Confinamento?

Cari politici le menti libere si incontrano più di prima…come a Ventotene

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di Paolo Genta

Smettiamo di usare compulsivamente questi orribili anglismi imposti dalle èlites e chiamiamo la situazione semplicemente per quella che è: confinamento. Siamo diventati, consapevoli o no, un popolo di confinati: tutti un po’ come in quell’isola di Ventotene, negli anni Trenta, che ospitava nei cameroni della colonia penale grandi uomini del calibro di Sandro Pertini, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi. Solo che questo, che alcuni commentatori di livello già chiamano “tecnicamente, una dittatura”, non è un autoritarismo in divisa e stivali: è un’autocrazia sanitaria, indotta attraverso manipolazione, esautorazione del parlamentarismo, governo di decreti, scientismo asservito, utilizzo di deterrenza militare e molto altro. Un autoritarismo, per rimanere su termini neutrali, che agisce su scala simbolica, mentale, addirittura psichiatrica e, conseguentemente, fisica, in quanto degrada anche il corpo, abbassando (sarà voluto?) le nostre difese immunitarie. Leggo dal sito dell’ANPI: “diversamente dal vecchio domicilio coatto, il confino non era una condanna stabilita dal potere giudiziario, ma una misura preventiva (di fatto governativa, NdR) volta a liberarsi degli oppositori politici senza ricorrere ad un processo e soprattutto senza l’esibizione delle prove (…). Il confinato poteva passeggiare in un percorso limitato, solo al centro del paese, senza superare il limite di confino (…), poteva passeggiare solo con un altro confinato. Aveva l’obbligo di rispettare gli orari di uscita ed entrata (…); non poteva avere nessun rapporto con gli isolani, non poteva entrare nei locali pubblici se non per il brevissimo tempo dello scambio commerciale, non poteva partecipare a riunioni o intrattenimenti pubblici”. Certo, a noi radio (e oggi televisione) non sono proibiti, anzi si fa di tutto per tenerci nello stato di catatonici servomeccanismi biologici di macchine digitali; disponiamo di carta e penna non timbrati dalla Direzione (ma i confinati di Ventotene, almeno, non avevano l’obbligo della mascherina), e possiamo, forse ancora per un po’, esprimere la nostra opinione. Un’opinione che, però, deve rimanere fuori dai limiti della “pericolosità sociale”, stabiliti tanto ufficiosamente quanto inderogabilmente ed arbitrariamente (pena la radiazione o la rimozione di contenuti) da un potere, di sfacciata matrice globalista, che ha paura del pensiero critico, ma ancora di più della enorme quantità di prove a sostegno. Prove che, anche se esibite, vengono comunque prontamente ignorate, smentite senza contraddittorio o semplicemente eliminate. Ora, sempre L’ANPI, ci fa notare anche che: ”i confinati però negli anni seppero organizzarsi in una serie di imprese comunitarie: spacci, botteghe, mense, biblioteche, perfino un’orchestrina che si esibiva la domenica”. Ed è precisamente quello che sta avvenendo, a dispetto di divieti reiterati e mutanti, intimidazioni, annunci nefasti, statistiche taroccate ad arte: la gente, almeno quella che è riuscita a tenere acceso il cervello, si sta stufando. Si sente nell’aria. Se anche il panettiere, il tecnico del Web, il pusher delle verdure, il macellaio e, desolatamente incazzati, i baristi, sono arrivati in qualche modo a prendere coscienza che qualcosa non va, allora significa che la farsa non è destinata a durare. La Cabala crollerà, perché niente che sia contro Natura, contro la vita e contro l’umano può autosostenersi a lungo. A Ventotene i confinati si erano velocemente organizzati, come noi italiani sappiamo fare nei momenti difficili (anche in campo di concentramento, ci insegnava Primo Levi). Si erano divise le mense dei confinati per appartenenza politica: i comunisti, i federalisti, i socialisti, gli anarchici, i giellisti di Giustizia e Libertà. Oggi le nuove “mense” sono le associazioni, i social media non allineati, la nuova informazione online autofinanziata, i commentatori paradossalmente (ma prevedibilmente) altrettanto, o più, professionali di quelli governativi. Sono le iniziative di queste “mense”, delle associazioni di giuristi ed avvocati, di medici e specialisti psicologi, che cominciano a causare le prime crepe nel sistema, gettando (opportunissima e costituzionalmente doverosa) sabbia negli ingranaggi della repressione sociale e della progettata depressione economica. “Mense”, quindi, diverse per appartenenza, ma solidali per obiettivo. E in crescita costante. E se a Ventotene i confinati avevano messo su una biblioteca ufficiale, fornitissima, e una parallela, clandestina, oggi le associazioni fanno lo stesso: ma le “biblioteche” di oggi, come in Farenheit 451 di Ray Bradbury (leggetelo, cari politici), sono indistruttibili, perché vivono nelle menti di uomini e donne coraggiosi e autorevoli, di grande esperienza professionale ed umiltà, il meglio del nostro Paese. Uomini e donne che stanno mettendo a disposizione della speranza competenze di altissimo livello, da far impallidire, se mai fosse stato loro concesso tempo e luogo, i soloni strapagati dal governo. Attorno alla biblioteca di Ventotene, ci racconta l’ANPI, erano nate riflessioni, studi, progetti, filosofie, cultura, discussioni, analisi, lezioni di Storia, di Economia, di Statistica, l’idea di Europa di Spinelli e Rossi (non di questa Europa, però, almeno sulla carta). Oggi accade lo stesso: sono aumentati i contatti, ancorché virtuali: ci si “incontra” più volte la settimana, in ambiti diversi di cooperazione, nelle sessioni dei meeting digitali. Si condividono progetti in parallelo e in serie, organizzando non tanto manifestazioni (onoriamo, rispettosamente, anche chi contribuisce così) ma – sull’esempio storico di Ventotene – corsi di autoistruzione, scambi di bibliografie, interviste sui social a esperti senza diritto di cittadinanza nel mainstream, progettazione di nuove iniziative giudiziarie, unità di pronto intervento in aiuto del cittadino, ministeri ombra, programmi economici “low cost” di alto profilo, studi geopolitici con finalità didattiche, più che filosofiche. A Ventotene c’erano specialisti e personaggi di livello, a cui ispirarsi per metodo e idee. Oggi le associazioni si stringono attorno agli eredi ideali di quelle menti: giuristi, economisti, medici, biologi, psicologi, avvocati, insegnanti e anche semplici cittadini competenti. Eredi che hanno il compito di ristabilire la democrazia e di allontanare più velocemente possibile lo spettro di un passato che sta ritornando più potente e più determinato che mai. A Ventotene i confinati erano sorvegliati rigidamente e, nei casi più segnalati, venivano anche quotidianamente pedinati: la censura concedeva pochi spazi di libertà. Eppure erano comunque stati in grado di mettere su una rete di messaggi clandestini, ben camuffati, e di canali informali, che utilizzavano persone insospettabili: i confinati, infatti, erano più colti dei fascisti. L’organizzazione funzionava così bene che si era quasi creato un governo-ombra, con ramificazioni all’estero, oltre che in Italia, che garantivano la ricezione delle direttive strategiche per l’azione di contrasto al regime. Oggi viviamo all’improvviso (per coloro che se ne accorgono solo ora) nel mondo del capitalismo della sorveglianza e dei vaccini RnA: un mondo a possibile trazione turbocentralista di matrice cinese; un mondo che non esita a eliminare fisicamente “whistleblowers” o fuoriusciti dal sistema mafioso delle multinazionali e che potrebbe presto avviarsi velocemente verso forme di repressione preventiva, nello stile della psicopolizia di 1984. In questo mondo, quasi un’anomalia di stati quantici di sovrapposizione temporale (che sembrano non collassare mai nell’unico universo libero dagli strapoteri, che molti desiderano), i gruppi di disobbedienza civile attiva vengono grossolanamente etichettati nei vari modi che tutti conosciamo e, con gran mala fede, associati al radicalismo di destra. Sembra non esserci speranza, anche perché, come ai tempi di Ventotene, troppi sono coloro che, per convinzione, convenienza o ignoranza, hanno nell’armadio Fez e divisa e nel portafoglio la tessera del PNF. Ma, come allora, anche oggi esiste una rete, anzi esistono reti di reti, di altre reti: tutto diventa prima o poi incancellabile in quanto continuamente trasferibile su altri server o su altre tecnologie, non sempre accessibili solo alle élites (i politici globalisti, così sicuri di un popolo distratto quando parlano, prendano nota e si preparino, specialmente se hanno ceduto alle lusinghe del MES). I cittadini che operano nelle associazioni non vivono ancora, per ora, in clandestinità e, nonostante tutte le difficoltà, operano attraverso continui contatti incrociati, casuali, ma che obbediscono a precise regole interne, come gli atomi di Democrito. Ci si conosce, collaborando digitalmente, con molte più persone che non prima del Covid e a portata di click: nascono solide amicizie, si scoprono forze insospettate e trasversali nel tessuto sociale. In questo modo si diffonde gradualmente non solo l’informazione in sè, ma anche la coscienza collettiva, le forme-pensiero che scaturiscono spontaneamente dalla risonanza tra umani che condividono e cooperano: forme naturali, a differenza di quelle provocate artificialmente attraverso la paura e l’intimidazione, in un continuo regime di induzione alla competizione. E’ questo il modo dei nuovi “confinati”, di essere più intelligentemente umani dei loro oppressori. E, come allora, le direttive, le consulenze, le sessioni, si diffondono anche a livello internazionale: non è, notoriamente, solo in gioco il nostro Paese, ancorché preso di mira per il suo ruolo geopolitico strategico e per la facile manipolabilità di una vasta parte della popolazione e dei suoi rappresentanti, semplici recettori e diffusori del neoliberismo sanitario. Quella che si sta giocando è, napoleonicamente, la battaglia delle nazioni: il Napoleone da battere a Lipsia nel 1813 è però, questa volta, il Deep State internazionale. E la nazione americana, tra tutte, è quella nella quale la contrapposizione tra Deep State e riconquista delle libertà civili assume i caratteri più inquietanti e drammatici, forse fino ad una guerra civile. Comunque, occorre ricordarlo, nell’Italia bellica a vincere non furono le maggioranze di podestà zelanti (li abbiamo ache ora), di federali, di delatori, di opportunisti, di piccoloborghesi in uniforme fascista, intenti a martoriare i loro nemici personali. A vincere fu un intero mondo di persone, una minoranza, che il Fascismo lo avevano capito fin dalla prima ora e che, uniti e sincronizzati, perseguirono con determinazione l’obiettivo, incoraggiando chi aspettava un’occasione per sollevarsi. Molti nostri rappresentanti, almeno quelli prigionieri del loro autoinganno, giacciono nella illusoria convinzione che la loro indifferenza, la loro ipocrisia, il tradimento del loro mandato, non aggiungano, in fondo, più di tanto ai mali del mondo. Ma, bontà loro, saranno prima o poi costretti a constatare che il Reset in arrivo, potrebbe non essere quello da loro accettato ed annunciato in modo martellante da eurocrati e banchieri. Potrebbe, invece, essere la fine del capitalismo tout-court e l’ingresso in un “mondo nuovo” o, piuttosto, in una nuova energia collettiva. E quel mondo nuovo potrebbe non essere affatto quello di Aldus Huxley, nè quello dei tecnocrati imposti alla politica, ma qualcosa di completamente diverso, di umano e di tollerante, anche se non utopisticamente perfetto. E poiché, come detto, la memoria delle cose dette e fatte rimane ormai incancellabile, nel bene e nel male, saranno costretti una volta tanto a decidere veramente da che parte stare e a mettere in conto le conseguenze necessariamente legate all’una o all’altra decisione. Perché, come ai tempi di Ventotene, quando una dittatura spacca la società, con un abissale spartiacque etico e ideologico, non è possibile stare nel mezzo ma solo scegliere. Noi onoriamo coloro che scelsero verità e libertà e che, morendo, ne pagarono il prezzo.

 

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