Nel 1864 nasceva la prima banca popolare italiana, la Mutua Popolare Agricola di Lodi, la quale incarnava quei principi che oggi, visti i tempi attuali, potremmo solo definire utopistici, di banca solida e fortemente radicata nel territorio, con una spiccata missione sociale. Da dimensioni prettamente locali le banche popolari nel secondo dopo guerra iniziarono pian piano a conquistare nuovi territori ed uscire dal luogo che aveva loro dato il nome. Non si trattava di un fenomeno effimero ma di un sistema virtuoso, coordinato dall’Istituto centrale delle banche popolari, al quale veniva affidato un grande ruolo anche nella ricostruzione postbellica e nel boom economico. La partecipazione popolare veniva garantita attraverso la legge 105 del 1948 la quale manteneva il voto capitario (una testa un voto a prescindere dal numero di azioni) ed il limite al possesso delle azioni. Divenirne soci era questione anche di orgoglio oltre che di appartenenzaad un “motore sociale” che aveva permesso a tante odierne realtà economiche di divenire quello che ora sono. L’emblema è la storia del blasonato marchio Ferrari nato grazie ad un prestito concesso ad Enzo Ferrari dalla Banca Popolare di San Geminiano e San Prospero, dopo che innumerevoli finanziatori avevano declinato l’invito a contribuire a dare avvio alla geniale idea imprenditoriale. L’avvincente e gloriosa storia delle banche popolari continuava a manifestare tutta la sua grandezza anche dopo gli anni ’70 quando venivano esse stesse in diversi casi chiamate in soccorso a crisi di altri istituti bancari o comunque avviando quella rivoluzione ai servizi bancari che proietterà il sistema bancario nel futuro. Ecco però che gravi ritardi da parte dell’Italia nel recepire la necessaria riforma volta al rafforzamento del sistema bancario, sommato poi alla rincorsa sfrenata a rendere vigenti normative europee già da anni in essere, porta al colasso di una parte del sistema. Come in una partita di bowling nel 2015 con l’Investment Compact il Governo Renzi lanciava la palla destinata ad abbattere i birilli più esposti. Così banche popolari divenute riferimento imprescindibile per dimensioni ed attività anche di ricchi territori dell’economia italiana giungevano alla loro fine. La necessità di trasformarsi in spa e di raggiungere in breve tempo livelli di capitalizzazione molto elevati hanno poi fatto sì che venisse sollevato il coperchio su altri aspetti ben meno edificanti del sistema delle popolari. Vigilanze funzionalmente e strutturalmente incapaci di prevenire condotte distorte del mercato, gestioni bancarie sciagurate e bramose di conquistare l’Italia, astuti ma inadeguati padri padroni alla guida per decenni di istituti bancari sono le cause che hanno determinato la disgrazia di centinaia di migliaia di famiglie e imprese. Il campo di battaglia segna ben 15 miliardi di risparmi vanificati solo dalle gravi crisi delle quattro banche del centro Italia e dalle due banche venete, alle quali si devono aggiungere gli ulteriori dissesti. Un vulnus profondissimo di fiducia e di crisi dei valori si è creato sulla scia dei dissesti di queste realtà. I principi della partecipazione sociale e del legame al territorio nelle menti delle persone si sono tradotte nella più grande e becera illusione. Ed ecco che questa sfiducia apre la strada ad un nuovo modello di banca, che imporrà una grande riforma del sistema. Già si assiste a realtà che sfruttano le potenzialità del web annullando la presenza degli sportelli tradizionali nei territori per le operazioni più elementari. Agli asettici algoritmi volti ad attribuire un profilo, meglio definito rating di affidabilità, ai clienti, si sommerà o addirittura si sostituirà la valutazione più concreta delle potenzialità e della serietà del progetto proposto alla base della richiesta di credito, verrà costruito attraverso la consulenza un abito ad hoc per la gestione dei patrimoni, affinando gli strumenti di consulenza. Presupposti imprescindibili saranno la separazione tra la banca commerciale e la banca d’affari nonché l’accrescimento delle competenze nonché una vigilanza efficace ed ad un fondo di garanzia alimentato dal sistema bancario, strutturale, capiente e che possa indennizzare i risparmiatori dalle perdite conseguenti a gravi responsabilità degli operatori del mercato. I primi passi in questa direzione ci sono ma il legislatore è ancora troppo in ritardo rispetto alla realtà che ha sete di fiducia.
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