Ab Origine

Dalle origini comuni all’identità culturale

di Luigi Monsellato

La parola “razza”, ha dimostrato il filologo Gianfranco Contini, deriva da “haraz” termine dell’antico francese indicante “allevamento di cavalli”, quindi un termine di origine zootecnica che nel corso del tempo si è andato arricchendo di nuovi significati fino ad investire la sfera umana per indicare una popolazione o un insieme di popolazioni presentante una particolare frequenza distributiva di alcuni geni. Questa deriva di significato, che trova le sue radici storiche nelle necessità politiche di un mondo post-coloniale e che ha portato alle aberranti distinzioni tra razze “superiori” e “inferiori” con l’attuazione di politiche di discriminazione sociale, segregazione, ghettizzazione e persino stermini di massa, dal punto di vista genetico non ha alcun fondamento.

Lo studio della genetica ha evidenziato che la specie Homo Sapiens, l’unica tuttora esistente del genere Homo, discende da un’Eva mitocondriale comparsa nel cuore dell’Africa 200.000 anni fa e questa matrice originaria di DNA mitocondriale, comune a tutti gli esseri umani sulla Terra, è rimasta immutata per il 99.9% mentre il restante 0,1% in cui risiede la chiave della nostra evoluzione è frutto di piccolissime variazioni casuali che nulla hanno a che vedere con la nostra origine geografica. Emblematico al riguardo è stato il confronto tra la sequenza completa del genoma di due scienziati di origine europea, James Watson e Craig Venter, e uno di origine asiatica, Seong-Jin Kim, che ha evidenziato che il numero dei marcatori genetici (SNP) in comune tra i due europei era inferiore a quello di ciascuno di loro con il collega asiatico. La variabilità genetica che fa di ogni individuo un essere unico e che è stata evidenziata anche nel caso di gemelli omozigoti dipende dai cosiddetti fattori epigenetici cioè dai meccanismi che regolano l’attività del DNA e tale variabilità si è dimostrata più rilevante all’interno delle singole popolazioni che tra popolazioni diverse, vale a dire che statisticamente c’è maggiore differenza tra due italiani posti all’estremo di un profilo genetico, che non tra un italiano e un etiope posti al centro dei profili genetici delle rispettive popolazioni.

I dati genetici delineano una prospettiva unitaria di sviluppo della specie umana, quelli paleoantropologici, cioè studio dei resti fossili dell’uomo, ne indicano le migrazioni, quelli archeologici ne fotografano le conquiste tecniche ma sono soprattutto quelli linguistici a darci ragione degli sviluppi culturali delle singole popolazioni.

Le origini del linguaggio umano possono essere individuate nel fatto che gli organismi reagiscono gli uni agli altri: tutte le piante e tutti gli animali comunicano tra loro e con i membri di altre specie inviando messaggi che possono essere trasportati dal polline, dagli odori, dal suono e dalle onde luminose. Le comunicazioni non umane hanno però tutte una portata e un contenuto limitati, specie in rapporto al tempo. Le parole rappresentano oggetti, immagini della memoria, fantasie, sentimenti che rimangono immutati. Grazie alla parola l’uomo diventò l’unico animale capace di generalizzazione e di astrazione concettuale e si sganciò dalla piatta adesione alla singola esperienza. Solo riuscendo a scindere dalla hybris delle impressioni sensoriali quegli elementi che non paiono mutare nel tempo la parola “albero” può acquistare significato. Molti elementi concorrono ad avvalorare l’ipotesi che il primo mezzo adoperato dall’uomo per comunicare le idee fosse costituito dai gesti delle mani, ai quali sarebbe collegato, per simpatia, un inconscio movimento della bocca. L’azione simpatetica delle mani e della bocca è stata osservata negli scimpanzé e nei bambini. Qualcuno ha suggerito che l’aumentata occupazione delle mani, intente a costruire e a usare utensili, avrebbe indotto gli uomini a passare dai gesti manuali a quelli orali come mezzo di comunicazione.

All’Homo erectus si devono, secondo ogni probabilità, due conquiste: la tecnica di lavorazione delle pietre su entrambe le facce, le cui prime manifestazioni risalgono a poco più di un milione di anni fa, e l’utilizzazione del fuoco,  le cui più  antiche testimonianze sono datate a circa 700.000 anni fa. Grazie al fuoco i nostri progenitori disposero di tempi più lunghi per la vita di relazione e questo spinse ad affinare il linguaggio che divenne progressivamente idoneo ad indicare non solo oggetti concreti, fisicamente esistenti, ma anche concetti e idee, necessari per la progettazione. La fiamma, d’altra parte, ha assunto assai presto una valenza “religiosa” ed è probabilmente diventata simbolo di vita, come sembrano dimostrare le antichissime sepolture praticate sotto i focolari, quasi per sottrarre i defunti al gelo della morte. I più antichi resti di Homo sapiens sapiens risalgono a 40.000 anni fa. A questa sottospecie, che costituisce la linea evolutiva dell’uomo moderno, sappiamo che risalgono le prime rappresentazioni e concezioni della natura e dell’universo, insieme ai primi riti religiosi e alla nascita dell’arte preistorica. Attraverso la semantica, la sintassi e le idee socialmente condizionate di identità, le lingue ci dicono quale percezione abbiamo della realtà e poiché, come ha dimostrato Luigi Cavalli Sforza, le lingue si evolvono anch’esse mano a mano che si evolvono i popoli è proprio attraverso di esse che possiamo scoprire i rapporti di parentela tra le varie popolazioni.

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