di Patrizia Scanu
Nell’enorme complessità del fenomeno mondiale che chiamiamo “globalizzazione”, un filo rosso sembra collegare fra loro eventi e processi diversissimi: la crescente e sempre più pervasiva commistione fra pubblico e privato. Palesemente guidata da un’ideologia neoliberista, orientata al ripristino del potere di classe delle élite, che nel secondo dopoguerra veniva eroso dall’avvento di democrazie partecipative e dalla crescita della consapevolezza dei diritti da parte dei popoli, la globalizzazione economica, dagli anni ’80, ha seguito la via delle privatizzazioni, della deregolamentazione, delle liberalizzazioni selvagge, al fine di tutelare la libertà di impresa delle multinazionali e il libero movimento dei capitali finanziari. Lo Stato, visto come intralcio alla ”libertà” dei mercati, anziché come espressione suprema della sovranità popolare e istituzione mediatrice fra i diversi interessi presenti nella società civile, diventa il bersaglio delle politiche mondialiste, che mirano a spostare la sovranità dai cittadini ai “mercati”, espressione degli interessi di pochi grandi gruppi familiari, bancari e finanziari.
Le partnership globali pubblico/privato. Uno degli strumenti più utilizzati a questo fine sono le cosiddette “partnership globali pubblico/privato” (GPPP), ovvero degli enti ibridi, dall’incerta natura giuridica e privi di qualsivoglia legittimazione popolare, che vedono alleati soggetti pubblici (i governi, spesso all’insaputa dei loro rappresentati) e soggetti privati, costituiti da multinazionali, banche, operatori finanziari (pressappoco gli stessi dovunque). Al di là delle intenzioni dichiarate, sempre filantropiche, benefiche e illuminate, in questo tipo di partnership spesso il pubblico mette il denaro e i privati godono dei vantaggi.
John Kenneth Galbraith, in L’economia della truffa (RCS, 2004), descrive il fenomeno a proposito delle spese militari, per le quali pubblico è il denaro, ma privati i beneficiari, e che influenzano pesantemente la spesa pubblica, spingendo all’acquisto di costosissimi armamenti dalle aziende private (il famigerato “complesso militare-industriale” di cui parlava il presidente Dwight D. Eisenhower nel 1961). Peter Buffett, figlio del più noto Warren, che nel 2017 era il secondo uomo più ricco al mondo, ne parla con cognizione di causa sul Washington Post (26 luglio 2013) a proposito del “complesso caritativo-industriale”, ovvero quel gigantesco intreccio di interessi che governa le politiche mondiali della salute e degli aiuti ai Paesi poveri, da lui definito anche “colonialismo filantropico”.
Sempre di colossale business si tratta, con aspetti perfino più inquietanti, perché i mercanti di morte sono identificati come tali, mentre qui i membri dell’élite si presentano con il volto angelico dei salvatori dell’umanità. Da anni, essi investono somme da capogiro nel settore non-profit: Buffett indicava per il 2012 un giro d’affari di 316 miliardi di dollari solo negli USA, con 9,4 milioni di addetti. Con il peso di somme così ingenti, i ricchi finanziatori, che incontrano nei meeting filantropici i capi di Stato e i dirigenti delle multinazionali, “cercano con la loro mano destra risposte ai problemi che altri nella stessa stanza hanno creato con la sinistra”. Ovvero, decidono soluzioni dall’alto per i problemi dell’umanità causati da quello smisurato travaso di ricchezza dai poveri ai ricchi in cui consiste la globalizzazione neoliberista. Donare lava la coscienza, ma non elimina la disuguaglianza, conclude Peter Buffett. Le soluzioni proposte, infatti, arricchiscono molte tasche, ma non modificano i rapporti di forza e le cause strutturali dei problemi globali. In questa ansia dirigistica, i grandi gruppi privati e i filantropi globali di fatto controllano le politiche di enti istituzionali come l’OMS, facendo perdere loro ogni terzietà.
L’OMS. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), organo delle Nazioni Unite, ha come scopo istituzionale la tutela della salute, intesa non come assenza di malattia, ma come “condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale”. È governata da 194 stati membri attraverso l’Assemblea mondiale della sanità ed è un soggetto di diritto internazionale, verso il quale gli Stati hanno l’obbligo di cooperare. Ha la fondamentale funzione di coordinare le politiche sanitarie dei Paesi membri, specie in presenza di gravi epidemie. Dovrebbe farlo in modo trasparente, dato il suo status di agenzia imparziale, che agisce nell’interesse pubblico.
Come per la Difesa, però, a fronte di un progressivo disinvestimento degli Stati, si sta verificando una progressiva occupazione dell’ente da parte delle aziende private, che hanno finanziato l’87% dei 4 miliardi e mezzo di dollari delle entrate OMS per il biennio 2016-17. Una fetta consistente dei 3 miliardi 900 milioni di dollari di provenienza privata è stata versata dalla Bill & Melinda Gates Foundation, seconda in classifica dopo gli USA[1]: ben 901 milioni di dollari, di cui quasi 434 vincolati a programmi specifici (earnmarked): il che vuol dire che le politiche sanitarie le decidono i finanziatori, sulla base di criteri diversi da quelli dell’interesse pubblico. Non certo per amore disinteressato. Si tratta infatti di un modello organizzativo intenzionalmente commerciale (business-like).
Il quotidiano “La Verità” (10/12/2018) cita i dati del British Medical Journal: “nel 2017 l’80% dei fondi ricevuti dall’ agenzia Onu era earmarked“. Come scrive il quotidiano Repubblica,
“Ormai l’OMS è costretta a tenere conto di quello che Gates ritiene prioritario, come nel caso della polio”, obietta il professor Flahault [direttore dell’Istituto di Sanità Globale della facoltà di medicina dell’Università di Ginevra.] […] Da sottolineare, pure, che mentre nel 1970 l’80% del bilancio dell’Oms era costituito dai contributi degli Stati membri e il 20% da quelli di privati, oggi il rapporto è l’esatto contrario. Con il risultato che interi dipartimenti dell’organizzazione sono finanziati, per intero, dalla fondazione Bill & Melinda Gates. “Questo ha, inevitabilmente, un impatto. Non tanto su quello che l’OMS dice ma, piuttosto, su quello che omette di dire”, ha dichiarato, alla TV pubblica elvetica, Nicoletta Dentico, direttrice della ONG di Ginevra, Health innovation in practice.
Fra le cose che l’OMS non dice si possono trovare, per esempio, i dati sui morti a causa dei farmaci, che secondo Peter Gøtzsche, Professore di Clinical Research Design and Analysis all’Università di Copenahagen e a lungo responsabile del Cochrane Institut (finché non l’ha comprato Bill Gates), è la terza causa di morte, dopo le patologie cardiovascolari e l’ictus, con una stima per difetto di 200mila morti all’anno sia negli USA che nell’UE (P. Gøtzsche, Medicine letali e crimine organizzato, G. Fioriti ed., p. 363-364), mentre sul sito OMS non vengono considerati nelle statistiche. Oppure i dati completi sui danni da vaccino o sul fenomeno del disease mongering, cioè l’invenzione di malattie nuove per vendere farmaci a persone sane o informazioni sulle pressioni da parte delle aziende private per l’impiego di farmaci, per la definizione dei valori soglia di diverse patologie, per le campagne di prevenzione da parte dell’OMS, che si trova nella posizione di controllore e controllato insieme. Soprattutto, sono dati per scontati gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti da utilizzare, entrambi in gran parte decisi dai finanziatori, come insegna il caso delle campagne di vaccinazione antipolio in India, dove la malattia è quasi estinta e dovuta ormai solo ai vaccini, ma a cui Gates ha voluto destinare ben 894,5 milioni di dollari, 10 volte di più che alla prevenzione dell’Aids, la quarta causa di mortalità nei paesi poveri.
E chi sono i finanziatori privati? Oltre alla Bill & Melinda Gates Foundation (che vanta un patrimonio da 40 miliardi di dollari), soprattutto le multinazionali del farmaco (in testa Sanofi, Gilead Sciences, GlaxoSmithKline e Hoffmann-LaRoche, Bayer, Merck) e la GAVI Alliance (Alleanza globale per le vaccinazioni), a loro volta finanziata da un ventaglio di soggetti privati e pubblici.
La GAVI Alliance. La GAVI Alliance è una partnership pubblico-privato, emanazione anch’essa della Bill & Melinda Gates Foundation, che ha come finalità la diffusione delle campagne vaccinali, specie nei Paesi in via di sviluppo. Dal punto di vista giuridico, è una fondazione privata di diritto svizzero, non costituita in base ad un trattato internazionale. L’Italia è un Paese finanziatore del GAVI dal 2006, il terzo per entità delle donazioni, avendo promesso un contributo diretto al GAVI di 120 milioni di dollari per il periodo 2016-2020. Fanno parte della GAVI Alliance, come recita il sito della rappresentanza italiana all’ONU, “paesi e settore privato, come ad esempio la Fondazione Bill & Melinda Gates, produttori di vaccini sia dei paesi sviluppati che in via di sviluppo, istituti specializzati di ricerca, società civile e organizzazioni internazionali come OMS, UNICEF e Banca Mondiale”. A sua volta, GAVI Alliance è partner del GHSA (Global Health Security Agenda, che è un altro ente sovranazionale di natura incerta, nato negli USA nel 2009 per direttiva presidenziale al fine di contrastare le minacce di bioterrorismo, grazie al quale l’Italia ha introdotto nel 2017 l’obbligo vaccinale per 10 vaccini in assenza di epidemie) a cui concorrono governi e soggetti privati (sempre gli stessi).
Quindi, GAVI finanzia l’OMS, che ha compiti di coordinamento, vigilanza e controllo, in quanto istituzione pubblica, ed è finanziata a sua volta anche dagli Stati, che versano denaro per le campagne vaccinali, che viene speso pagando le ditte produttrici (private). Le aziende farmaceutiche sono le destinatarie finali dei fondi. Verrebbe da pensare che, poiché le aziende farmaceutiche incassano il costo dei vaccini e contemporaneamente finanziano l’OMS, l’OMS sia di fatto al loro servizio. Controllori e controllati, decisori e beneficiari coincidono, e la completa commistione è rafforzata dal fenomeno ormai fuori controllo delle sliding doors, delle porte girevoli fra sanità pubblica e industria farmaceutica che caratterizza le carriere di molti esperti in ambito medico, aziendale e politico.
E come funziona? Troviamo sempre nel sito ufficiale della rappresentanza italiana all’ONU:
“Oltre alle donazioni dirette degli stati membri, l’Alleanza utilizza meccanismi di finanziamento innovativi che contribuiscono a garantire la sostenibilità delle sue attività, quali l’AMC (Advance Market Commitment) e l’IFFIm (International Finance Facility for Immunization)”.
Approfondiremo il funzionamento di questi strumenti finanziari, nei quali l’Italia gioca un ruolo di primo piano per entità degli stanziamenti, e in generale la complessa galassia di enti di varia natura che si occupano della salute a livello globale in successivi articoli, sia nella rivista cartacea sia online. Non mancheranno le sorprese.
[1] “Nel 2017 l’Italia è stata il 12esimo Paese donatore con un totale di contributi obbligatori e volontari pari a USD 27.153.812”. (https://italiarappginevra.esteri.it/rappginevra/it/italia_e_onu/san/san.html)
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