Patria, Nazione e Stato negli insegnamenti dei cattolici progressisti e di Lyndon Larouche

Intervento di Antonino Galloni a Bad Soden – Francoforte – il 17 Novembre 2019 in occasione della Convention dell’Istituto Schiller

di Antonino Galloni

Sovranità Popolare numero 2 anno 2

In questo intervento intendo ricordare, col proposito di mostrarne l’attualità, il contributo di due dei più importanti rappresentanti del cattolicesimo progressista italiano, quali Luigi Sturzo, Giuseppe Dossetti e quello di un pensatore cristiano – Lyndon LaRouche – di cui oggi vogliamo celebrare la figura e la luce.

In realtà, io ho frequentato Lyndon stesso e tutti i suoi collaboratori molto assiduamente e in ogni parte d’Europa e del pianeta durante un quindicennio circa; invece Dossetti l’ho incontrato appena due volte e Sturzo mai.

Però mio padre – uno statista decisivo nella storia della Repubblica Italiana e uno studioso in campo politico e agrario di levatura internazionale, nonché estimatore e amico di LaRouche – è stato seguace e allievo di Giuseppe Dossetti; e, come tutti i democristiani, ossequioso del pensiero e della coerenza di Sturzo. Ma a me non sfuggirono alcune sfumature critiche (nelle quali furono coinvolti non solo Dossetti e mio padre, ma anche Alcide De Gasperi) che furono tenute un po’ segrete o, meglio, trascurate – tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni successivi all’uccisione di Moro – col risultato, come cercherò di spiegare tra poco, che la politica italiana si è divisa dopo gli anni ’80 in due blocchi, uno di destra più vicino a Sturzo ed uno di sinistra, incapace di cogliere tutto il messaggio rivoluzionario di Dossetti: entrambi gli schieramenti, che si sono alternati alla guida del Paese negli ultimi trent’anni, sono risultati incapaci di capire le esigenze nazionali e ci hanno portato ad un continuo peggioramento.

La divergenza tra Sturzo e Dossetti sarà evidente nel ragionamento che segue e non potrà essere risolta se non facendo riferimento a quella che io chiamo la “soluzione LaRouche”, senza la quale saremmo condannati alla negazione delle funzioni sociali dello Stato così come esce – rompendo la tradizione precedente (delle due versioni liberale e dittatoriale) – dalla nostra Carta Costituzionale del 1948 o ad un mondialismo con bellissime basi teologiche, ma pessime prospettive politiche.

Cercherò di andare con ordine per farmi capire, cosa non facilissima: ma necessaria a definire se i Cattolici possono proporre una loro visione delle problematiche economiche, non liberista, non legata alla decrescita (confondendo San Francesco e il Principe di Galles), ma socialmente cristiana.

1). Quando Benito Mussolini prese il potere nel 1922 – grazie all’appoggio della Corona Sabauda (e non solo) – De Gasperi lo appoggiò, ritenendolo idoneo a ripristinare la legalità, compromessa nei quattro anni successivi alla fine della guerra; Sturzo, invece, fu contrarissimo fin dall’inizio perché vedeva nel “socialista estremo” Benito Mussolini il tentativo di porre lo Stato (Grande Leviathan) e la sua autorità a principio di tutto. La faccenda si concluse presto, appena il Fascismo gettò la maschera in occasione dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Luigi Sturzo, dunque, nemico n.1 di Mussolini, dovette riparare all’estero (cosa che non fu garantita all’altro grande personaggio antifascista, Antonio Gramsci, ma questa è un’altra – seppure amarissima – storia) e rimase qualcosa di irrisolto tra Sturzo stesso e De Gasperi che non si appianerà più.

2). Appena finita la Seconda Guerra Mondiale, due furono gli eventi quasi immediati: il Referendum pro Repubblica (soluzione voluta apertamente dagli Americani e da Sturzo) o pro Monarchia (sostenuta dagli Inglesi) ed il varo dello Statuto autonomo della Regione Siciliana. Sul primo De Gasperi prese una posizione formalmente ambigua (che Sturzo criticò duramente, salvo ricredersi a cose fatte): se De Gasperi non avesse fatto così, la spaccatura tra le due coalizioni sarebbe risultata troppo dura ed avrebbe aperto a continuità dei conflitti. Sul secondo, Sturzo manifestò tutto il suo entusiasmo per un progetto che metteva al primo posto quella radicale autonomia che scongiurava lo spettro dell’indipendentismo e della scissione isolana.

3). Sebbene i contenuti sostanziali dello Statuto Siciliano non differissero dalla successiva Carta Costituzionale, definita l’anno dopo ed a cui Dossetti aveva dato un contributo preponderante, Sturzo manifestò un atteggiamento molto critico. Ciò accadde per due coordinate ragioni: il lavoro di Dossetti – anche di mediazione con le altre forze politiche che erano state determinanti nella lotta al nazifascismo –  fu volto a modificare il profilo dello Stato in senso interventista, impegnando la neonata Repubblica in tutta una serie di fronti (sociale, imprenditivo, antibellico, formativo, ecc.) che, per Sturzo, sarebbero dovuti risultare appannaggio dei privati e delle famiglie in prima battuta, delle autonomie territoriali in seconda battuta e dello Stato solo in terza battuta, in base al principio – sempre ricordato nelle Encicliche papali – della cosiddetta sussidiarietà. Dossetti e la Costituzione del 1948, invece, capovolgevano tale impostazione, riconoscendo allo Stato il compito di provvedere ai bisogni della gente e della società in primis. La seconda ragione stava nel continuismo col Fascismo (o, meglio, con la centralità dell’intervento statale nell’economia) che, poi, avrà il suo seguito nella scuola di Cronache Sociali; Scuola che vide anche alla ribalta personaggi del calibro di Amintore Fanfani e Federico Caffè: IRI, ENI, Cassa per il Mezzogiorno, SVIMEZ ecc. furono figlie della cultura degli anni ’30 condivisa da Roosevelt, Mussolini e Hitler e che non poteva accettare l’impostazione liberale o liberista per cui il mercato e il non interventismo statale avrebbero risolto tutti i problemi dell’economia. Gli anni ’30 segnarono la svolta culturale antiliberista perché – in quel decennio di crisi economica continua e grave – si evidenziò che il liberismo medesimo non risolveva i problemi, anzi ne era la causa. Lezione che decenni dopo si dimenticò del tutto: e il liberismo apparve la soluzione a quanto emerso nei decenni dello sviluppo postbellico che erano stati soprattutto di vigorosa di crescita; così, il liberismo degli anni ’80 e successivi, affrontò le problematiche determinate da una maggiore apertura internazionale dei mercati ammazzando la crescita!

4). Quindi, Sturzo, all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, rimase sulle sue posizioni liberali ed autonomistiche, addirittura critiche – come abbiamo visto – della Costituzione del 1948 (cui, poco dopo, si ispirerà la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, voluta, in primis da Eleanor Roosevelt).

5). In seguito, Dossetti diede un contributo decisivo anche al Concilio Ecumenico Vaticano II, dove il Cattolicesimo democratico si propose come religione che apriva non solo ai “Popoli del Libro”, ma a tutte le altre fedi, con ciò generando un ulteriore spaccatura che, oggi, vede la presenza di due Papi, portatori l’uno di un’apertura incondizionata verso chi si dichiari contro il Dio Denaro e per l’ambiente; l’altro, di una tradizione che – pur attentissima ai problemi sociali – stigmatizza le differenze teologiche tra le varie religioni (fu, infatti, il discorso di Ratisbona ad attirare anatemi dei (veri o presunti) progressisti su Benedetto XVI.

6). Col ritorno al liberismo – in USA e in Europa – alla fine degli anni ’70 (soprattutto il G7 di Tokyo del 1979 che smantellò l’ultimo baluardo degli accordi di Bretton Woods del 1944 che avevano garantito 35 anni di sviluppo economico e politico eccezionali); la spaccatura tra Sturzo (ormai defunto) e Dossetti (ormai fuori dai giochi) prese una piega ancora più grave. La sinistra trascurò l’importanza del contributo di quest’ultimo che è chiara nella lettura della Costituzione stessa; ma la cui portata non è stata mai attualizzata dai cambiamenti degli anni ’70 che avrebbero reso più facile conseguire i grandi obiettivi del lavoro, della produzione, dello sviluppo tecnologico e della dignità dell’uomo, invece fortemente frenati dalla oggettiva carenza di mezzi finanziari negli anni ’40 e ’50. La destra strumentalizzò l’impostazione sussidiaristica e liberale di Sturzo per smantellare il Welfare Universale a favore di quello residuale (finalizzato al solo aiuto per i poveri), l’importanza delle strategie industriali pubbliche (che avevano reso grande l’Italia) e un’utile presenza dello Stato nell’economia, nella ricerca, nel progresso infrastrutturale.

7). Ma Dossetti indicò, tra le grandi emergenze epocali, il superamento dello Stato Nazione, in nome di un ecumenismo di prospettiva. Quest’ultimo – come abbiamo accennato – posava su valide (ma non da tutto il mondo cattolico condivise) basi teologiche, tuttavia rischiava di confluire nel progetto di smantellamento degli Stati propugnato dalle grandi multinazionali e dai centri del potere finanziario. Con ciò, quella parte della sinistra che non aveva abbracciato il liberismo (e che aveva mantenuto una posizione coerente, seppure minoritaria, anche dopo l’abbandono dei valori sociali tipici della storia del movimento operaio), non capì che la difesa di uno Stato non smantellato o delle multinazionali, ma al servizio degli interessi generali, rappresentava un baluardo importante contro le ingiustizie e per lo sviluppo responsabile.

8). La politica italiana è, dunque, apparsa, dopo la fine di Moro, incapace di continuare a capire e guidare i cambiamenti, per – unicamente – subire “il vento del Nord”, come si cominciò a dire quarant’anni fa, ovverossia il ritorno alle fallimentari ricette liberistiche. Ed il mondo cattolico – divenuto incapace di esprimere una forza politica in linea con le tradizioni italiane (diverse da quelle più conservatrici di altri Paesi europei) – si ritrovò sempre più diviso e ininfluente proprio perché incapace di schierarsi tra l’impostazione antistatalista di Sturzo e quella mondialista di Dossetti. Qualche Enciclica e qualche Papa rivendicava i principi della “dottrina sociale della Chiesa”, ma poi venivano convocati e valorizzati solo economisti liberali poco attenti ai principi evangelici: fu proprio su questo terreno e per affrontare la questione delle strategie generali che fui fatto incontrare con Lyndon LaRouche. Ne nacquero un’importante collaborazione e un’amicizia (che coinvolse anche mio padre e tutta la mia famiglia), ma ilo mondo cattolico rimase spaccato tra l’incarnazione del messaggio evangelico nella politica economica e l’ossequio ad un’impostazione liberale che poteva vantare solo un arcaico anticomunismo.

9). Ecco, dunque, la “soluzione LaRouche”, consistente in un abbinamento di prospettive di sviluppo economico dove lo Stato abbia un ruolo rilevante e adeguato, ma senza provocare quel nazionalismo aggressivo e razzista, accusato di aver portato ai conflitti mondiali.

Infatti, la posizione di Lyndon LaRouche è quella derivante dal Trattato di Westfalia del 1648: tutti gli Stati sono sovrani “superiorem non reconoscentes” e, questo è il punto, rispettano la sovranità altrui.

In altri termini, definita la propria sovranità nazionale, ciascuno Stato ammette la stessa situazione per il vicino; lo rispetta e non intende sottometterlo in base ad una sedicente propria superiorità.

Le guerre sono figlie dell’incontro tra esagerata crescita delle potenzialità e cultura della superiorità di una Nazione sull’altra; se la politica economica non è organizzata per far crescere le realizzazioni e la politica tout court teorizza una qualche superiorità, il potenziale va a scaricarsi in termini anche militari contro i vicini.

Quindi, ad esempio, fu l’errore degli Usa dopo la Prima guerra Mondiale nell’imporre il pagamento dei debiti tedeschi ad innescare la dinamica di potenzialità frustrate e senso di rivincita e provocare il nazismo (o, in Italia, la cosiddetta vittoria mutilata che fu una delle basi fondamentali del Fascismo): ed il secondo conflitto mondiale. Il diverso comportamento degli Usa stessi verso Germania, Giappone e, in fondo Italia, dopo la fine del secondo conflitto, dunque, è stato il fondamento della Pax Europea attuale: ma l’indebolimento degli Stati mediterranei nell’Unione Europea (dove permangono i razzismi del Nord verso il Sud) provocavo un insufficiente sviluppo del potenziale latino, con squilibrio all’interno della UE stessa.

Quindi, la “soluzione LaRouche” consente di opporsi al progetto delle multinazionali e dei poteri finanziari globalisti senza indurre i nazionalismi al conflitto; ma, al contrario, il sano confronto fra sovrani che si rispettano pone le basi ad accordi internazionali sui grandi temi dell’energia, delle infrastrutture internazionali ed intercontinentali, della ricerca scientifica e tecnologica.

E’ così, abbinando la forza democratica degli Stati, i sentimenti di Patria, il rispetto delle altre Nazioni, l’obiettivo di una crescita responsabile (verso la Natura), ma adeguata alle potenzialità di crescita di ciascun Paese che la Pace raggiunge quel ruolo non solo di finalità, ma soprattutto di strumento delle relazioni internazionali basate sul rispetto reciproco e l’adeguatezza dello sviluppo per tutti. E’ il modello win win che sta cominciando a prevalere su quello obsoleto “mors tua vita mea” che ha rincuorato gli ultimi tempi della vita terrena di Lyndon LaRouche.

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