Crediti fiscali: la battaglia di retroguardia della Ragioneria Generale

Certificati di Credito Fiscale

di Marco Cattaneo

Giovedì 6 maggio la Ragioneria Generale dello Stato ha chiesto lo stralcio di un emendamento al DL Sostegni, presentato da M5S e Lega e sostenuto da tutte le principali forze politiche (anche di opposizione). Finalità, rendere cedibile il credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali, previsto dal Piano Transizione 4.0: il “superbonus per le aziende”.

Le reazioni sono state decisamente vivaci e il M5S in particolare si è espresso in termini molto combattivi, minacciando addirittura di non votare la fiducia al governo.

Non ci si arriverà: ma l’azione della RGS solleva perplessità enormi. Chi scrive ha molto a cuore il tema, avendo da anni (insieme a Biagio Bossone, Massimo Costa e Stefano Sylos Labini) animato il Gruppo della Moneta Fiscale, che propone soluzioni di rilancio dell’economia mediante, appunto, emissione di crediti utilizzabili in compensazione di impegni fiscali.

Le motivazioni addotte dalla RGS sono francamente astruse. Un credito fiscale a utilizzo differito genera impatti negativi sul deficit e sul debito pubblico futuri: questo, a parità di condizioni. In realtà, la sua erogazione ha nel frattempo effetti compensativi, immediati, di stimolo all’economia.

Ignorare questi effetti compensativi e predisporre coperture a fronte degli impatti futuri (come già previsto) è fortemente conservativo, ma ha quantomeno una sua coerenza.

Ma la RGS va ben oltre: argomenta che se i crediti fiscali sono liberamente cedibili (dal beneficiario originale ad altri soggetti) allora “potrebbero”, anche alla luce di future ed eventuali (!) modifiche dei regolamenti Eurostat, costituire debito già al momento dell’emissione.

Un’arrampicata sugli specchi. Con questa “logica” bisognerebbe affermare che un BTP (negoziabile sul mercato) è debito pubblico, ma un finanziamento che l’Italia dovesse mai contrarre con il Fondo Monetario Internazionale (non negoziabile) non lo è !

Sorge il dubbio che la RGS sia influenzata da spinte politiche. I crediti fiscali negoziabili sono un potentissimo strumento di rilancio dell’economia: prova ne è l’enorme interesse che stanno suscitando, a partire dal Superbonus 110%.

Piccolo “difetto” agli occhi dell’establishment filo-Bruxelles: sono una leva in mano agli Stati e contrastano quindi il trasferimento di potere verso la UE.

Una posizione inaccettabile. Le regole dell’eurosistema vanno cambiate, ormai è riconosciuto: perché hanno dimostrato la loro catastrofica inadeguatezza, e perché ci sono da recuperare i danni economici del Covid.

Ma il processo di revisione è farraginoso e dubbio nei risultati. Le discordanze tra Stati sono enormi. La UE nel frattempo ha approvato uno strumento (il NextGenerationEU) inadeguato nella dimensione, complicatissimo nell’attuazione, e comunque ancora non attivo (dopo un anno) a causa delle forti opposizioni all’interno di vari parlamenti nazionali.

Se gli interventi a livello centrale non decollano o sono carenti, gli Stati devono poter supplire. Altrimenti (già lo constatiamo) i tempi di recupero dell’economia dell’Eurozona saranno sempre più lenti rispetto ad America ed Asia. Altro che “forza in grado di competere con i grandi blocchi mondiali”: l’Eurozona si condanna all’irrilevanza.

Temi di enorme rilievo. L’azione della RGS va quindi fortissimamente contrastata a livello politico. Non sono astrusi tecnicismi. C’è di mezzo il futuro del nostro Paese e del continente.

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