Crescita e debito: il risolvibile problema dell’Italia

Le raccomandazione impartite dalla U.E. sono state per l'Italia una disgrazia

di Marco Cattaneo

Dal fallimento della Lehman Brothers, l'Italia ha conseguito una serie di errori gravi nel'intento di fare crescere l'economia interna. Seguire le raccomandazioni della U.E. è stato il motivo principale del nostro fallimento

L’economia italiana è depressa da DODICI anni: a partire da quando, a fine 2008, il fallimento Lehman Brothers ha innescato la crisi finanziaria mondiale.

La disgrazia dell’Italia è stata, da allora ad oggi, aver fedelmente, anzi ossequiosamente eseguito le “raccomandazioni” impartite dalla UE. Sono state adottate politiche procicliche, imponendo austerità quando gli effetti della crisi Lehman non erano ancora stati superati.

L’obiettivo era ridurre il debito pubblico del paese, ritenuto troppo elevato. In realtà i fatti hanno dimostrato, e la teoria economica lo sta ormai riconoscendo, che il debito pubblico non è affatto un problema di per sé. Lo può diventare per un paese che si indebita in una moneta che non emette e che non gestisce, e che è troppo forte per i fondamentali della sua economia.

Quest’ultima è esattamente la situazione in cui si trova l’Italia a seguito dell’ingresso nell’euro, ed è il motivo per cui il nostro paese non avrebbe MAI dovuto entrare nella moneta unica.

Ma dato questo presupposto, cercare di ridurre il debito con politiche fiscali restrittive (tagli di spesa e aumenti di tasse) in periodi di economia depressa NON ottiene lo scopo. Distrugge invece produzione e occupazione, genera fallimenti aziendali, fa esplodere le insolvenze bancarie.

La contraddizione è evidente ma la UE rifiuta di riconoscerlo, e i governi italiani non hanno mai saputo contrastare questa visione. Di conseguenza ai colpi inferti dalla crisi mondiale 2008 sono seguiti quelli della crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona, e delle scellerate politiche restrittive adottate tra il 2011 e il 2013.

E oggi ci sono altissimi rischi di ripetere gli stessi errori in conseguenza del Covid. Attualmente in Italia si sta in qualche modo – in misura troppo limitata, e comunque più contenuta rispetto alla grandissima maggioranza degli altri paesi – contrastando il danno economico della crisi sanitaria con sussidi, rimborsi e slittamenti di imposte.

Ma questo è possibile solo grazie alla sospensione del Patto di Stabilità e Crescita, sospensione che è temporanea. Probabilmente il Patto rientrerà in vigore nel 2022. Ben prima che l’economia abbia pienamente recuperato l’”effetto Covid” – che, ricordo, si è sovrapposto a un contesto che era GIA’ PRIMA pesantemente depresso e sfibrato.

Si parla di riformare il Patto, ma proposte concrete, vicine non si dice a una fase attuativa ma quantomeno a una discussione costruttiva tra gli Stati membri dell’Eurozona, non ne esistono.

Dovrebbe essere prossimo all’avvio, invece, il Recovery Fund. Ma è una ciclopica, terribile ingenuità pensare che rappresenti una svolta espansiva e solidale della governance economica UE.

I numeroni buoni per fare titoli sui media, i 209 miliardi, sono una colossale partita di giro. Circa 120 sono debiti che sostituiranno emissioni di BTP, ma non finanzieranno alcuna spesa aggiuntiva. I residui 80-90, impropriamente definiti “a fondo perduto”, saranno al contrario compensati da nuove tasse e da maggiori contributi da pagare a Bruxelles.

Non è affatto certo che l’effetto netto totale sia espansivo. Se lo sarà, parliamo di poche decine di miliardi (20 ? forse qualcosa di più, forse anche meno) suddivisi su svariati anni.

In “compenso”, TUTTI i 209 miliardi potranno essere spesi solo previa approvazione UE. Con il rischio concreto di non riuscire a utilizzarli tutti, magari anche solo perché il prossimo governo risulterà “non troppo simpatico” agli organi decisionali dell’Unione Europea. Mentre, beninteso, le maggiori tasse e i maggiori contributi necessari a compensare il (cosiddetto) “fondo perduto” andranno pagati sempre e comunque, senza fiatare.

In altri termini, il Recovery Fund non è affatto un meccanismo per attuare politiche espansive. E’ uno schema concepito per introdurre ULTERIORI vincoli, controlli e burocrazia, e per legare ancora di più le mani ai futuri governi italiani.

Il quadro è estremamente fosco. Ma tutti questi problemi NON sono irrisolvibili. C’è UNA via d’uscita da questa catastrofica situazione. Immettere potere d’acquisto SUPPLEMENTARE nell’economia utilizzando strumenti finanziari che NON costituiscano debito da rimborsare in euro.

Questa è la logica del progetto Moneta Fiscale / Certificati di Compensazione Fiscale. Esistono disegni di legge in discussione a livello di commissioni parlamentari, presentati sia da esponenti della maggioranza di governo, che dall’opposizione.

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