La razzia delle parole

Ecologia dell'anima

Laguna di Caorle
di Anna Rita Rossi
I ginnasiali nel 1976 conoscevano 1600 parole; nel 1996 solo 600 e oggi 200
La perdita del linguaggio è una perdita del pensiero
Attraverso le parole è infatti possibile capire più a fondo la realtà che ci circonda in quanto sono l’architrave delle relazioni sociali che abbiamo e delle interazioni di cui necessitiamo per crescere.
Le parole esatte dànno forma al pensiero, trasmettono significati e aiutano a cooperare; grazie al loro enorme potere etico mettono in risalto i comportamenti umani e non sono mai neutre o inermi, piuttosto generano il dialogo e incentivano il confronto fra persone in un divenire continuo.
Di contro, l’impoverimento lessicale, qualitativo, ma anche quantitativo, significa meno opportunità di imbastire ragionamenti adeguati e, soprattutto , meno predisposizione ad un pensiero critico adeguato ai diversi contesti comunicativi.
…lo notava Christophe Clavé in un fortunato articolo del 2019 di cui posto uno stralcio:
“Molti studi dimostrano infatti la diminuzione della conoscenza lessicale e l’impoverimento della lingua. Non si tratta solo della riduzione del vocabolario utilizzato, ma anche delle sottigliezze linguistiche che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso.
La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento, incapace di proiezioni nel tempo.
La semplificazione dei tutorial, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono esempi di colpi mortali alla precisione e alla varietà dell’espressione.
Solo un esempio: eliminare la parola “signorina”, ormai desueta, non vuol dire solo rinunciare all’estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l’idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie.
Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero.
Molti studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole. Senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile. Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare.
La storia è ricca di esempi e molti libri – da Georges Orwell con 1984 a Ray Bradbury in Fahrenheit 451 – hanno raccontato come tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole.
Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c’è pensiero senza parole.
Come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale?
Come si può prendere in considerazione il futuro senza una coniugazione al futuro?
Come è possibile catturare una temporalità, una successione di elementi nel tempo, siano essi passati o futuri, e la loro durata relativa, senza una lingua che distingue tra ciò che avrebbe potuto essere, ciò che è stato, ciò che è, ciò che potrebbe essere, e ciò che sarà dopo che ciò che sarebbe potuto accadere, è realmente accaduto?
Voglio rivolgermi ai genitori e agli insegnanti: facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti. Insegnare e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. Anche se sembra complicata. Soprattutto se è complicata. Perché in questo sforzo c’è la libertà.
Coloro che affermano la necessità di semplificare l’ortografia, scontare la lingua dei suoi “difetti”, abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana.
Non c’è libertà senza necessità.
Non c’è bellezza senza il pensiero della bellezza.”
Durante i vari lockdown dominati dalla didattica a distanza (ora DDI, didattica digitale integrata), la potenza della parola si è affievolita e il linguaggio ha perso in molte circostanze la sua indispensabile centralità, soprattutto se riferita alla relazione educativa nel rapporto sinergico tra docente e discente.
La parola – come rammenta V. Venuti – è un enorme contenitore che ingloba tanto la cultura quanto le emozioni, è parte integrante del processo di crescita del bambino (poi adolescente e infine adulto) e non può prescindere dalla relazione; la consapevolezza linguistica d’altronde favorisce la formazione cognitiva, incentiva la flessibilità mentale nonché la capacità di analisi e d’astrazione, ma, soprattutto, facilita la formazione socio-affettiva, che si concretizza nella capacità di rapportarsi agli altri.
Ne consegue che i contatti o le interazioni giocano attraverso le emozioni un ruolo fondamentale nella didattica e incentivano l’apprendimento significativo, ossia quello che trasforma le conoscenze in competenze, integrando nuove informazioni a quelle che già si posseggono.
Il linguaggio si fa precettore: istruisce, educa e contribuisce a creare una coscienza critica e pensante, che aiuta a prendere consapevolezza di sé e degli altri.
Ah! dimenticavo lo scrivere delle parole.
Imparare a scrivere “corsivo” è imparare piano, piano ad esistere.
Nella scrittura disegniamo noi stessi, diamo forma alle nostre caratteristiche personali più profonde.
La scrittura non solo racconta, ma ci racconta, ci rappresenta come siamo e chi siamo ben oltre la nostra volontà.
Lo studio dei caratteri psicologici, volutivi e inconsci della scrittura da parte del grafologo si caratterizza nella lettura e misurazione di ben oltre 200 segni.
Ad esempio, si valuta se la scrittura è modello, anti modello, piccola, grande, rigida, fluida, retta, inclinata, a sinistra a destra, gli spazzi, la distanza tra le righe, la distanza tra le lettere, la lunghezza di queste, la forma delle lettere e tant’altro.
Alla fine, ogni singolo dato viene elaborato, e ne esce un referto che non è un giudizio ma una valutazione di quanto siamo drammaticamente complessi ma, meravigliosi.
CHE VUOL DIRE SCRIVERE SOLO IN STAMPATELLO?
Scrivere in stampatello è come indossare una divisa. Con lo stampatello siamo un po’ tutti uguali, un po’ tutti dei soldatini.
Rompere il legame dello scrivere anche in corsivo impedendo ai bambini di conoscerlo e svilupparlo significa ostacolare la differenziazione delle personalità, l’individuazione.
Significa amputare possibilità creative specifiche…
Mi viene da sorridere pensando alla Finlandia che ha bandito da tempo il corsivo e all’occidente in generale che è in corsa nel farlo (basta vedere i nostri alunni/studenti) nonostante le controindicazioni evolutive …
chi glielo dice ai cinesi o ai giapponesi con il loro sistema ideografico o agli arabi con la loro meticolosità scritturale che abbiamo smesso di esportare il “genio”?
A tal proposito voglio scomodare il punto di svolta in Freud: la pulsione di morte che si apre al problema della distruttività insita nell’individuo (non psichicamente rappresentabile) e che si lega alla pulsione di vita che la modera e la contiene.
Il suo scopo distruttivo si manifesta quando le due pulsioni si slegano, come ad esempio nelle perversioni.
Una volta stabilito che il primato della scrittura corsiva viene consegnato a una parte di umanità e negata a un’altra e si persiste nell’errore siamo davanti alla “coazione a ripetere” ossia a quel fenomeno per il quale l’individuo continua a ripetere un’azione dalle conseguenze spiacevoli e negative.
Chi si cela dietro talune “riforme” è un vero devastatore che nascosto fra le semplificazioni falcia il futuro di molti innocenti.
fonti:
art. Daniele Scarampi – Istituto Treccani 2020
art. Christophe Clavé “Baisse du QI, appauvrissement du language et ruine de la pensée” 2019
L. Vygotsky, Pensiero e linguaggio, Laterza, 1990
Renzo Zambello “Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista” ed Kimerik
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