Odessa 2 maggio 2014: una strage ad opera dei membri di Pravyj Sektor, Azov e nazionalisti ucraini

Continuare ad ignorare le responsabilità ucraine del massacro è complicità morale

Odessa 2 maggio 2014 massacro di 48 persone e centinaia di feriti per mano dei nazionalisti ucraini

Non c’è nemmeno una targa che commemori i morti, figuriamoci una statua o un pantheon. Solo un enorme, ineluttabile edificio che si erge come un mausoleo dell’ingiustizia. La grande, fredda e desolata spianata che lo circonda riflette perfettamente il silenzio e l’indifferenza verso i crimini commessi in questo luogo di Odessa. Era il 2 maggio 2014, e l’Ucraina era governata da due mesi e mezzo dalla giunta emersa dopo il colpo di stato denominato “Euromaidan”. La Crimea aspirava ad unirsi alla Federazione Russa, e le tensioni tra le sensibilità ucraine e russe che avrebbero portato allo scoppio dell’attuale guerra, stavano fermentando nel Donbass. Ma anche se Odessa, città cresciuta durante la Russia zarista, è sopravvissuta alla violenza scatenata da “Euromaidan” e le sue conseguenze in Crimea e nel Donbass sono relativamente inalterate. In quella primavera del 2014, Odessa sembrava essere quello che si era sempre detto che fosse: un luogo che – tranne sotto l’occupazione nazista – era riuscito a mantenere una certa identità cosmopolita dai tempi della sua fondazione ad opera anche di un napoletano*, dove greci, italiani, ucraini, russi, bulgari e turchi – insieme a molti altri popoli – vivevano insieme liberi da conflitti ideologici, religiosi ed etnici. Niente potrebbe essere più lontano da ciò che stava per accadere.

Le celebrazioni del 1° maggio 2014 (Festa del Lavoro) si sono svolte nella città di Odessa in modo pacifico. Prima c’è stata una manifestazione, con uno degli striscioni principali che recitava: “Il fascismo non prevarrà”. Questo fu seguito da un incontro pacifico tra le varie correnti di sinistra con un misto di bandiere russe, ucraine e comuniste (un contesto politico che non si è più verificato da quel giorno). Il giorno dopo, l’Odessa Chornomorest (squadra di calcio) giocò una partita in casa contro il Metalist Kharkov. Come la maggior parte delle squadre del campionato di calcio ucraino, i membri di entrambe le squadre sono nazionalisti e di estrema destra. Inoltre, all’epoca, quasi tutti i tifosi di calcio del paese avevano definito un manifesto in difesa dell'”integrità territoriale dell’Ucraina”.

Il piano dei nazionalisti e dei gruppi di estrema destra era di tenere una marcia attraverso la città prima dell’incontro di calcio del 2 maggio. Inevitabilmente sono scoppiati scontri tra i nazionalisti e la popolazione filorussa e di sinistra di Odessa. I primi scontri hanno avuto luogo nel centro di Odessa, quando gli oppositori di Euromaidan hanno incontrato i paramilitari del Settore Destro, (in ucraino Pravyj Sektor) il gruppo neonazista che aveva guidato le proteste a Kiev dal 2013. Ci furono feriti da entrambe le parti e un manifestante pro-Maidan perse la vita. Tuttavia, la forza d’urto di sinistra e filorussa era in assoluta minoranza rispetto agli ultranazionalista ucraini, in quei giorni ad Odessa erano arrivati anche nazionalisti da altre città dell’Ucraina.

 

Uno dopo l’altro, gli uomini di destra, armati di asce, elmetti e giubbotti antiproiettile, si sono fatti strada attraverso le vie Ekaterinenskaya, Rischelevskaya, Aleksandrovsky e Bunina, arrivando infine sulla passeggiata Kulinovo. Questa spianata vicino alla stazione ferroviaria principale è un luogo centrale ma un pò desolato, con una grande piazza e la Union House (casa dei Sindacati). Su questo spazio aperto e ai piedi dell’edificio, sono state raccolte firme per varie cause politiche della sinistra e della popolazione di lingua russa, tra cui il rilascio di diversi attivisti arrestati (il partito comunista è stato bandito dopo “Euromaidan”).

Quando i cittadini di sinistra e filorussi sono stati completamente accerchiati (alcuni di loro erano pensionati semplicemente seduti ai tavoli e nelle tende della piazza), hanno preferito rifugiarsi nella Casa dei Sindacati, non solo perché alcuni dei presenti vi lavoravano, ma anche perché è l’unico edificio di tutta la grande piazza. Durante l’attacco, i sindacalisti hanno eretto barricate all’ingresso e all’interno dell’edificio per impedire ai neonazisti di entrare e di raggiungere i piani superiori, dove hanno cercato di nascondersi. Dalle finestre superiori e dal tetto, hanno cercato invano di fermare l’assalto degli aggressori lanciando oggetti. Era così alto il numero di feriti tra gli oppressi, che è stato necessario improvvisare un ospedale da campo al primo piano dell’edificio con una cassetta di pronto soccorso trovata in un corridoio. Da lì, il massacro prese una velocità spaventosa con il lancio di bombe Molotov nell’edificio del sindacato. Il fuoco è iniziato ad espandersi.

Entro dieci minuti dalla vista delle prime fiamme, i vigili del fuoco hanno ricevuto numerose chiamate di aiuto. Molti di loro hanno riferito che le persone sono saltate fuori dalle finestre per evitare di cadere vittime del fuoco. I documenti mostrano che c’è stata una richiesta di aiuto ai vigili del fuoco, che è stata ignorata, non c’è stato alcun intervento. Quasi contemporaneamente a questa chiamata, la polizia antisommossa è arrivata, ma non ha reagito è stata ferma. Diversi video disponibili online, mostrano persone che vengono spinte e lanciate nel vuoto dalle finestre. Altre immagini mostrano una violenza indescrivibile. Si possono vedere persone che si gettano dalla finestra e vengono attaccate a terra con bastoni e armi da taglio. Infine, i sopravvissuti che non erano incoscienti venivano portati in un “corridoio” dove venivano picchiati ed in alcuni casi assassinate. Alla fine ci furono 46 morti e più di 200 feriti. È il più grande massacro, dalla fine della seconda guerra mondiale, subito da attivisti di sinistra in Europa.

 

Fino ad oggi, nessuno è stato assicurato alla giustizia o condannato per questi incidenti, nonostante la disponibilità di centinaia di testimonianze, una vasta presenza della polizia e numerose registrazioni video e fotografiche, le autorità di polizia ucraine non hanno mai aperto un’inchiesta. Inoltre, molti attivisti dell’estrema destra sono stati elogiati dal governo ucraino, mentre ogni sorta di teorie selvagge sono state fatte circolare, comprese alcune che la sinistra si sia data fuoco per causare una rivolta. Al contrario, coloro che hanno provato a raccontare, indagare su questi eventi, come il giornalista ucraino Anatoly Shary, è stato costretto a lasciare l’Ucraina, perché minacciato di morte.

È toccata una sorte peggiore ad altri noti investigatori, come Oles Busina, scrittore ucraino di kiev, assassinato dopo aver denunciato gli abusi delle autorità ucraine e aver promosso relazioni di buon vicinato con i cittadini russi. Come nel caso di Odessa, questo crimine è rimasto irrisolto, nonostante le prove che hanno portato all’arresto di due membri del gruppo neonazista C14 (le prove fotografiche e video ed altra documentazione, durante il processo, sono scomparse nei cassetti dei procuratori).

Otto anni dopo il massacro, tutto ciò che rimane ai piedi della Casa dei Sindacati è un pezzo di graffito che recita “Verso la morte” con cupo cinismo. Ad oggi, nessun cittadino e nemmeno le autorità hanno cercato di rimuoverlo.

*Approfondimento storico su Odessa

 

 

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