Futuro incerto per i cristiani a Gerusalemme

Cristo al checkpoint

ebrei lanciano pietre a Cristo nel Tempio
Dal 7 ottobre si parla tanto di conflitto tra Palestina e Israele tra musulmani e ebrei ma in Palestina e in Israele vivono popoli molto diversi tra loro e ci vivono anche persone di fede cristiana.
Il Vescovo siriano Jacques Mourad all’inizio dell’ultima guerra di Gaza ha dichiarato: “Se si vuole vedere l’Inferno oggi occorre andare in Terra Santa, dove le stragi di innocenti sono diventate sterminio”
I cristiani a Gaza, Cisgiordania e Israele soffrono con i compagni di cammino e di destino appartenenti a altre comunità di fede. E la guerra – racconta all’Agenzia Fides il francescano egiziano Ibrahim Faltas, Vicario della Custodia di Terra Santa – getta anche nuove ombre sulla permanenza futura delle comunità di battezzati nella terra di Gesù. Una umanità ferita che nel tempo della prova – ripete padre Ibrahim – dona la testimonianza della propria fede mendicante, anche nei gesti semplici di condivisione del dolore e della sofferenza.Padre Ibrahim, le comunità cristiane di Terra Santa come stanno vivendo questo momento buio?IBRAHIM FALTAS: Le comunità cristiane di Terra Santa stanno vivendo male. La guerra è sempre una sconfitta, come dice Papa Francesco, e per i cristiani che in Terra Santa sono una minoranza, diventa una tragedia veramente difficile da affrontare.
A Gaza, circa ottocento cristiani hanno trovato rifugio nella parrocchia della Sacra Famiglia, altri duecento nella chiesa greco ortodossa. Tanti sono morti, i sopravvissuti hanno perso tutto. Devono condividere gli stessi spazi per tutte le necessità e manca il cibo, l’acqua, le medicine. Qualche giorno fa mi ha colpito il sorriso del vice parroco che ha mostrato una mela rossa, il primo frutto rivisto dopo sei mesi di guerra e che lui ha condiviso con altri parrocchiani.

Cosa accade in Cisgiordania e Israele?

FALTAS: In Cisgiordania i cristiani, impegnati soprattutto nel turismo, non hanno lavoro per la mancanza di pellegrinaggi. Non vedono futuro per le loro famiglie e in tanti vorrebbero lasciare la Terra Santa. Anche in Israele, le comunità cristiane vivono e subiscono le conseguenze della guerra. Anche al nord, a Nazareth e in Galilea, sono molto vicini ad un altro fronte di guerra. Tutti i cristiani di Terra Santa stanno comunque testimoniando la loro fede in modo esemplare.

In che modo le comunità cristiane di Israele e Cisgiordania sono in contatto con fratelli e sorelle di Gaza?

FALTAS. Purtroppo le comunità cristiane di Terra Santa non possono avere contatti fra di loro, nonostante la vicinanza fisica di questi luoghi. Subivano già prima della guerra tante limitazioni e da sei mesi è impossibile pensare ad iniziative che possano dare sostegno a Gaza. Grazie a Dio la tecnologia ha dato la possibilità di poter avere notizie reciproche e di potersi sostenere nella preghiera.

Israele ha detto che obiettivo di guerra era “eliminare Hamas”. Quello che sta succedendo è giustificabile come “effetto collaterale” per raggiungere quello scopo?

FALTAS: Non posso fare un’analisi politica di questa guerra ma, come tutti, vedo le conseguenze di questa assurdità. I bambini, come tutti i bambini del mondo, sono le prime vittime di queste atrocità. Migliaia hanno perso la vita, migliaia sono ancora sotto le macerie, migliaia hanno subito gravi amputazioni e migliaia porteranno a vita i segni fisici e morali della guerra. Chi cancellerà i traumi psicologici dei bambini, di tutti i bambini, senza distinzione di nazionalità e di credo religioso? Un segno importante è l’accoglienza per la cura negli ospedali italiani di tanti bambini di Gaza. Da gennaio sono arrivate in Italia circa 160 persone, bambini e accompagnatori, e di questo occorre ringraziare di cuore la generosità del popolo italiano.

Cosa sta succedendo a Gerusalemme?

FALTAS: A Gerusalemme abbiamo vissuto una Santa Pasqua senza pellegrini e senza i cristiani della Cisgiordania che non hanno avuto i permessi per uscire e per partecipare alle celebrazioni pasquali nella Città Santa. Il clima è triste e sta venendo meno la speranza. I cristiani, soprattutto in Cisgiordania, subiscono tante limitazioni e anche la mancanza di lavoro è veramente fonte di grande preoccupazione. Colpisce soprattutto la sfiducia nel futuro dei giovani, la tristezza di non poter costruire la loro vita nella Terra in cui sono nati.

Come vengono percepiti i discorsi del Papa sulla guerra e le richieste di cessate il fuoco?

FALTAS: Gli appelli di Papa Francesco sostengono e danno forza ai cristiani di Terra Santa e, credetemi, non solo ai cristiani. Lui è stato il primo e, per molto tempo, l’unico a chiedere il cessate il fuoco. È un uomo di pace e soffre tanto per la guerra. Quando l’ho incontrato ho sentito e ho visto la sua sofferenza, nelle parole e negli occhi. Nella lettera che ha inviato ai cristiani di Terra Santa per la Santa Pasqua, traspare la tenerezza di un padre buono che soffre per i suoi figli. Spero che i potenti della terra accolgano concretamente i suoi appelli che chiedono pace, verità e giustizia.

Lei come valuta le scelte e le mosse della comunità internazionale davanti alla guerra a Gaza?

FALTAS: Non sono un analista politico ma vivo in Terra Santa da trentacinque anni e posso dire di conoscere bene la situazione. Da anni ritengo che sia necessario un intervento della comunità internazionale per cercare di portare equilibri di pace in questa parte del mondo così bisognosa di pace. La guerra ha portato distruzione, morte, sofferenza a Gaza e non solo a Gaza. Solo con l’intervento reale e concreto della comunità internazionale si potrà tornare a negoziare. Nonostante le recenti risoluzioni per il cessate il fuoco, non vedo ancora possibilità vicina di una soluzione definitiva di questa guerra devastante.

In mezzo a tanta distruzione, quali testimonianze di fede che l’hanno colpita di più?

FALTAS: Il Signore è grande e misericordioso e sostiene questa umanità ferita. Lo vedo negli occhi dei bambini e degli indifesi di questa martoriata Terra Santa. Lo vedo nei gesti semplici di condivisione del dolore e della sofferenza. È questa la forza della fede dei cristiani di Terra Santa. La loro vita qui è una continua testimonianza, e si deve continuare a sostenerli.

La presenza cristiana in terra santa è una questione che inspiegabilmente non viene molto considerata dai media internazionali ma in altri canali è seguita quotidianamente e l’aspetto non è solo quello di fede anche se molti interessati negano di parlare di politica. Gli intrecci con la storia del passato e quella attuale sono decisamente interessanti come il lavoro di Munther Isaac in merito alla lettura della Bibbia e alcune mappe in cui sono indicati i confini della Terra Promessa.

Molti cristiani credenti nella Bibbia ritengono che la regione moderna conosciuta come Israele e Palestina rifletta i confini reali della Terra Promessa biblica. Ma è vero? Quali erano i confini della Terra Promessa? La questione è controversa a causa delle diverse descrizioni che troviamo nella Bibbia di questi confini.[1] La Bibbia non fornisce una sola descrizione dei confini. Non è così semplice.

Ma cercherò di semplificare le cose, dividendo queste diverse descrizioni dei confini in due mappe: (1) la terra di Canaan (vedi mappa 1 qui sotto) e (2) un territorio più ampio (da fiume a fiume) che comprende la maggior parte del Vicino Oriente antico (vedi mappa 2 qui sotto). Inoltre, nei diversi periodi, la terra aveva forme diverse. La terra assegnata ai tempi di Giosuè, ad esempio, è diversa da quella del regno di Davide e poi di Salomone. In entrambi i casi, i confini andavano oltre gli attuali Israele e Palestina.

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Fonte: M. Weinfeld, 2003, The Promise of the Land: The Inheritance of the Land of Canaan by the Israelites, University of California Press, Berkeley, pp. 57-58.

La promessa fatta ad Abramo in Genesi 15 ci colpisce molto:

In quel giorno il Signore fece un patto con Abram, dicendo: “Alla tua discendenza io do questo paese, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate, il paese dei Keniti, dei Kenizziti, dei Kadmoniti, degli Ittiti, dei Perizziti, dei Refaim, degli Amorrei, dei Cananei, dei Girgashiti e dei Gebusei”. (Gen. 15:18-21)

Vorrei soffermarmi a suggerire ai nostri amici sionisti cristiani che, se insistono nell’usare la Bibbia per giustificare la sovranità ebraica sull’odierna Palestina e su Israele, allora dovrebbero anche chiedere a Israele di invadere Giordania, Libano, Siria, Iraq, Arabia Saudita ed Egitto. Questo se vogliono essere coerenti, oppure, semplicemente, smettere di usare la Bibbia!

In tutta serietà, però, che cosa riflettevano questi confini? Secondo lo studioso ebreo Wazana, l’uso dei confini idrici nel Vicino Oriente antico aveva indicazioni significative:

La promessa che si riflette nei merismi spaziali non deve essere intesa in senso letterale, né deve essere tradotta e trasformata in linee di confine sulle mappe. È una promessa di dominio del mondo. I merismi spaziali nella terminologia della promessa riflettono una terra che non ha confini, ma solo frontiere in continua espansione; si riferiscono al dominio universale.[2]

Allo stesso modo, il teologo palestinese Yohanna Katanacho sostiene che “sembra che la terra di Abramo non avrà confini fissi. Continuerà a espandersi, aumentando così le sue dimensioni sia dal punto di vista territoriale che demografico. La terra di Abramo continuerà a estendersi fino a raggiungere l’estensione di tutta la terra”[3].

Inoltre, in molte profezie messianiche vediamo quella che possiamo definire la “Terra messianica”. Ad esempio, il Salmo 2:8 dichiara che Dio darà al Re le nazioni come sua eredità e le estremità della terra come suo possesso (Sal 2:8; si veda anche Sal 72:8, 11). Michea 5:4 dice che il sovrano di Betlemme “sarà grande fino agli estremi confini della terra” e Zaccaria 9:10 parla del Re che verrà dicendo che “il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume fino agli estremi confini della terra”. Infine, Isaia 54:2-4 parla chiaramente dell’espansione di Gerusalemme nell’eschaton.

In breve, la teologia della terra ha una dimensione universale. Non possiamo limitarci a parlare della teologia della terra, ma dobbiamo parlare invece della teologia della terra. La terra, secondo questa credenza biblica, è infatti tutta la terra. La teologia della terra è in definitiva la teologia della terra e questa, a sua volta, ci riporta alla creazione (Sal 24,1).

Non dobbiamo quindi stupirci quando leggiamo in Romani 4:13 che ad Abramo fu promesso che avrebbe ereditato “il mondo” (non solo la terra!). Né dobbiamo stupirci quando Gesù, prima della sua ascensione, ha dichiarato che a Lui è stata data tutta l’autorità “in cielo e in terra”.

Dio non si occupa solo di un piccolo pezzo di terra nel Vicino Oriente antico. Egli è il Dio di tutti i popoli e di tutte le terre. Canaan era solo la prima tappa, non la meta.

[1] Gen. 12:5; 17:8; 15:18-21; Es. 23:31; Num. 34:1-12; Deut. 1:7; 11:24; Gios. 1:3-4; Giud. 20:1; 1 Sam. 3:20; 2 Sam. 3:10; 17:11; 24:2, 15; 1 Kgs. 4:25m; 10:23-24.

[2] N. Wazana, 2003, Da Dan a Beer-Sheba e dal deserto al mare: Literal and Literary Images of the Promised Land in the Bible, in M.N. MacDonald (ed), Experiences of place, Harvard University Press, Cambridge, Mass, p. 71.

[3] Y. Katanacho, 2012, The Land of Christ, Bethlehem Bible College, Bethlehem, p. 80.

La narrativa dei testi sacri è molto ricca, a volte si sovrappone alle fedi altre dipinge paesaggi fiabeschi alternandoli con quelli infernali. Oggi per molti sembrano essere testi meno interessanti e infatti pochi sono i veri studiosi conoscitori delle sacre scritture in generale.

Uno di questi è proprio Munther Isaac, studioso, teologo di Betlemme, Luterano, capace di unire la storia e l’attualità come in questa breve intervista rilasciata al noto giornalista Tucker Carlson

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