli Stati Uniti, nel corso di una recente visita nella Siria nord-orientale ha ribadito il ruolo delle forze statunitensi nel garantire la sconfitta dell’ISIS… Secondo Milley le forze americane stanno operando in quell’area per la sicurezza degli Stati Uniti.
La riconciliazione tra Arabia Saudita ed Iran ha ridefinito in larga misura l’ordine mediorientale ponendo termine all’isolamento arabo della Siria – che ha ripreso le relazioni diplomatiche con la Tunisia ed è stata riammessa nella Lega araba. Tale processo, insieme al contestuale riavvicinamento tra Turchia ed Egitto, ha frenato, come vedremo, il progetto di Stati Uniti e Israele, inscritti negli Accordi di Abramo, per la creazione di un fronte israelo-arabo contro l’Iran. Inoltre, per l’analista palestinese Mouin Rabbani: «Iran e Arabia saudita intendono coordinare le loro mosse all’Opec per non incrementare la produzione, come chiedono Usa e Europa, e tenere alto il costo del barile». Come è noto, l’Arabia Saudita ha iniziato a vendere le sue risorse energetiche a India e Cina accettando yuan piuttosto che dollari, accelerando così, anche per questa via l’importante processo di dedolarizzazione, in corso su scala globale.
La Cina tra Israele e Palestina
Israele si è così ritrovata in una configurazione geopolitica del tutto rinnovata in tempi piuttosto brevi. Si stanno forse creando le condizioni per una svolta storica rispetto al suo rapporto di predominio nell’area a danno di palestinesi ed iraniani. La Cina, ancora una volta, potrebbe mediare con successo i rapporti tra questi paesi laddove gli europei e gli statunitensi hanno sistematicamento fallito.
Lo scorso 13 giugno Mahmoud Abbas, il presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, è stato quattro giorni in visita in Cina per partecipare a colloqui vertenti verso una soluzione a due Stati quale strategia di risoluzione del conflitto infinito tra Israele e Palestina. Dopo aver mediato la distensione tra sciiti e sunniti, le due polarità religiose del Medio Oriente, la Cina si propone ora quale mediatore di pace tra Israele e Palestina. A dicembre, nel corso di un vertice tra Cina e Paesi arabi, ospitato in Arabia Saudita, Xi ha dichiarato di: “lavorare per una soluzione rapida, giusta e duratura della questione palestinese”.
Come è noto, l’amministrazione Trump riconobbe unilateralmente la sovranità di Tel Aviv sulle alture del Golan siriano occupate (vedi il mio Il Piano del Secolo) e Israele, il più grande avversario regionale dell’Iran, bombarda la Siria settimanalmente, quindi non sarà facile convincere Siria e Israele a colloqui di pace.
Oggi, però, il premier Netanyahu e il suo predecessore Yair Lapid si accusano a vicenda di non aver saputo approfittare degli Accordi di Abramo per spingere i sauditi a evitare di riconciliarsi con gli iraniani. Nel frattempo gli israeliani proseguono l’addestramento israelo americano finalizzato all’attacco delle centrali nucleari di Teheran e l’attuale governo israeliano di destra vorrebbe liquidare la causa palestinese nel peggiore dei modi. L’attacco israeliano, di inizio luglio, nel campo profughi di Jenin è un infernale operazione militare ai danni dei palestinesi che avviene nel più completo silenzio internazionale, il cui scopo “sarebbe quello di decapitare le fazioni armate che hanno nel campo la loro roccaforte. Il rastrellamento casa per casa, con l’obiettivo di individuare i leader dei gruppi di combattenti è proseguito per tutta la notte, come pure gli scontri tra soldati israeliani e miliziani palestinesi. Circa 500 famiglie sono state evacuate e in tutto 3mila civili, inclusi anziani e feriti, trasportati negli ospedali“.
Non rimane che sperare, anche in questo caso, nella mediazione cinese tra israeliani e palestinesi proposta dal ministro degli Esteri, Qin Gang, nel corso di colloqui telefonici con gli omologhi ministri israeliano e palestinese, rispettivamente Eli Cohen e Riad al Maliki. Qin ha chiesto ai suoi interlocutori di “dar prova di coraggio politico e riprendere i colloqui di pace” e si è impegnato a mediare tra i due Paesi.
La Cina sta lavorando all’organizzazione di un grande summit, promosso personalmente dal presidente Xi Jinping, a Pechino, con i monarchi arabi del Golfo e i funzionari iraniani. Di fatto la Cina si sostituisce nell’area mediorientale agli Stati Uniti che è stato l’artefice principale dei destini della regione. Non si tratta, perciò, solo di interessi economici in termini di idrocarburi e flussi commerciali ma della scrittura di un nuovo capitolo nella storia dell’area mediorientale, un nuovo approccio, in cui guerre e cambio regime siano finalmente sostituiti da autentica diplomazia e rispetto reciproco.
Secondo il Premio Pulitzer Seymour Hersh, famoso giornalista americano:
“La percentuale di Paesi, in particolare in Africa e in Asia, che sono passati dall’essere filo-americani a essere filo-russi è piuttosto netta. Significativamente più della metà della popolazione mondiale sostiene la Russia nella sua guerra”.
Il nascente mondo multipolare lascia sperare che si sia ormai al termine degli ultimi cinque secoli in cui le ambizioni egemoniche europee e americane hanno martoriato l’umanità lasciando intravedere l’alba di un nuovo mondo.
(1) I due paesi si erano ritrovati sull’orlo di un conflitto armato nel 2016 dopo l’esecuzione ordinata dai Saud di un importante religioso sciita saudita, Nimr al Nimr. Centinaia di iraniani presero d’assalto l’ambasciata saudita a Teheran. Riyadh replicò chiudendo la sede diplomatica e interrompendo i rapporti con l’Iran. Fu uno dei momenti più difficili tra due paesi che negli ultimi 20 anni si sono fatti la guerra per procura, attraverso i loro alleati in vari contesti di crisi come Yemen, Siria e Libano.
(2) https://www.bbc.com/news/world-asia-65787391
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