Tu cosa ne pensi?

“Ma sul serio, prof?”

È parecchio preoccupato, Ga­briele. Lancia un paio di occhiate in giro, poi torna a fissarmi, sgo­mento: “Davvero, prof?” Davvero, cosa? “Davvero la domanda che vuol farmi è questa?”

Non ci credo, o forse sì: fin troppo. Gabriele, dopotutto, è lo studente tipo.

Ha imparato a destreggiarsi in una scuola che fa del sapere un obbligo, ma che lo dispensa in dosi omeo­patiche. La scuola dei “saperi mini­mi”. Tradotto: non un grammo in più di ciò che è lecito che tu sap­pia. Il buon Gabriele ha assorbito a meraviglia concetti come “studia­re è noioso”, “la storia è noiosa”, “legger libri è noioso”. E nel frat­tempo, tra un sms e un audio, ha buttato giù quintalate di nozioni a memoria, dimenticate esattamente un’ora dopo ogni verifica. Fa parte di quell’immensa schiera di studenti che valutano un libro dal suo spes­sore (“Quanto è lungo, prof?”). Che hanno capito che nella vita non si fa niente per niente (“Ma questo dobbiamo saperlo?”). Ha imparato che il mondo è dei furbi, Gabrie­le. Che aggirar l’ostacolo, premia. Gliel’hanno detto le decine di inse­gnanti-impiegati che, ogni mattina, si avvicendano in aula; ossessionati più dalle scadenze burocratiche che da chissà quale missione educativa: “Non mi importa se X ha tagliato la programmata. Avevo detto che oggi ne avrei interrogati quattro, e quattro ne voglio. Chi ci rimette, se la prenda con lui!”

Non mi stupisce, no. Gabriele, grazie ai suoi docenti, ha ormai ben chiaro come si vive. Perché la scuola serve a quello, no? Insegna a vivere. Gabriele lo ha imparato. Sa che con quella d’Italiano, per aver nove, basta prendersela con la destra. Che quello di Storia ti alza il voto se parli bene di Mussolini. Che la preside si fa una brutta idea di te se non fai Religione. Il resto cosa importa? Che cosa vuoi che importi? Tra un’occhiatina e l’al­tra al cellulare, Gabriele accumula punti, mica cultura. Gli basta dir quello che pensano loro e il gioco è fatto! L’unico problema, semmai, sta nel ricordarselo. Nel non con­fondersi e, che so: lodare i partigia­ni col professore fascista.

Per questo, adesso, Gabriele non crede alle sue orecchie. Perché, di­ciamolo. Proprio ora che è giunto alla fine. Ora che finalmente si chiu­de ‘sto periodaccio inutile. Proprio adesso che ha capito che nella vita meglio non pensare, limitandosi a dire quel che chi comanda vuol sentire, ecco che piomba qui ‘sto maledetto Commissario esterno di Storia, a rompergli le balle! E io, il rompiballe, gli ho chiesto questo, soltanto questo: Tu cosa ne pensi? Seduto qui, davanti alla Commis­sione d’esame, la stava menando con la Costituzione. E quando ha tirato fuori la storia della sovranità che appartiene al popolo, io ci ho provato. Tu, Gabriele, cosa ne pen­si? E deve proprio pensarne qual­cosa, Gabriele? Non basta che ci reciti la sua bella parte a memoria? Che sarà mai, accidenti, ‘sta novità del pensare?

Potrei stupirti, mio caro. Potrei sgangherare irrimediabilmente l’ipocrita equilibrio che regna in quest’aula. Potrei mettermi a pic­conare tutte le solite frasi fatte, i luoghi comuni.. La sacralità dei no­stri “Padri costituenti”, per esem­pio. Inclusi i collusi con la mafia come Andreotti? I golpisti mancati come Segni? La “Sovranità popola­re”, già. Quella che il futuro Presi­dente della Repubblica Einaudi, nel settembre ‘46, definiva nulla più che un mito? Che reputava un con­cetto effimero, efficace solo a im­bonir le masse? Quante discussioni finite nel dimenticatoio, durante i lavori della Costituente, per questa contrastatissima sovranità. I tenta­tivi del comunista La Rocca, le sue vane proteste… Perché sì, perché va detto, Gabriele. Perché proprio non aveva senso raccontare agli italiani che la sovranità appartiene a loro e, contemporaneamente ne­gar qualsiasi nesso tra la loro vo­lontà, espressa in sede elettorale, e la scelta di un premier. Potremmo anche parlare della strana gente che ci finì, in quella Costituente. Gen­te che della sovranità popolare, o anche solo nazionale, proprio non voleva saperne. Gente come quel Damiani, Movimento Unionista Italiano, che tifava per un Italia an­nessa agli Stati Uniti!

Sono temi importanti, questi, Ga­briele. Piuttosto attuali, anche. Tu che ne dici?

Ma tu sei qui, davanti a me. Coi tuoi scalpitanti diciannove anni, le tue sopracciglia curate e il tuo smartphone nuovo di pacca. Sei qui, con questa tua voglia matta di uscire in fretta e di mandarci tutti al diavolo. Sei qui a fissarmi in cagne­sco e a maledirmi di cuore. Soltanto perché ti ho chiesto: “Tu, cosa ne pensi”

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