Tutto quello che sapete su Libra, Bitcoin e Blockchain è falso

Intervista non conforme a Giacomo Zucco, fisico teorico e guru mondiale della ricerca sulla Blockchain. Indagando il confine tra marketing e rivoluzione. Con un consiglio ai più giovani: imparate a scrivere software. Perché farsi pagare anche senza avere un conto in banca è possibile.

Ci sono persone con cui chiacchieri in maniera piacevole, ci sono persone che ti annoiano. E poi c’è Giacomo Zucco, uno che quando hai finito di parlarci ti senti come in hangover.

Fisico teorico, consulente, formatore, amorevole padre di famiglia, anarco-capitalista, guru mondiale della ricerca sulla Blockchain e i Bitcoin e primo influencer italiano sul tema (e per la precisione tra i primi venti al mondo).

Con Giacomo son abituato a parlare di politica, di viaggi nel tempo, wormhole e altre cose un po’ nerd. Per capire le sue posizioni in materia di tecnologia finanziaria mi ci vorrebbe un mediatore culturale. Ma Jack è un bravo ragazzo e nei suoi 23 audio su Telegram si sforza a venirmi incontro nel lessico, così io non ho bisogno di fare la parafrasi.

Giacomo, tutti parlano di Libra, la criptovaluta di Facebook. Cosa ne pensi tu, che da Facebook sei stato bannato almeno 30 volte?
Giacomo ride. Conosce bene le regole dei social, ma ogni tanto non ce la fa proprio a non infrangerle. 
«Esagerato, saranno al massimo 20! Si trattava comunque sempre di modi politicamente un po’ scorretti di dire semplici cose di buon senso. Tornando alla tua domanda: innanzitutto credo che dovremmo definire meglio cos’è una “criptovaluta”. In effetti è possibile definire Libra in questo modo, a patto di ridefinire il termine in maniera talmente allargata da comprendere praticamente qualunque cosa».

«Tradizionalmente vengono chiamate criptovalute – come Bitcoin – strumenti monetari creati usando la crittografia in modo tale da eliminare ogni singolo punto di fallimento, ogni terza parte fidata, risultando così totalmente incontrollabili, indipendenti, aperti, decentralizzati, impossibili da manipolare e resistenti agli attacchi esterni, persino da quelli di regolatori e governi. Libra non è nulla di tutto questo: si tratta di un progetto per creare un sistema controllabile, regolamentabile, censurabile. Che usa, certo, la crittografia, ma così come la usano anche PayPal, Visa, o persino il consorzio Swift. Se vogliamo estendere il termine “criptovaluta” per includere anche cose come Libra a me va anche bene, a patto di ammettere che gli Euro su PayPal e sul nostro conto di e-banking sono “criptovalute”».

Quindi vuoi dirci che Libra è “sistema”?
«Si, o quantomeno è disegnata per sottostare completamente alle regole del “sistema”. Innanzitutto, Libra è ancora solo un progetto, che non sappiamo nemmeno se sarà realizzato. Il progetto di un asset digitale che ricalca le valute nazionali controllate dalle banche centrali, e di un sistema di pagamento online che ricalca la burocrazia finanziaria tradizionale, il tutto controllato e perfettamente gestito da un consorzio di entità legali riconosciute, regolate e riunite in un’associazione costituita in Svizzera e dominata dagli interessi commerciali di un colosso dei social media».

Conosco Giacomo da dieci anni e ho sempre pensato che non vorrei mai essere il suo avversario in un dibattito, su qualsiasi tema: chiunque ne uscirebbe piuttosto malconcio. Ricordo quella volta che fece balbettare l’allora presidente del Consiglio Mario Monti in diretta TV. Mi metto comodo, mi verso una Bud ghiacciata e continuo ad ascoltare i suoi audio su Telegram. 

«Il fatto che ci troviamo di fronte a un consorzio, e non a una singola azienda, non cambia molto le cose in fatto di decentralizzazione. Citavamo prima Swift, come esempio. Anche quello è un consorzio. Queste entità potranno ridefinire le regole e il funzionamento del sistema a proprio piacimento, o a richiesta del regolatore politico di turno».

Quindi tutta questa propaganda per annunciare l’arrivo di Libra che sarebbe solo una nuova e più evoluta versione di Paypal?
«Sì, direi di si, in un certo senso. Questo modo di vedere la questione risulta tanto più ironico se si ricorda che cosa voleva essere PayPal all’inizio. Ai tempi della sua fondazione, nel 1999, si chiamava X.com: un progetto lanciato da Elon Musk e Peter Thiel, che non ambiva a essere una semplice banca digitale per l’e-commerce. Mirava invece ad essere una vera e propria moneta per Internet, separata dai dollari americani».

Quindi anche persone geniali come Musk e Thiel nascono incendiari e muoiono democristiani, come tutti noi. Mi cullo per un attimo in questo pensiero, trovandolo piuttosto rassicurante. 

Jack mi riporta alla realtà: «Beh David, quantomeno ci hanno provato, ad essere incendiari. L’idea originaria era che il “cittadino di Internet”, fintanto che navigava in quello che ai tempi chiamavamo “il cyberspazio”, non era più soggetto alle regole della nazione in cui si trovavano fisicamente, ma a quelle, native, di Internet. E questo doveva valere anche per una valuta: nel mondo off-line ognuno avrebbe continuato a usare monete gestite da banche centrali e trasferibili secondo strette normative di tracciabilità bancaria, ma nel mondo on-line ci sarebbe stata indipendenza assoluta da politiche monetarie, tassi di cambio, frontiere, obblighi burocratici. Un semplice indirizzo e-mail avrebbe sostituito l’identità di tipo bancario, il cosiddetto “know your customer”, le pesanti norme anti-riciclaggio e tutta la trafila burocratica che rappresenta il principale limite che genera esclusione finanziaria, il principale motivo per cui la gran parte delle persone su questo pianeta è oggi esclusa dalle transazioni online. In questo senso sarebbe stata una cosa estremamente ambiziosa e rivoluzionaria, ma poi sappiamo com’è finita la storia e cosa è diventato PayPal». 

«Peter Thiel definisce tuttora quell’avventura un fallimento, se paragonato a Bitcoin, che sta in effetti realizzando quel sogno, grazie alla sua natura decentralizzata. Un altro esempio importante da ricordare, in questo senso, è E-gold, società creata da un avvocato e da un oncologo nel 1996, che al suo picco, nel 2006, processava l’equivalente in oro digitale di oltre due miliardi di dollari l’anno, servendo oltre quattro milioni di account. L’azienda venne chiusa e i suoi ideatori finirono in manette, secondo logiche giuridiche quantomeno dubbie. Ma questo è quello che può capitare se sfidi la Federal Reserve e il board di Libra, che peraltro comprende persone di PayPal, lo sa molto bene. Per questo credo che in questo caso la retorica sia usata semplicemente in chiave commerciale».

Che intendi, con “chiave commerciale”?
«Prova a immaginare: ai giornali arriva un’agenzia stampa che dice che Facebook, in accordo con alcuni big del settore dei pagamenti, proverà a fare concorrenza a PayPal. Anzi, per rendere il paragone ancora più calzante, e per aumentare la notiziabilità dell’annuncio, diciamo che farà concorrenza alla cinese AliPay. Certo, si tratta di una notizia rilevante per gli operatori di settore. Qualcosa che chi lavora in ambito e-commerce discuterà per giorni. Ma l’interesse si ferma lì. Ora invece immagina la stessa agenzia stampa che dice: “Facebook crea la sua criptovaluta”. La mente dei lettori, e dei giornalisti, corre subito a Bitcoin. A incredibili fluttuazioni di valore, ad arricchimenti sfrenati, a speculazione e volatilità. A tecnologie mirabolanti che sfidano la regolamentazione attuale, rompono posizioni di rendita e di monopolio, fanno disruption di interi settori. Tutti ne parlano per settimane, compresi noi ora. Addirittura il Congresso degli Stati Uniti convoca un’audizione a riguardo. Si esprimono sull’argomento i governi di Francia e Germania…»

Giacomo ha ragione, la notiziabilità, nel secondo caso, è sicuramente più ghiotta. Ho il sospetto che Libra non solo farà la stessa fine di PayPal, ma che addirittura quelli di Facebook lo sappiano già, non si aspettino nulla di diverso e ci marcino sopra per pura visibilità. È una ipotesi interessante. Ma davvero possiamo paragonare le due cose? 

Non credi che Facebook, oggi, sia infinitamente più potente di PayPal o di E-Gold agli inizi del millennio? Quelle erano piccole startup, questo è un colosso globale con in mano le informazioni di tutti.
«Indubbiamente Facebook è più forte di quelle piccole realtà di 20 anni fa, ma a fronte di una sua maggiore potenza, anche la prepotenza di chi vuole fermare questo tipo di dinamiche è proporzionalmente più forte, basti pensare che a fine anni ’90 nessun politico pensava di dichiarare guerra al contante, di imporre trasferimenti automatici di informazioni finanziarie persino ai cosiddetti “paradisi fiscali”. Era impensabile, in quegli anni, che le banche rifiutassero di farci prelevare i nostri soldi senza una “motivazione”, o che ogni bonifico richiedesse delle trafile burocratiche. Le banche centrali non avevano l’urgenza di difendere politiche monetarie di espansione e tassi di interesse negativi. Non esisteva ancora il “Patriot Act” e le altre scuse per cancellare ogni traccia di privacy finanziaria. Insomma, il mondo nel 1999 era molto diverso da quello attuale». 

Meno ansiogeno?
«Sì, e molto meno pressante. A chi volesse creare un E-gold oggi, credo capiterebbe anche di peggio».

Qualche anno fa Giacomo si stupiva ancora di tante cose, adesso ci siamo invertiti i ruoli. Le rare volte che mi entusiasmo lui mi riporta alla realtà: anche questa iniziativa comunicata come “rivoluzionaria” potrebbe essere tanto fumo e niente arrosto. Già il governo Francese ha emesso un comunicato che intima a Libra di seguire nel dettaglio le pesanti normative EU sul fronte riciclaggio. Addirittura un esponente di Mastercard, dentro al consorzio, ha dichiarato che se ci fosse un push back troppo forte da parte dei regolatori, Libra non sarebbe lanciata. Stiamo dunque parlando di ipotesi.

«Sei tu quello che scrivi di marketing, no? Questa è probabile che sia una gigantesca campagna di marketing, per segnare semplicemente l’ingresso di Facebook nel mondo dei pagamenti on-line o per far parlare semplicemente di Facebook».

Tu dici “semplicemente”. Ma forse dimentichi che Facebook detiene le informazioni di tutti. Questo non potrebbe metterlo in una posizione di vantaggio già in partenza, rispetto ai concorrenti?
«Certo. Il fatto che il potere di Facebook non sia nemmeno lontanamente sufficiente per permettergli anche solo di immaginare di sfidare gli stati nazionali, di sicuro però potrebbe essere un elemento determinante per la concorrenza verso PayPal, ApplePay, CashApp, Google Pay o persino verso l’italiana Satispay. Per questo ho citato AliPay e WeChat come concorrenti diretti: sistemi di pagamento digitale che fanno leva su enormi asset preesistenti di utenti e di informazioni. Ma la storia ci insegna anche che a volte questi asset non sono sufficienti. Pensiamo a Google Plus, ad esempio».

«Google aveva, come asset, praticamente le home page di tutti gli utenti della rete. E aveva anche il vantaggio di poter dare una “spintarella” ai contenuti di G+ sul motore di ricerca più usato di tutti. Sulla carta, questo poteva permetterle di aggredire Facebook con forza, eppure è stato un enorme fiasco. Non sempre la potenza in un settore si traduce in efficacia in un altro. Di certo c’è da dire una cosa: le informazioni sul conto degli utenti rappresentano un possibile aiuto nell’ottemperanza delle richieste di “know your customer”: quando i regolatori chiedono ai sistemi di pagamento di fare agli utenti il terzo grado, quelli devono obbedire. E la cosa ha dei costi notevoli, sia in termini di veri e propri esborsi che di cattiva esperienza utente. Facebook, davanti alla richiesta di collezionare informazioni sensibili e personali sugli utenti di Libra, potrebbe paradossalmente trovarsi nella vantaggiosa posizione di possederle già».

Ma almeno, da un punto di vista strettamente tecnologico, Libra introdurrebbe qualche innovazione?
«No, non direi. Il cosiddetto “white paper” (un termine preso in prestito da Bitcoin, che un decennio fa avrebbe significato pubblicazione scientifica, mentre oggi vuol dire più o meno “comunicato stampa a scopo di marketing”) mette insieme in maniera confusa termini tecnici adottati e copiati dal mondo Bitcoin. Nulla di innovativo. Anche se Bitcoin non viene mai citato, chiaramente quella terminologia ha come scopo di suscitare nella mente dei lettori una qualche associazione emotiva: forti guadagni, volatilità, trading, speculazione ma anche novità, innovazione tecnologica, libertà, indipendenza e una certa “aura anti-sistema”».

Insomma vuoi dirci che è solo cripto-marketing? Il progetto eredita, da quel mondo, solo buzzword e retorica?
«Beh, a volerla dire tutta, eredita anche qualche spunto legale. Ma non da Bitcoin, delle varie monete-clone che sono venute dopo. Bisogna capire che Bitcoin, essendo effettivamente un protocollo decentralizzato e aperto che si è lentamente diffuso in modo organico come standard di fatto, sulla base della sua eccellenza tecnica, non aveva bisogno di entità legali, fondazioni, sollecitazioni di investimenti, sforzi di marketing. Invece le varie “alt-coin” e i vari “token”, arrivati di seguito, erano per lo più progetti fortemente centralizzati, che necessitavano quindi di un pesante sforzo di marketing per affermarsi, di importanti raccolte di capitali per ripagare quello sforzo, e di una certa creatività per proteggere i promotori dalle conseguenze legali». 

«Ethereum, ad esempio, è stato il primo clone semi-centralizzato di Bitcoin a dettare “la linea” a centinaia e centinaia di cosiddette “ICO”, ovvero “Initial Coin Offering”, che sono venute dopo. Una intricata struttura sociale che ha alla base una società for-profit che gioca a rimpiattino con una Fondazione non-profit incorporata in Svizzera. Funziona così: la parte for profit dà donazioni alla parte no profit e la seconda finge di creare un sistema aperto a tutti che però non fa che seguire interessi commerciali. In un certo senso Facebook ha in parte riconosciuto un suo “tributo” a questa bizzarra tradizione. Ma i consorzi di grandi player del mondo finanziario che prendono spunto dalla retorica “blockchain” non sono una novità recente, basti pensare ad R3 o Hyperledger. Tutti tentativi di capitalizzare una narrativa, che possiamo ormai definire come abortiti dal mercato, o quasi».

Ma il codice, almeno, se non sbaglio, è open source, giusto? Chiunque lo può modificare a piacimento. Questa perlomeno è una importante novità, nel campo dei giganti del settore dei pagamenti.
«Sì e no. Siamo sempre al marketing, in fondo. Lo scopo del progetto è antitetico rispetto all’etica open source vera e propria. Libra ha rilasciato il codice su GitHub, è vero, ma la reazione della comunità di sviluppo open è stata principalmente di scherno. La “pull request” (così si chiamano le proposte di modifica del codice in quell’ambiente) che ha ricevuto reazioni più entusiastiche dagli “smanettoni” su GitHub era una presa in giro: uno sviluppatore segnalava una “importante criticità di sicurezza”, spiegando che il motivo di tale vulnerabilità era la presenza di entità centralizzate che potevano controllare il sistema a piacimento (cosa che rappresenta ovviamente il fulcro stesso del progetto) e proponeva come “fix” a livello di codice… la sostituzione completa di tutto il software Libra con quello di Bitcoin! Ovviamente Libra ha chiuso immediatamente la proposta e impedito di commentarla, ma solo nelle prime ore aveva già raccolto migliaia di interazioni positive».

Va bene. Allora, tu dici, i governi non hanno permesso a PayPal di diventare una moneta indipendente di Internet, non lo hanno permesso a E-gold, e non lo permetteranno ora nemmeno a Libra. Ma perché dovrebbero, allora, permetterlo a Bitcoin? Oppure anche Bitcoin alla fine dovrà introdurre moduli da compilare in stile bancario e assoggettarsi alle politiche di BCE e Fed?
«La faccenda in questo caso è totalmente differente. Bitcoin è progettato per essere indipendente dalle decisioni dei governi, anche se venisse vietato non lo si potrebbe fermare. Bitcoin nasce, a livello tecnico e di design, come “government-resistant”. Non è regolamentabile. Punto. Ovviamente paga queste caratteristiche con molte scelte che, rispetto alle alternative centralizzate, sono molto più inefficienti, scomode, lente e costose».

Finalmente abbiamo smesso di parlare di marketing. Queste tesi complottistiche mi piacciono di più, mi sembra di essere Fox Mulder che chiede spiegazioni al trio di hacker di X-Files, quelli che riuscivano a penetrare in qualsiasi sistema. Ve li ricordate? Azzardo la domanda la domanda che tutti aspettavate…

Non potrebbe essere che i governi mondiali, in realtà, siano d’accordo su questa operazione Libra, e siano ansiosi di concedere a Facebook quel che non avevano concesso a PayPal, in cambio di poter spiare ancora più efficacemente gli utenti?
«Mi sembra una teoria molto azzardata: i governi butterebbero via, dal loro punto di vista, il bambino della sovranità assoluta delle loro politiche monetarie con l’acqua sporca della privacy finanziaria. Ovvero: per ottenere da Facebook un aiuto nel “ficcanasare” ulteriormente nelle nostre transazioni finanziarie, gli permetterebbero anche di fare concorrenza a Dollaro, Euro, etc. Mi sembra assurdo. Inoltre non mi pare proprio che i governi, oggi come oggi, abbiano bisogno di altri “spioni” a dare loro manforte: siamo nel momento della storia con minore privacy finanziaria in assoluto Giacomo, immagina che qualcuno sia arrivato fin qui a leggerci. Immagina che abbia capito qualcosa. Immagina anche che voglia anche approfondire ulteriormente questi temi
«Dici che siamo nel campo della fantascienza?»

Beh credo che non sia proprio come parlare delle nuove pubblicità su Pinterest. Presuppone uno spessore intellettuale mica facile da trovare.
Insomma: cosa consigli a un giovane che volesse avvicinarsi a questo mondo?
«La cosa più difficile da fare, ma anche la più importante, è provare a filtrare le informazioni dal rumore e dalle fake news. Quasi tutto quello che circonda le parole “cryptocurrency” o “blockchain” è in realtà solo rumore. Il segnale c’è, ma è difficile da trovare, mettere insieme, distinguere. Imparare a sviluppare è poi fondamentale. Chi non sa leggere e scrivere software non può fare vera review indipendente su questi temi, si deve necessariamente fidare di qualcun altro. Assomiglia un po’ alla situazione che avevamo con la scrittura prima dell’alfabetizzazione di massa. Con la differenza che ora, con Internet, chiunque può imparare a sviluppare senza scuole, libri costosi e università (che peraltro, su questi temi, sono del tutto inutili). E poi con Bitcoin chiunque può farsi pagare per del lavoro di sviluppo. Sì, anche chi non ha un conto in banca». 

Ma quest’ultima cosa posso scriverla?
«Forse no. Anzi, Sì scrivila».

Altro che Libra, insomma.
«Lasciali giocare: non faranno la rivoluzione, non cambieranno nulla, forse questo progetto non andrà nemmeno in porto. Ora che ci penso, che ne stiamo parlando a fare?».

Illustrazione in copertina e animazione di @aurora_designer

di David Mazzarelli – Tratta da ninjamarketing.it

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1 Commento

  1. Ho trovato l’articolo interessante, non capisco peró come mai tutta quest’aura di rivoluzione che Giacomo Zucco fa trasudare dalle sue parole riguardo a Bitcoin.

    Bitcoin non sembra una moneta utile per gli scambi, dato che una moneta di questo tipo:
    1. Deve essere stabile
    2. Deve circolare velocemente negli scambi

    Il punto 1 ovviamente non é rispettato dato che Bitcoin é altamente volatile. Il punto 2 non é neanche rispettato dato che soltanto una piccolissima parte di Bitcoin é usata come mezzo di pagamento, mentre la maggior parte dei Bitcoin sono usati come riserva di valore (dicasi speculazione).
    (Si vedano le definizioni di funzioni della moneta in wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Moneta e della velocitá di circolazione della moneta: https://it.wikipedia.org/wiki/Velocit%C3%A0_di_circolazione_della_moneta )

    Molto piú interessanti da analizzare sono le monete di mutuo credito, come https://sardex.net/ , https://www.retedimutuocredito.it/ e https://waba.network/ (quest’ultima usa le tecnologie delle comuni criptomonete). Ma nessuno ne parla perché tendono ad essere anti-sistema ed anti-speculazione.

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