di Jacopo Brogi
Quanto vale una vita umana? Non in termini di costi standard e neppure secondo reddito o patrimonio. Quanto vale? Gli ultimi due anni e mezzo ce lo hanno dimostrato. Ecco qui delle storie tanto incredibili quanto terrificanti che svelano cos’è diventata la sanità italiana e quanto conta la Persona al cospetto del sistema Covid, così efficiente da essere spietato: un maledetto ossimoro, visto che la nostra “Salute prima di tutto” è il mantra con cui si governa. E, stando solo alle parole, è come dovrebbe essere: prima la salute. Anzi, intanto diamo la precedenza a chi, in merito, ha molto da raccontare.
Sia chiaro, i fatti che seguono non riflettono certo la totalità del corpo medico e l’intero arco dei professionisti del settore; spesso, il singolo fa quel che può e non ha alternative. Ma concerne il funzionamento di un Sistema Sanitario Nazionale che ormai si fonda su certe politiche, su certe procedure e “regole”. E anche su certi valori. Ogni epoca si conforma allo spirito del tempo, così come la volontà e la responsabilità individuale di gran parte degli uomini.
Sole, una giovane madre, così sceglie di narrare gli accadimenti interpretando il proprio compagno, recentemente scomparso:
Avevo 38 anni, mi chiamavo Francesco ed amavo la libertà. Sono nato nudo e libero e sono morto nudo e imprigionato. Sono uscito di casa il 24 aprile 2021 su una sedia a rotelle perché la vigile attesa si era rivelata un totale fallimento anche se ero giovane e non avevo patologie! Avevo la febbre a 40,6 e saturavo male, troppo male. Sono rimasto in pronto soccorso per 48 h: non c’erano posti letto. Avevo paura, ma ero coraggioso. Ce l’avrei fatta, sarei tornato a casa dalla mia compagna e soprattutto dai miei bambini che tanto ancora avevano bisogno di me. E poi ero giovane! Mi illudevo. L’unica terapia per me era l’ossigeno e la pronazione. Mi agitavo spesso. In quei momenti chiedevo a mia moglie di chiamarmi. Volevo vederla, volevo sentirla. Comunicavamo tramite gesti, lei sorrideva, e riusciva a far sorridere anche me. Lei mi calmava. Ero autonomo. Ero vigile. Non sono mai stato intubato, solo in cpap per 14 giorni consecutivi. Finché il 7 maggio 2021, alle ore 5:10 del mattino sono andato in arresto cardiaco e inutili sono stati i tentativi per rianimarmi. Il mio corpo è stato sigillato in un sacco, senza la possibilità per nessuno di vedermi. Nessuno ha toccato la mia pelle fredda, nessuno ha potuto dirmi addio, nessun urlo di disperazione da percepire, nessuna lacrima versata sul mio corpo. Così sono morto. E così, tra un gesto di forza e una maschera di ossigeno ho abbracciato gli ultimi giorni della mia vita: mi sono affievolito e agonizzante le mie funzioni vitali hanno ceduto il passo alla morte. Stavo lentamente scomparendo in una fredda stanza di ospedale e una volta libero avrei potuto finalmente andare, volare, RI-tornare ad amare. Vivere in una nuova forma: la mia anima. Non volevo morire. Non dovevo morire, non in questo modo!
Continua Sole: “Quella volta che uscì di casa accompagnato da sconosciuti bardati dalla testa ai piedi, mi illudevo di conoscere la destinazione: la salvezza. Ignoravo il traguardo: GAME OVER.”
Saviana ha perso sua madre di 69 anni, “senza capire il perchè”. E continua: “fu ricoverata per polmonite e lasciata su una lettiga del pronto soccorso per quattro giorni fino all’esito positivo del tampone, senza un cambio e soprattutto senza le misure di isolamento previste. Trasferita quindi allo Spallanzani di Roma, l’eccellenza – secondo i media – per le cure Covid; messa in una stanza, da sola, chiusa a chiave. Pian piano lo stato di salute migliorò, riusciva ad alzarsi. Le veniva lasciato il cibo fuori la porta, non fu mai lavata, mai ricevuta assistenza psicologica; era lei stessa a chiamare gli infermieri per farsi togliere la flebo e loro si presentavano anche dopo 3/4 ore. Passò le festività natalizie 2021 senza ricevere un sorriso, una voce amica che potesse alleviare la sua solitudine. La potevamo andare a trovare in giorni stabiliti con green pass e tampone, attraverso un vetro anti-sfondamento con le tendine abbassate (perché rotte) e il citofono non funzionante. In dieci giorni di ricovero non ricevemmo dal reparto alcuna telefonata di informazioni sul suo stato di salute, sulle terapie intraprese. Al decimo giorno decisi di chiamare, e parlai con il primario che mi comunicò che sì, mia mamma era stata ricoverata per la Covid ma dalla Tac e dall’esame istologico fatto tramite broncoscopia, le era stato diagnosticato un tumore al polmone. Addolorata, impaurita, preoccupata, mi feci forza e iniziai a mettermi alla ricerca di un oncologo per predisporre una terapia per il dopo dimissioni. Passò una settimana: esattamente il 31 dicembre ricevetti la chiamata dal primario che mi disse di comprare un busto perché le erano state trovate delle metastasi sulla colonna vertebrale. Attesi invano, per posta elettronica, una prescrizione medica che non sarebbe mai arrivata. Il lunedì successivo mi recai in visita da mia madre che si disse in attesa di ulteriore Tac con contrasto, prevista per quel pomeriggio alle ore 15; avuta la ricetta mi recai a comprare il busto (280 €) e lo consegnai alla portineria dell’ospedale. Tornata a casa, contattai mamma: stava ancora aspettando di fare l’esame radiologico. Le dissi di avvisarmi a Tac ultimata. Provai a chiamarla quella sera stessa, nessuna risposta. Riprovai ancora, niente. L’ agitazione iniziava a crescere, chiamai più volte l’infermeria per poterla andarla a trovare e finalmente alle 9,26, la mamma rispose: era in stato confusionale, mi disse di non sentirsi bene, di non aver voglia di parlare. Pensai che le avessero dato qualche calmante e che era semplicemente rimbambita per questo. La mattina seguente non ricevetti il suo solito sms giornaliero del buongiorno, ed ero molto spaventata. Mi chiamò il primario dicendomi che la paziente non poteva rispondere perché si trovava in stato di semi-coma a causa di una carenza di sodio; che avevano iniziato una terapia ed erano in attesa di un farmaco; ne approfittai per chiedere la sua cartella clinica in anticipo per poter consultare un oncologo del Gemelli, per evitare di perdere ulteriore tempo; il dottore senza esitazioni mi rispose: “Speriamo di fare in tempo ad iniziare una terapia!”. Alle 14:30 circa, venni richiamata dal primario: mia mamma si era aggravata, quindi aveva chiesto un consulto agli oncologi per poi decidere di non fare ulteriori interventi in quanto le aspettative di vita, a causa del tumore, non avrebbero superato i sei mesi. Non ebbi la forza, la prontezza di inveire contro un medico che di fronte ad una figlia non aveva dimostrato il minimo tatto, la minima empatia; e neppure aveva dimostrato di aver fatto il proprio dovere fino in fondo; chiuse la conversazione dicendomi che mi aveva chiamato per prepararmi e che mi avrebbe dato la sentenza definitiva entro un massimo di venti minuti. E così fu! Venti minuti esatti. Mia madre è andata via così, senza spiegazioni valide, come un numero, in solitudine, con tanti sogni ancora da realizzare. Chiusa in un sacco, senza vestiti e senza ricevere un ultimo saluto.”
Emiliana racconta invece la storia del padre, operato all’anca sinistra presso la struttura ospedaliera di Paola (CS) il 7 ottobre 2020: “successivamente è stato trasferito presso la U.O. di Mormanno ai fini della riabilitazione post-operatoria, dopo essere stato sottoposto a tampone molecolare con esito negativo, per poi essere dimesso – senza alcun test Covid – in data 6 novembre. Tornati a casa, risultava in buona salute, senza alcun problema apparente. Tre giorni dopo, venne contattato dal personale dell’U.O. di Mormanno: doveva sottoporsi ad un tampone vista la presenza, all’interno della struttura, di diversi pazienti positivi; riuscimmo a fargli effettuare il test in data 12 novembre presso un centro analisi di Castrovillari: esito positivo. Contattammo immediatamente il medico curante, che attivò subito i Protocolli di sicurezza. Il giorno dopo, l’uomo iniziò ad accusare una tosse persistente; su consiglio del dottore chiamammo il 118 che – giunto sul posto – valutò la situazione non preoccupante e non lasciò prescrizioni né cure da somministrare. Ma c’era qualcosa che non mi convinceva: contattando singolarmente diversi medici, fisioterapisti e personale dell’U.O., appresi dell’esistenza di un focolaio Covid risalente ai giorni in cui mio padre si trovava proprio lì. Pare che una dottoressa fosse risultata positiva e che avesse presumibilmente contagiato parte dei ricoverati. È evidente, quindi, come la cosa fosse nota e si sia provato a tenerla nascosta, il tutto a discapito di persone fragili, come mio padre, che non avrebbero quindi avuto né prevenzione, né cure adeguate. In data 19 novembre alle ore 2:30 circa, l’uomo lamentava fortissimi dolori e verso le ore 5:00 chiamammo il 118. Mentre aspettavamo l’ambulanza, si accasciò a terra senza dare segni di vita. Il mezzo arrivò alle ore 5:45 circa e, nonostante la gravità, i soccorritori consigliarono la possibilità di continuare la terapia a casa, ammonendoci che, in alternativa, se fosse stato ricoverato a Cosenza, lo avrebbero dovuto mettere, non in un normale reparto ma in una tensostruttura. Dopo un’accesa discussione con il medico, alle ore 6:30 circa, veniva portato via e trasferito al nosocomio del capoluogo. Ma, verso le 10, mi chiamò dicendomi che stava morendo di freddo e che ancora non era stato trasferito neanche all’interno. Allarmata, dopo diverse telefonate di protesta ed oltre due ore di attesa, l’anziano si ritrovò all’interno della tenda sita di fronte all’ospedale; e nel pomeriggio fini’ in reparto, in terapia sub-intensiva, dove si rendeva necessario il fissaggio di un casco per la ventilazione assistita. Nei giorni successivi, telefonai e videochiamai più volte mio padre, nonché le dottoresse di turno chiedendo costantemente informazioni; soltanto in data 22 novembre, l’operatore contattato mi disse che quella mattina il Sig. Greco si era aggravato e avevano dovuto intubarlo; in data 23 e 24 novembre, nonostante le ripetute chiamate, non ricevemmo mai risposta dai sanitari; in data 25 novembre, la sua situazione clinica era critica; la mattina del 1 dicembre, verso le ore 11:00, venni contattata e mi fu comunicato il decesso. Dagli effetti personali riconsegnati alla famiglia mancavano documento d’identità e codice fiscale, oltrechè la giacca indossata al momento del ricovero, mentre il telefonino risultava essere stato reimpostato e la scheda sim smagnetizzata. L’epilogo tragico di questa vicenda dimostra l’evidente responsabilità del personale nella diffusione della Covid 19. Infatti, il mio genitore è transitato sempre in strutture sanitarie pubbliche, dove avrebbe dovuto essere curato e messo al riparo dai contagi.”
Anche Luca ha vissuto un dramma familiare: “Vivo lontano dai miei, le folli regole del lockdown mi impedivano di spostarmi; poi le perdite economiche provocate dal confinamento. E così da gennaio 2020 a marzo 2021 non ci siamo mai visti. Quando mi decisi, presi il treno per Taranto, il primo di aprile. Ancora non ero giunto a destinazione, che mio padre mi avvisava di aver appena chiamato il 118: mia madre, a seguito di una scottatura ad una mano, avvenuta dieci giorni prima e poi troppo trascurata e quindi degenerata in una lieve infezione, sarebbe stata, di lì a poco, ricoverata. Il 10 aprile fummo informati che, da un tampone di controllo, la donna era risultata positiva, quindi isolata e incapsulata e, senza mangiare né bere, trasferita nell’apposito reparto, a Grottaglie. Ogni giorno potevamo parlare 5 minuti con un medico che ci diceva sempre le stesse cose e cioè che la situazione era stazionaria e che bisognava aspettare. Avanti così fino a quando ci fu detto che se il lunedì seguente fosse risultata negativa, sarebbe stata dimessa. La sera di quel venerdì, con una voce sempre più flebile, mamma mi disse: “ti voglio bene”. Sabato e domenica non rispose alle nostre chiamate, ci fecero sapere che era sonnolenta; la sera di lunedì 21 aprile, l’ennesimo medico anonimo mi chiamò: “Sua mamma non c’è più” ”.
Così è la vita, direbbero in molti. Una pagina che dolorosamente si chiude, mentre la ruota delle esistenze terrene gira incessante ed ingiusta. Eppure Sole, Saviana, Emiliana e Luca, assieme a tanti altri, hanno deciso riunirsi e di lottare insieme per chiedere verità e giustizia. Troppe cose che non tornano, troppe coincidenze comuni di atrocità umane, troppa burocrazia insensata. Troppo silenzio.
E può succedere che il profondo dolore si trasformi in azione, nel voler condividere ricordi intimi e tragici perché non accada mai più.
Perché se errare è umano, perseverare è diabolico e l’intero Sistema Sanitario Nazionale funziona ormai secondo regole e meccanismi che producono, giorno dopo giorno, solitudine, malasanità e morte.
E quindi, quanto vale oggi una vita umana?
Ecco da dove nasce il “Comitato Nazionale Familiari Vittime del Covid”: In memoria dei martiri di questa guerra asimmetrica e silenziosa. “Martiri perché hanno subito un trattamento disumano e noi con loro” (1). Dice il Manifesto associativo, e ancora:
Mano a mano che lo shock e il dolore per la perdita disumana si attenueranno e i familiari troveranno la forza di denunciare. Sì, denunciare, perché, a prescindere dalle cure somministrate, dai singoli casi, dalle patologie pregresse e dall’età dei nostri cari, c’è una questione centrale: il trattamento riservato a loro e a noi. Con l’emergenza e lo scudo penale avete cercato di mettervi al sicuro da ogni denuncia ma il giudizio divino non si interessa né di emergenza né di scudi penali! Noi, nel nostro piccolo, cercheremo di buttare giù quel muro di menzogne, omissioni, errori, abusi, vere e proprie angherie che tutti, a loro modo, hanno commesso (2)
La memoria degli affetti più cari, il senso di giustizia, il vero amore, sono molle potentissime che, una volta scattate, non si esauriscono mai. Ed è proprio Luca Merico il presidente del Comitato: grazie a lui abbiamo conosciuto la storia di sua mamma, ricoverata per una lieve infezione alla mano e mai più tornata. Ci sono anche Sole, Saviana e Emiliana.
- Sono passati ben oltre due anni dall’inizio dell’emergenza. Per ciò che avete vissuto, come giudicate attualmente la qualità del Servizio Sanitario Nazionale e com’è possibile che, purtroppo, casi analoghi a quelli dei vostri familiari tragicamente coinvolti, si stiano ripetendo in continuità risultando anche oggi giorno sempre più diffusi?
Luca: “La qualità del servizio sanitario nazionale è notevolmente peggiorata e ne abbiamo conferma anche dai rappresentanti sindacali di medici e infermieri con i quali interloquiamo. I pronto soccorso sono al collasso così come tutti gli altri reparti. Inoltre, il rapporto fiduciario tra medico e paziente, che è fondamentale nel percorso di cura, oramai è ai minimi storici e – molto spesso – la gente preferisce cure alternative o non curarsi affatto piuttosto che recarsi in ospedale.”
Saviana: “Ho sempre avuto fiducia nei medici, nella loro professionalità, nel loro impegno; purtroppo mi devo ricredere amaramente: dopo oltre due anni di Covid nulla è cambiato, è disumano e vergognoso. La Covid fa paura, ma fa più paura l’indifferenza: trattati come se non fossimo degli esseri umani. Si continua a morire ingiustamente, abbandonati al proprio destino. Bisogna gridarlo ad alta voce, affinché nessun altro debba più subire questi soprusi!”.
Sole: “Perché sono state negate le autopsie? Quali necessità c’erano di “sigillare” i corpi dentro dei sacchi? Qualcuno un giorno dovrà pur spiegare ai bambini rimasti senza padre, e non solo, perché il loro papà è salito su un’ambulanza e quel che restava del suo corpo ha fatto “ritorno” a casa, solo per un breve istante, su un carro funebre. In alcuni casi, manco su un carro funebre ma ritornava da te la polvere. “Polvere siamo e polvere ritorneremo”. Ed è quella polvere che ti fa perdere la ragione, fino al punto di non ritrovarla più. Perché la mente fa anche brutti scherzi e questo dolore troppo grande non lo puoi contenere all’interno di un cuore troppo fragile. I tentativi di suicidio sono la tua ombra e la tua mente diventa un’arma che imparerà a spararti contro, se via via non troverai un valido motivo per difenderti. Sono fatti di solitudine, i sorrisi sfoggiati nelle videochiamate e i baci mandati attraverso una maschera d’ossigeno. E’ questo, l’ultimo addio concesso ai malati di Covid, e non a tutti: la fascia più debole della società si macchia di una “colpa”, cioè di appartenere ad altri tempi e quindi di non essere in grado di utilizzare un modernissimo telefono intelligente, l’unico ponte capace di farti percepire l’amore incondizionato che hai lasciato fuori. Il modus operandi è sempre lo stesso: il paziente subisce una sorta di “rapimento “ da parte della struttura ospedaliera.”
- Addirittura un rapimento?
Sole: “Si, un rapimento: perché una volta entrato subisci un black out con ogni rapporto umano. Un blackout che però, nessuno ripristinerà. Gli unici contatti fisicamente e moralmente “vicini” saranno gli operatori sanitari, di cui a malapena riuscirai ad intravederne gli occhi. È così morirai, da solo e senza la possibilità di un ultimo addio. L‘amore, l’unica terapia negata in quei reparti. Una terapia che forse ti avrebbe salvato perché ti avrebbe curato l’anima e ti avrebbe fatto sentire meno solo.”
- “Malasanità”: esiste una qualche correlazione tra i protocolli ministeriali recanti la formula “Paracetamolo e vigile attesa” ancora in vigore per curare la Covid ed i tragici fatti che vi hanno coinvolto?
Luca: “La Covid ha semplicemente reso ancora più evidente qualcosa che già esisteva e che con i tagli alla sanità degli ultimi 25/30 anni era diventato ancora più grave. Quando i pronto soccorso sono stati presi d’assalto ed interi reparti dedicati alla cura del nuovo coronavirus, con le rianimazioni intasate, tutto è saltato. Si potrebbe parlare anche di morti indirette da Covid perché migliaia di persone non hanno potuto accedere a cure salvavita o a visite fondamentali che poi hanno condotto alla morte dei pazienti. Per quel che riguarda decreti ministeriali e protocolli, non vorremmo sbilanciarci troppo per non incorrere in denunce ma da quello che oramai sta pubblicando anche la stampa mainstream (Corriere Della Sera, Repubblica, Fatto Quotidiano), le cure c’erano, si conoscevano, funzionavano e costavano pochi euro. Ora quello che sarebbe da accertare, ed è per questo che chiediamo commissioni di inchiesta serie, è se tutto ciò sia avvenuto per incompetenza, incapacità, impreparazione, dolo, interessi economici (ricordiamo che i vaccini costavano molto di più degli antinfiammatori, che ormai sono stati clamorosamente riabilitati pubblicamente). La sensazione, purtroppo, è che il business abbia vinto sulla cura ed essendo oramai gli ospedali delle “aziende” si sia preferito l’utile. La famosa “formula” per ottenere profitto non dovrebbe essere applicata anche alla salute ma, a quanto pare, è così.”
Sole: “Il concetto di umanità non è applicabile nel contesto pandemico. Tanti sono i diritti sanciti nella carta del malato che vengono ignorati: il diritto alla sicurezza, su tutti. Quanti casi di contagio ospedaliero si potevano e dovevano essere evitati? Troppi! Poi il diritto a ricevere le cure mediche in tempi brevi e predeterminanti in relazione alla gravità del caso specifico: quante persone sono state abbandonate a sé stesse in vigile attesa? Vigile attesa che adesso si è rivelata essere la vigile morte. Vogliamo parlare poi del diritto al consenso informato? Come può un malato covid che versa in condizioni disastrose, sia fisiche che psicologiche, partecipare “attivamente “alla decisione in merito al suo stato di salute? I pazienti si fidano dei medici! Prima di qualsiasi trattamento, perché molti non sono stati avvisati? Quante persone sono state intubate senza ricevere il consenso da parte dei familiari? Non lo sapremo mai.”
- Milioni di pazienti, inclusi i vostri familiari, hanno subìto dei trattamenti medici standardizzati che ormai hanno palesato enormi limiti e anche causato tragici effetti. Siamo nel 2022: cosa pensate delle cure “alternative”, difformi dai protocolli ministeriali, che hanno dato grandi risultati ove applicate (cura col plasma dei guariti tra tutte) ma che ancora vengono istituzionalmente sconsigliate e ostacolate, mentre sono state accolte e utilizzate in altri Paesi, dagli Usa alla Russia?
Luca: “Generalmente cerchiamo, ufficialmente, come Comitato, di non entrare mai troppo nei discorsi “scientifici”, perché è stato detto tutto e il contrario di tutto. Certo, poi ci sono evidenze come quella del Prof. Galli che ha dichiarato candidamente di essersi curato con le monoclonali. Nell’audizione in commissione Covid in Veneto, le nostre delegate hanno posto proprio questa domanda, tra le 14 che hanno fatto, e cioè se ci sia stato un sottoutilizzo di cure che evidentemente funzionavano – e per le quali avevamo scorte – che non sono state utilizzate. Purtroppo, a distanza di tre mesi, non abbiamo ancora ricevuto risposta a riguardo. A costo di ripeterci potremmo dire che tra le alternative curare e vaccinare, sia stato fatto un “all-in” sul vaccino lasciando ospedali, Rsa e Rsd senza fondi e con protocolli inefficaci ai quali bisognava obbligatoriamente attenersi.”
- Dopo 25 anni di tagli alla Sanità, la Gestione Covid poteva essere l’occasione per rinnovare e potenziare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN): quali sono stati e quali sono, secondo la vostra associazione, gli effetti pratici e concreti delle politiche emergenziali adottate finora sul funzionamento complessivo del SSN?
Luca: “Sono stati effetti nulli, se ci riferiamo alla qualità dei servizi. Nella lettera aperta indirizzata ai candidati alle prossime elezioni politiche del 25 settembre, tra le istanze che abbiamo presentato, la più importante è quella di una riforma definitiva della sanità che metta al centro il paziente e la sua famiglia. Sarebbe l’unica soluzione, e potrebbe dare pure un significato diverso anche a delle morti senza senso. I nostri cari meritano molto di più di un patetico discorso del presidente della Repubblica e due alberi piantati in un parchetto a Bergamo. I nostri cari meritano una riforma sanitaria a loro dedicata e che gli vengano intitolate piazze, strade, mostre, statue. Loro sono eroi e martiri allo stesso tempo, sono gli eroi degli ultimi, degli invisibili.”
- “Comitato Familiari Vittime del Covid”, potete presentare la vostra associazione?
Luca: “Il nostro comitato nacque nell’autunno del 2021 dalla fusione di due diversi gruppi e di due immensi dolori: il mio (Luca Merico, presidente del comitato) e quello di Teresa Ottaiano (fondatrice). Dopo la morte di mia madre ho vegetato per almeno sei mesi: piangevo, non mangiavo, fumavo 70 sigarette, volevo solo morire ma anche leggere di tutto. Ne sono uscito grazie agli psicofarmaci e mi sono posto questa domanda: “Voglio impegnare la mia vita in una battaglia che mi ricorderà per sempre il dolore più grande della mia vita?”. Con mia madre, spesso parlavamo dei familiari delle vittime della strage di Bologna o di Ustica e ci chiedevamo se mai ci saremmo potuti rassegnare, messi di fronte ad ingiustizie di tale portata. Purtroppo, al tempo non trovai dei comitati che soddisfacessero la mia necessità di ricerca di verità e giustizia e allora misi in piedi un piccolo gruppo, finchè non incontrai Teresa, una donna napoletana che aveva perso appena il marito causa “sistema Covid”; una donna straordinaria, forte e determinata nella sua fragilità. Compresi subito che se volevamo avere una chance di riuscita avremmo dovuto unire le forze e quindi nacque il Comitato Nazionale Familiari Vittime del Covid. Così oggi abbiamo autorità giuridica, per contarci, per essere più forti. Non è stato, e non è facile gestire una struttura nazionale senza avere un partito o un’associazione già formata alle spalle, siamo veramente dei semplici cittadini che hanno subìto una grave ingiustizia e cercano di difendersi mettendosi insieme.
Il nostro Comitato si offre innanzitutto come punto di incontro fra persone che hanno subìto traumi e che soffrono per lo stesso dolore, un dolore e un trauma che nessuno capisce, spesso neanche le persone più vicine: fratello, sorella, marito, compagna [per chi volesse contattarci: comitatofamiliarivittimecovid@gmail.com]. Poi c’è la parte della lotta, della battaglia di civiltà che stiamo portando avanti e allora la domanda che facciamo a chi ci avvicina è: “hai denunciato l’accaduto?”. In caso di risposta negativa, cerchiamo di aiutare attraverso una rete solidale chi non ha i mezzi culturali o economici: trovare la soluzione migliore per farsi supportare psicologicamente e legalmente, perché la denuncia individuale è il primo mattoncino di una battaglia che non può essere solo giuridica dato che con l’emergenza e lo scudo penale, l’attuale esecutivo ha blindato gli ospedali anche legalmente. La battaglia che dobbiamo combattere è quella dell’egemonia culturale, cioè sostituire la retorica falsa e menzognera del governo con la cruda realtà; e poi c’è una lotta politica che va combattuta dal palazzo (abbiamo lasciato libertà di scelta: non appoggiamo nessuno alle prossime elezioni). Come diciamo nella nostra lettera aperta a tutti i partiti, vogliamo commissioni di inchiesta e vogliamo che le autorità giudiziarie vengano lasciate libere di indagare senza bastoni tra le ruote. Vanno accertate colpe individuali e collettive. E chi ha sbagliato deve pagare.”
- Che tipo di istanze intendete rivolgere alla politica e alle istituzioni e come state agendo per farvi ascoltare?
Luca: “Il primo atto del nuovo governo dovrebbe essere quello di istituire una commissione di inchiesta a 360° sulla gestione della pandemia. Una commissione di inchiesta che non sia chiusa nelle stanze dei palazzi ma che includa strutturalmente tecnici di specchiata onestà e senza conflitti di interessi con le case farmaceutiche. Tale commissione dovrebbe prevedere la presenza attiva (non semplici audizioni di pochi minuti) dei comitati dei familiari delle vittime, in quanto protagonisti, loro malgrado, di questa tragedia annunciata e mal gestita. Chiediamo inoltre che venga istituita una commissione tecnico-scientifica atta a verificare i danni derivanti da vaccino e long covid. Chiediamo inoltre, laddove sia necessario, un sostegno a quelle famiglie che, avendo perso la principale fonte di sussistenza (marito, genitore, moglie), si ritrovano ad affrontare, oltre al dolore atroce, anche problemi pratici di natura economica. Per finire, chiediamo la cosa che al momento abbiamo più a cuore, l’unica che ridarebbe un minimo di dignità ai nostri cari e che darebbe un senso alla loro morte. Ribadiamo, ancora una volta, l’esigenza di una urgente riforma della sanità pubblica che permetta a tutti di curarsi in sicurezza, avendo vicino i propri cari, in ambienti confortevoli, con personale sanitario che non sia costretto a fare l’eroe lavorando 15 ore, con il rischio (poi verificatosi) di andare in burnout o di sbagliare terapia determinando la morte del paziente. Inoltre, chiediamo l’abolizione della legge Gelli e l’imposizione di protocolli che riducono l’uomo ad una macchina costruita in serie. Ogni medico dovrà essere libero di applicare le cure adatte ad ogni singolo paziente in base alle specificità dello stesso. Basta promesse. Vogliamo che dal letame di questi tre anni nasca il fiore di una sanità a misura di paziente. Mai più i familiari dovranno essere separati dai propri cari ricoverati, mai più la gente dovrà morire sola e abbandonata in asettiche stanze di ospedale. Mai più.”
- “Verità e Giustizia”. Possiamo chiedervi un ricordo, anche personale, che può simboleggiare il vostro impegno e la vostra dedizione per questa causa collettiva?
Luca: “Ciò che più mi lega a questa causa collettiva è il ricordo di mia madre – timorata di ogni potente – che, un mese prima di morire, ancora in perfetta salute mi disse: “Ma lo sai che sono orgogliosa di tutte le battaglie che hai combattuto?!” (e che ho sempre perso).
Vorrei citare una canzone, En e Xanax di Samuele Bersani, in particolare questo passaggio: “se non ti spaventerai con le mie paure un giorno che mi dirai le tue troveremo il modo di rimuovere, in due si può lottare come due giganti contro ogni dolore e su di me puoi contare per una rivoluzione..”.
- Ci stiamo per salutare, cosa vi aspettate dal futuro?
Sole: Mi vengono in mente soltanto domande: quando davvero l’emergenza sarà passata, le brutte morti termineranno? Lo stesso concetto di pandemia può essere sottoposto ad esame? Possiamo dunque dire che la cattiva e pessima gestione della pandemia abbia fatto più morti del virus stesso? Le condizioni disumane che accompagnano la fine di una vita davvero dipendono dalla scarsità delle risorse? O sono da ricercare in radici più profonde e a noi sconosciute?
Ci hanno inculcato, fino al punto di averne paura, regole da rispettare, drastici cambiamenti e misure restrittive. E noi, da bravi cittadini abbiamo sempre eseguito. Un vademecum perfetto per la nostra sopravvivenza. Ma a distanza di quasi tre anni, cosa è cambiato?
Perché ai malati covid è imposto ancora lo stesso trattamento e la stessa procedura? Perché la regola è sempre la stessa? Ossia: si muore soli!
Cambierà qualcosa?
- PER APPROFONDIRE
Comitato Familiari Vittime del Covid – Email: comitatofamiliarivittimecovid@gmail.com
Telegram: https://t.me/comitatofamiliaricovid
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