Il 21 dicembre 2019 ad Abidjan,la principale città della Costa d’Avorio, il presidente francese Emmanuel Macron et il presidente ivoriano AlassaneDramaneOuattara hanno annunciato in conferenza stampa comune la fine del Franco CFA, con la creazione del nuovo ECO, la valuta che lo dovrebbe sostituire.
Il Franco CFA è la ex
moneta “Franco delle
Colonie Francesi d’Africa” istituito nel 1945 da un decreto
del presidente francese Charles De Gaulle.
Nel 1958 la moneta fu ridenominata “Franco
della Comunità Francese d’Africa“.
In seguito al trattato di Dakar (Senegal) del 1994, la maggior parte delle ex
colonie francesi in Africa Occidentale si sono riunite nella UEMOA (Unione
Economica Monetaria dell’Ovest Africano) ed hanno adottato come moneta unica e
comune il franco CFA dell’Africa Occidentale.
Sempre nel 1994 fu siglato a N’Djamena il trattato per l’istituzione della
CEMAC (Comunità Economica Monetaria dell’Africa Centrale), fra le nazioni che
hanno adottato come moneta unica e comune il franco CFA dell’Africa Centrale.
La Francia ha sempre
continuato a svolgere il suo ruolo coloniale, facendo da garante per
l’emissione di queste valute e dettandone le regole a suo esclusivo vantaggio.
Ad esempio le attuali regole del Franco CFA prevedono un tasso di cambio fisso
con la valuta francese, prima il franco e oggi l’euro.
Questo vincolo impedisce agli stati africani di svalutare la propria moneta
rispetto all’euro, rendendo più costose le importazioni dall’Europa, cosa che
favorirebbe lo sviluppo della produzione locale o l’importazione di merci da
altre nazioni africane vicine. Il tasso di cambio fisso, quindi, facilita
l’esportazione di merci “europee” nei paesi africani.
Questa regola risulta essere particolarmente “efficace” per gli
interessi della Francia se combinata all’altra regola per cui i governi delle
nazioni africane devono prioritariamente acquistare beni e servizi da aziende
francesi, anche se fossero più costosi rispetto ad altri fornitori Possono
rivolgersi ad altri fornitori solo se nessuna impresa francese è interessata ad
esportare nel loro paese.
Allo stesso tempo le imprese francesi devono essere il destinatario prioritario
delle esportazioni (di materie prime, soprattutto) da questi paesi africani, i
quali possono esportare merci verso altri paesi solo se nessuna azienda
francese è interessata a quelle merci, anche se le volesse pagare meno di
quanti gli africani potrebbero ricavare vendendole ad altri soggetti “non
francesi”.
Un’altra regola “pesante” è che le emissioni di franchi CFA sono
fatte sulla base di “garanzie” fornite dalla Banque
de France, la quale decide sostanzialmente quanti franchi CFA
emettere al fine di garantire la “stabilità” dei franchi CFA rispetto all’euro,
cosa che è utile alle imprese francesi, ma che impedisce l’adozione di
qualsiasi politica monetaria di sviluppo dei paesi africani.
Questo obiettivo viene raggiunto limitando le nuove emissioni di franchi CFA e
limitando i finanziamenti per lo sviluppo dei vari paesi, in modo da mantenere
alto il tasso di disoccupazione e da mantenere basso il tasso di inflazione.
Un’altra regola è che il
50% delle riserve valutarie estere (dollari, yuan, yen, ecc.), incassate
tramite le esportazioni di merci dai paesi africani al di fuori della loro
comunità economica, vengono detenute dalla Banque
de France.
E la Banque de France detiene di
diritto un posto nel consiglio di amministrazione delle due organizzazioni
monetarie che utilizzano il franco CFA.
Ci siamo già occupati della questione in altri articoli.
Il tutto supportato da una
strategica presenza di militari francesi nei paesi che meno intendono adeguarsi
al sistema di potere.
I risultati di decenni di
applicazione di queste politiche monetarie (e non solo monetarie) sono stati i
bassi investimenti in infrastrutture, fra le quali le reti stradali e
ferroviarie. Gli investimenti sono stati limitati allo sviluppo delle attività
di estrazione di materie prime ed alle attività di produzione agricola
estensiva. I rapporti commerciali sono rimasti pressoché gli stessi dei tempi
di quanto queste nazioni africane erano colonie francesi a tutti gli effetti:
esportazioni di materie prime e di beni agricoli verso la Francia e
investimenti dalla Francia per potenziare tali attività. Nessuno sviluppo di
commerci fra nazioni africane, anche se contigue.
Le conseguenze sono state che quest’area geografica è fra le più povere del
mondo, nonostante la disponibilità di molte risorse naturali.
Negli ultimi anni sono
aumentate le critiche alla “moneta coloniale”, sia da parte di numerosi economisti africani,
sia da parte di esponenti politici europei.
E’ probabilmente questa la sola ed unica ragione per cui Macron ha deciso,
unilateralmente come al solito, l’operazione di maquillage del Franco CFA dell’Africa Occidentale.
La
sostituzione del Franco CFA dell’Africa Occidentale con l’ECO è un progetto
politico che mira a coinvolgere nell’area valutaria anche altri paesi
dell’Africa Occidentale, ex colonie inglesi, un modo per estendere l’influenza
francese anche a questi paesi. Non è detto che la Francia ci riesca, ma questo
è l’evidente intento.
Gli attuali paesi che adottano il Franco CFA dell’Africa Occidentale sono:
Senegal, Guinea Bissau, Mali, Burkina Faso, Niger, Costa d’Avorio, Togo e
Benin. Nel progetto di Macron verrebbero coinvolti anche Guinea, Sierra Leone,
Liberia, Ghana e Nigeria.
Per
quanto riguarda i paesi che utilizzano il Franco CFA dell’Africa Centrale
(Ciad, Camerun, Repubblica Centrafricana, Guinea Equatoriale, Gabon e Congo
Brazzaville) nulla cambierebbe rispetto ad oggi.
Questo dimostra che il progetto dei francesi non è di “democratizzare” il
Franco CFA nelle due aree coinvolte, ma solo di inglobare nuovi paesi
dell’Africa Occidentale nel meccanismo neocoloniale.
E’ emblematico che la conferenza stampa di Abidjan, con l’annuncio della nascita nel 2020 dell’ECO come nuova valuta dell’area sia stata fatta da:Macron, presidente eletto tramite un “nuovo partito” nato dal nulla e che ha immediatamente disposto di ingenti finanziamenti per marciare (En Marche!) verso il successo; e da Ouattara, salito al potere nel 2011 grazie ad un colpo di stato contro il presidente eletto Gbagbo, supportato dalla Francia e dalle sue principali lobbies economiche.
Il
nuovo ECO porterà delle novità minime rispetto alla situazione precedente,
limitatamente alle nazioni della comunità economica “francese” dell’Africa
Occidentale. A parte il cambio del nome, la proposta è che le riserve valutarie
non siano più detenute al 50% presso la Banque
de France, ma interamente presso l’autorità centrale ed i francesi non
parteciperanno più direttamente al consiglio di amministrazione della banca
centrale dell’Africa Occidentale.
Il “vincolo esterno” ai maggiori
investimenti per lo sviluppo non sarà più posto direttamente dai banchieri
francesi, come avviene da diversi decenni, ma dall’introduzione di un nuovo
vincolo: il limite al 3% di deficit pubblico rispetto al prodotto interno
lordo. Si tratta dello stesso vincolo (come noto, una cifra generata a caso) che è fra le
principali cause della stagnazione economica in Europa.
Imporre questo vincolo agli investimenti pubblici in paesi che mancano di
strade, di ferrovie, di scuole, di ospedali, di telecomunicazioni significa
imporre loro l’impossibilità di sviluppare una propria economia locale.
Non sarà neppure possibile sviluppare l’economia locale sul lato delle
esportazioni, dato che l’ECO avrà ancora un tasso di cambio fisso con l’euro. I
francesi dicono che questo fattore garantisce la “credibilità” della valuta
africana a livello internazionale, ma la sostanza è che, invece, la moneta è
troppo forte rispetto alle economia dei paesi africani, il che rende troppo
costose le merci africane per gli importatori dall’estero. Ad eccezione della
Francia, naturalmente, dato che non è prevista alcuna modifica riguardo agli
obblighi di priorità di scambi economici con la Francia.
Un nuovo vincolo che viene posto ai paesi che aderiscono all’ECO è un tasso di inflazione non superiore al 10%. Il limite pare ragionevole, ma se vi fosse una impennata dei prezzi causata da un aumento del prezzo internazionale del petrolio, i governi delle nazioni africane si troverebbero obbligati a misure draconiane (si legga: deflazione salariale) per rispettare tale vincolo.
Per
completare la “riforma” i francesi si rendono disponibili a coprire le
necessità di spesa in valute estere da parte della banca centrale dell’Africa
Occidentale, prestandogliele.
Parigi conserverà il suo ruolo di garante finanziario per gli 8 paesi
dell’UEMOA sotto forma di una “linea di credito” (da intendersi: un ulteriore
debito per tenere incatenati i popoli africani).
Il tutto motivato, secondo le testuali dichiarazioni del fido alleato Ouattara,
ad “evitare la speculazione e la fuga dei
capitali”.
I
paesi dell’area, ex colonie inglesi, capeggiati dalla Nigeria e dal Ghana, per
il momento non si mostrano entusiasti nei confronti della “riforma” del franco
CFA dell’Africa Occidentale.
Sanno di poter fare affidamento per il proprio sviluppo anche sui capitali
cinesi. Difficile dire chi dei 2 colonizzatori sia intenzionato a portarsi via
di più dall’Africa.
E difficile che i vari governanti africani, privi di capitali propri,
sottoposti all’azione delle multinazionali e dell’esercito francese, riescano a
compiere scelte in favore della popolazione.
Per
quanto riguarda noi italiani, dobbiamo prendere atto del fatto che i flussi
migratori dall’Africa, data questa situazione politico-economica dei loro
paesi, di certo non si arresteranno, con i migliori ringraziamenti ad Emmanuel
Macron ed al “Deep
State” francese.
E, naturalmente, l’Europa tace.
Commenta per primo