La politica può avere ancora una speranza nell’era digitale?

La fuga nella disperazione digitale è il segno della sconfitta

L'era digitale e la politica

di Massimo Franceschini

Individualizzati dalla “cultura 2.0”, anche gli “antisistema” non riescono più a costruire vera politica, ma solo eventi, campagne che si perdono nel web, contenuti mediatici e “partiti” che sono appena comitati elettorali. Così il sistema ha già vinto, e le “emergenze” ne sono la clamorosa conferma.

Ormai da tempo mi spendo per una critica alle molteplici insufficienze che individuo nell’area di “opposizione” al pensiero unico dominante: mancanze non solo di ordine “ideologico”, ma anche di natura strategico-operativa. A mio parere, una realistica analisi del presente non può non ammettere come praticamente certa la vittoria di quello che chiamiamo “sistema” da un punto di vista politico, e della “tecnica” da un punto di vista filosofico e sociale. La nostra sconfitta è data dalla mancanza di un’opposizione coesa, consapevole, organizzata, intenzionata e capace a comunicare con la maggior parte della società civile, la cosiddetta maggioranza silenziosa, oggi come mai distratta, distorta e confusa. Oltre a ciò, il “sistema” da troppo tempo è avviato a ricostruire digitalmente la realtà, il pensiero sulla stessa e l’interfaccia sia fra gli uomini, sia con il “sistema” stesso, senza alcun serio controllo/ostacolo da parte del mondo della cultura, della politica e del diritto. Tale interfaccia è reso sempre più automatico nelle idee e nella prassi delle persone, inconsapevoli e/o incuranti della marea di trasformazioni, finzioni e negazioni sulle quali tale sistema si fonda, finzioni di ordine filosofico, informativo, giuridico e politico. Riguardo a quelle di ordine giuridico rimando all’ultimo lavoro di Ugo Mattei. Senza fare una trattazione sulla vastità di tali cambiamenti, che richiederebbe uno spazio e uno sforzo notevoli, provo a mostrarne la realtà per come oggi ci appare, confrontandola con quella di pochi anni fa. Fino all’avvento di internet e dei pc, per non parlare dei telefoni portatili, la realtà ci appariva assai più “realistica” di oggi, sia qualitativamente, sia quantitativamente: ciò che percepivamo era per la gran parte dovuto ai nostri sensi, alla nostra esperienza, alle nostre relazioni e alle conclusioni che tiravamo fuori dalla realtà e dal vissuto, da studi assai meno manipolati di oggi e dai racconti diretti o indiretti di esperienze altrui, spesso più mature. Il tempo dedicato alla percezione della realtà mediata dai media era percentualmente assai minoritario rispetto all’intero ciclo delle 24 ore. Da ragazzi si guardava svogliatamente il tg durante i pasti, per poi immergerci nel nostro mondo e nella vita vera. Con l’avvento di internet e degli strumenti tecnologici ad esso collegati, tale rapporto, si è in sostanza quasi capovolto, ma le problematiche non si fermano solo qui: – se un tempo dividevamo sostanzialmente il tempo non dedicato alle relazioni allo studio e agli svaghi/hobby, solitari o amicali che fossero, tale tempo oggi è assai preso dalla capacità di coinvolgimento immersivo nell’ambito virtual-mediatico; – la qualità culturale di quest’ultimo è sempre più scarsa, dato che molti di noi, a qualsiasi età, passano il tempo nella fruizione/partecipazione a contenuti di mero intrattenimento, di bassissima fattura: sostanzialmente, occupano il tempo in qualcosa di assai scarso coinvolgimento fisico, molto più emotivo, comunque di bassissimo contenuto culturale; passano il tempo in un modo che non riesce più ad immaginarsi altrimenti; – oltre alle comunicazioni, anche la progettazione, l’organizzazione, il pensare a qualcosa da fare o al “semplice” futuro, sono assai determinati dalla realtà mediatica e virtuale, in mille modi, modificando profondamente il nostro “vivere” tali esperienze. Torniamo quindi all’ambito della politica, per osservare come anche le sue vicissitudini culturali, comunicative e organizzative sono del tutto determinate dalla sfera mediatica: tutti gli schieramenti, senza eccezione, si rivelano ormai refrattari alla costruzione politica, progettuale, organizzativa e territoriale del loro essere, dimensioni invece assai curate dalla politica pre-era digitale. Ciò è più comprensibile per la politica mainstream, almeno nei suoi vertici, del tutto consapevoli che la partita nazionale è di sola distrazione/divisione dell’elettorato, mantenendo un certo grado di “creatività” per la sola feroce concorrenza poltronistico-mediatica fra i suoi esponenti: questo perché il nostro Paese è comunque incapace di vera politica, in quanto sostanzialmente occupato a partire dai trattati segreti post Seconda Guerra Mondiale, oltre al fatto di avere, questione assai più attuale, la presenza di un’agenda “superiore” determinata in ben altre sedi da quelle istituzionali, ormai svuotate di importanza. Assai meno comprensibile, risulta invece la palese “impossibilità” di costruzione politica nel fronte del cosiddetto “antisistema”. In mancanza di adeguati finanziamenti ed accessi al mainstream informativo e culturale, sarebbe la sua grande chance, evidentemente non sfruttata proprio contemporaneamente all’affermarsi della politica-spettacolo-mediatica. Possiamo constatare gli effetti di questa occupazione di ogni ambito umano da parte della tecnica, delle sue app e piattaforme social, anche quando l’area di opposizione prova a coinvolgere i territori formando una rete realmente fisica: tale operazione risulta completamente mediata dal digitale e dai social media, in una maniera così profonda da lasciare ad ogni contatto umano un sapore di “incompiuto”, di superficiale, persino “superfluo” ed “accessorio” alla successiva “definizione” e strutturazione mediatica, ormai necessaria ad essere riconoscibili e rintracciati in una realtà “aumentata” dalla dimensione virtuale. Questa sostanziale permeabilità della nostra vita alla dimensione digitale sembra contagiare ogni fascia di età, anche persone che hanno ben chiaro in mente cosa volesse dire un tempo “far politica”. Per quanto mi riguarda ciò è devastante: abbiamo tutti i mezzi culturali e organizzativi, abbiamo un popolo maggioritario da unire in maniera opportuna e intelligente, non abbiamo una politica adeguata, la necessaria volontà politica, l’imprescindibile strategia, la dovuta organizzazione. Siamo tutti in preda ad un continuo “movimentismo” mediatizzato, ad un fare-fare-fare “eventi” e contenuti mediatici sui quali chiedere “like”, ma sembriamo non capire di dover costruire un centro politico unitario autorevole, capace di affrontare ogni situazione sociale, di sistema, di movimento: un servizio alla politica, al Paese e allo Stato di diritto, che altrimenti nessuno farà per noi. Occorre un “prodotto politico”, unitario, inclusivo, moderno e coerente con i nostri valori universali, occorre una strategia di costruzione e di comunicazione politica e culturale, occorre un’organizzazione nuova e trasparente della politica, capace di ricostruire la comprensione della politica stessa, di come dovrebbe funzionare una democrazia rappresentativa e partecipata e di come da Costituzione dovrebbero funzionare le sue istituzioni. O capiamo velocemente che la tecnica va usata in maniera intelligente, senza che sostituisca volontà politica, costruzione e programmazione, o la fuga nella disperazione digitale sarà il segno della nostra triste sconfitta.

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