Sanzioni, deprivazione energetica, deindustrializzazione, recessione, austerity, MES, default… Quali soluzioni?

Fuori l’Italia dalla guerra

L'Italia fotografata da oltre 500km

di Francesco Cappello

Verso la recessione?
Le aziende dei paesi europei trasformano materie prime importate, in merci e servizi, grazie ad energia acquistata per la quasi totalità all’estero. Viviamo del valore aggiunto di tali trasformazioni.
Le sanzioni alla Russia stanno accelerando enormemente l’aumento dei costi di materie prime ed energia, iniziato già prima del conflitto, da quando, cioè, si è voluto sganciare il prezzo del gas da quello del petrolio, legandolo piuttosto al mercato della domanda e dell’offerta e alla sua commercializzazione borsistica rinunciando così ai contratti di lungo periodo che avevamo ottenuto – e di cui avevamo goduto – sulla scia della crisi petrolifera degli anni ’70. Quei contratti decennali, stipulati coi fornitori, avevano assicurato costi dell’energia bassi e stabili nel tempo, ideali per una programmazione di investimenti, miranti allo sviluppo economico a lungo termine; essi avevano contribuito non poco al successo economico dei paesi dell’Europa Occidentale.

Abbiamo visto e di conseguenza, cominciato a soffrire, di una grande volatilità dei prezzi dell’energia, a cui nessuno era abituato. Come è noto il costo del gas è cresciuto sino a 17 volte quello che si registrava nel 2019.
L’attuale fase di ribasso dei prezzi è dovuto al caro energia e al conseguente calo della domanda di gas (Secondo Eurostat, fra agosto e novembre il consumo di gas naturale nella Ue è calato del 20,1% rispetto allo stesso periodo fra il 2017 e il 2021), provocata a sua volta dal calo dei consumi e della domanda di energia proveniente dalle aziende che comprano gas all’ingrosso. Non è un buon segnale perché sintomatico del rallentamento patologico dell’economia. Sono molte le aziende che hanno rallentato la produzione, altre che rischiano fallimenti e chiusure, altre ancora che guardano alle delocalizzazioni quale strategia di sopravvivenza (molte imprese europee intendono delocalizzare negli USA. La Germania ha destinato 200 miliardi di euro per frenare la deindustrializzazione). La domanda è crollata, i prezzi dell’energia si sono abbassati ma a causa delle depressione economica in corso che minaccia di trasformarsi in aperta recessione. A spingere verso la recessione contribuisce l’innalzamento dei tassi perseguiti dalla BCE mentre il mercato finanziario dei titoli perde valore giorno dopo giorno.

È ormai visibile una progressiva diminuzione della produzione industriale mentre le famiglie hanno cominciato a consumare di meno. L’inflazione, infatti, erode il potere di acquisto di salari e stipendi non più protetti da scala mobile e adeguamenti al costo della vita come si diceva una volta. La Ue ha praticato le politiche sanzionatorie imposte dal vincolo atlantico sapendo che così facendo avrebbe incentivato il processo inflattivo già in atto, provocando deliberatamente una inflazione da costi dell’energia, violando così l’obiettivo principale, inscritto nei trattati europei, della stabilità dei prezzi intorno al 2% (4).

Attualmente i russi continuano, malgrado tutto (sanzioni, sabotaggio North Stream), a inviare tra il 7 e l’8% del gas naturale che tradizionalmente ci fornivano. Il problema si pone, però, per i prossimi anni. Già la prossima estate dovremmo riempire gli stoccaggi per il prossimo inverno. Quest’anno ce la stiamo cavando perché a fine agosto avevamo ricevuto sino a 65 miliardi di metri cubi di gas dalla federazione russa che ci ha permesso di fare il pieno ma l’anno prossimo e gli anni ancora successivi? Enormi incertezze anche rispetto alle promesse di aumento delle forniture a sostituzione di quelle russe dai paesi come Azerbaijan, Algeria, Qatar e ai tempi di costruzione della logistica legata al gas liquefatto. Nel medio periodo sino al 2027 se non cambiamo atteggiamento nei confronti della Russia avremo seri problemi di approviggionamento energetico. Siamo solo agli inizi di questa situazione che rischia di farsi sempre più critica nel corso del tempo.

Anche i prezzi delle materie prime importate sono lievitati a causa, tra gli altri motivi, di una strozzatura dell’offerta dovuta a problematiche logistiche della ripresa dei trasporti successivamente allo stallo degli anni pandemici.

Deindustrializzazione europea
Nel medio periodo, se anche riuscissimo a procurarci gas a sufficienza, avremmo un’enorme problema di prezzi di prezzi troppo alti.
I rapporti di partenariato commerciale tra Russia, Cina, India sono catalizzati dalle politiche sanzionatorie occidentali alla federazione russa. La Cina e l’India, in particolare, ricevono sempre più energia a buon mercato dalla Russia. Gli USA, inoltre, vendono gas alle loro imprese ad un prezzo cinque volte inferiore a quello a cui lo vendono all’Ue. Di conseguenza le nostre aziende perdono competitività rispetto all’Eurasia e agli Stati Uniti e alla Cina in particolare, dove la competizione non si fa più sul costo del lavoro.
Ed ecco il paradosso: il gas liquefatto esportato dalla Russia in Europa è aumentato da 12 a 18 miliardi di metri cubi. In pratica abbiamo sostituito gas doganale russo via gasdotto con gas naturale Russo liquefatto acquistato ad un prezzo maggiore! Anche Finlandia e Germania hanno avuto questa brillante idea. La federazione russa diventerà quest’anno il secondo maggior fornitore di gas liquefatto dell’Unione europea, dopo gli Stati Uniti che ne coprono il 43%; più del Qatar che fornisce all’Unione Europea il 13% del GNL importato a fronte del 17% fornito dalla Federazione Russa.

Le aziende, tramite IDE, delocalizzano le attività della catena del valore per agire direttamente nel mercato estero in modo da rendere recuperare la competitività perduta nel contesto nazionale.

Il sabotaggio USA dei North Stream sono stati un vero e proprio atto di guerra contro la Germania in particolare, e tutta l’Europa occidentale in generale.
‘Ricordiamo le recenti parole dell’ex cancelliere Merkel che fanno chiaramente riferimento alla Germania del suo successore Scholz che invece di puntare al dialogo con la Russia si è fatta trascinare nel gorgo delle sanzioni e dello scontro con la federazione russa: «Dobbiamo lavorare a un’architettura di sicurezza paneuropea con la partecipazione della Russia nel quadro dei principi del diritto internazionale. Fino a quando non riusciremo a raggiungere questo obiettivo, come è emerso dall’amara constatazione del 24 febbraio, la guerra fredda non avrà fine».
Il sole 24 ore ha pubblicato alla fine del mese scorso un’intervista a Tronchetti Provera, vicepresidente esecutivo e ‘ad’ di Pirelli, nel corso della quale il manager ha dichiarato: «Con la crisi energetica a rischio in Europa welfare e democrazia. Il primo problema è ovviamente quello delle bollette, dell’energia: stanno facendo perdere competitività alle aziende europee rispetto ai nostri competitor. Ormai è emergenza. È questione di settimane. Stiamo perdendo contratti. Se non c’è un’immediata reazione alla crisi energetica, se non predisponiamo tutti gli strumenti per evitare future tensioni, butteremo via quel che in Europa si è costruito negli ultimi decenni».
Già Carlo Messina, consigliere delegato e ceo di Intesa aveva avvertito: Senza il gas russo sarà recessione, a rischio fino a un milione di lavoratori.

Il destino del sistema bancario non può essere a lungo dissociato da quello dell’economia reale. Per evitare un futuro di desertificazione industriale che causeranno in misura crescente collocazione in cassa integrazione, licenziamenti e mancate assunzioni, dobbiamo andare rapidamente verso la fine delle ostilità con la Russia.

in milioni di euro

Peggioramento di conti con l’estero dovuto al disavanzo energetico
Nell’ultimo anno abbiamo accumulato un deficit della bilancia commerciale di circa 10 miliardi. L’anno ancora precedente vantavamo un surplus intorno a 70 miliardi di euro. Il costo dell’energia è, infatti, lievitato a causa delle sanzioni e del cambio del tipo di contratti per la fornitura energetica. Nel 2022 avevamo speso 140 miliardi di euro per le importazioni della materia prima energetica (il doppio di quello che abbiamo speso nel 2021 e 110 miliardi in più rispetto al 2020). In sintesi spendevamo 30 miliardi. Siamo arrivati a spenderne 140.
Come se non bastasse le aziende europee sono vincolate al mercato degli ETS (3) (l’European Union Emissions Trading System è il mercato delle emissioni di Co2 in Europa). I prezzi dei permessi per le quote di emissione di CO2 sono decuplicati nell’ultimo decennio (i prezzi aumentano a causa del taglio delle concessioni decisi dalla Ue); recentemente la Ue ha deciso un ulteriore taglio del 62% di questi permessi entro il 2030. Anche per questa via le grandi manifatture europee rischiano di andare fuori mercato a causa della perdita di competitività.
Nel frattempo su Le Figaro si osserva che: Il raddoppio delle capacità di importazione di GNL (gas naturale liquefatto) previsto in Europa per rispondere ai problemi di approvvigionamento di gas dopo la guerra in Ucraina, minaccia di far deragliare gli obiettivi climatici dell’UE, secondo l’ONG americana, Global Energy Monitor, in un rapporto pubblicato venerdì mentre rimane inascoltato l’allarme sulla rivoluzione verde lanciato da Confcooperative – la più estesa associazione d’imprese sociali: 17 mila per oltre 529 mila occupati e 81 miliardi di fatturato: “la svolta green mette a rischio 1,5 milioni di posti solo in Italia; con la transizione verde grave la situazione per 1,6 milioni di Pmi“.

In questo contesto l’Unione europea torna a chiedere politiche di austerity e ratifica MES. È la trappola che rischia di condurre al commissariamento del Paese. L’inflazione cresce. Non si demorde con le sanzioni mentre si insiste ad alimentare la guerra inviando armi e finanziamenti. La Bce sta accelerando verso la recessione economica?

BCE ed Ue generano problemi per poi imporci le loro “soluzioni” quali austerity e MES che non fanno che aggravare la patologia indotta. Lagarde preme per la ratifica del MES rifiutata dal governo Meloni ma fino a quando? L’innalzamento dei tassi deciso dalla BCE per affrontare l’inflazione come fosse originata da un surplus di domanda serve in realtà a sostenere l’euro anche rispetto al dollaro; l’effetto collaterale consiste nel peggiorare le cose provocando stagnazione economica (stagflazione). Allo stesso tempo diminuisce il programma di acquisto dei titoli di stato della BCE. Si apre così alla ristrutturazione del debito (default del debito), pensando ad un suo presunto fallimento controllato grazie al MES, il fondo salva-stati (vedi il mio MESsi in trappola).
Una volta ratificato diverrebbe peraltro inevitabile il meccanismo delle profezie autoavveranti: gli investitori privati comincerebbero a disfarsi dei titoli (negli ultimi 14 mesi sono già stati venduti titoli per un valore di 130 miliardi), in seguito all’annuncio della BCE di voler porre fine al QE e attuare il QT Quantitative Tightening. Va tenuto presente che nei prossimi due anni dovremo rinnovare 500 miliardi di titoli di debito pubblico in scadenza. Tra l’altro è il caso di far notare come il governo Draghi, colpevolmente, non abbia voluto approfittare del momento in cui i tassi erano favorevoli e i titoli italiani erano molto richiesti. Ne ha inspiegabilmente limitato l’emissione.
L’aumento dei tassi, oltre a mettere in difficoltà famiglie (costi finanziari dei mutui) e imprese fa lievitare i costi di rinnovo e finanziamento del debito pubblico (servizio al debito intorno a 50/60 miliardi l’anno).
Il rapporto debito/pil è così destinato ad aumentare ulteriormente. Esso non lievita a causa della spesa pubblica fuori controllo come si vorrebbe lasciare intendere. Negli ultimi 30 anni abbiamo, piuttosto, realizzato 27 avanzi primari; 1000 miliardi complessivi dal 92 ad oggi, tutti sacrificati al pagamento degli interessi sul debito.
Per valutare la sostenibilità del debito conterebbe piuttosto la crescita del PIL (non a caso siamo in un regime di crescita coatta). Ma nel frattempo l’Ue, accanto alle tradizionali limitazioni sul disavanzo, sta ora impedendo, tramite sanzioni alla Russia, l’approviggionamento energetico a basso costo che rischia di portarci a ulteriore rallentamento della crescita del PIL, in prossimità zona recessione. Oltretutto il vincolo europeo non permette investimenti pubblici né spesa in disavanzo in termini di scostamenti di bilancio che favorirebbero la crescita. In definitiva il rapporto deb/pil esplode per la doppia ragione che aumenta il debito e diminuisce il pil.
È noto, infatti, che se il tasso di finanziamento del debito (il tasso di interesse o costo del denaro) supera la crescita del pil la sostenibilità di questo sistema basato sul finanziamento dello Stato tramite titoli venduti sui mercati finanziari viene a mancare. In più, si misura una fuga di capitali rilevata dal saldo target 2 dell’eurozona il quale registra i flussi di denaro in entrata ed in uscita tra le banche centrali nazionali dell’eurozona. 700 mld di euro hanno già lasciato l’Italia (200 nell’ultimo periodo).

Da quando abbiamo rinunciato alla moneta nazionale rinunciando ad esercitare la sovranità monetaria rinunciando progressivamente a quella più generalmente politica, siamo costretti a finanziarci ricorrendo sempre più ai mercati finanziari globali, indebitandoci con soggetti non residenti. Un contributo importante alla sostenibilità del debito con l’estero è perciò fornito dalle esportazioni cui siamo costretti a puntare per recuperare quella valuta internazionale in grado di garantire un sufficiente equilibrio economico nei nostri conti con l’estero. Per far crescere l’export, nel regime di cambi fissi (2) cui ci costringe l’adesione all’eurozona, siamo però costretti ad abbassare e tener bassi i salari (deflazione salariale) in modo da abbassare i costi di produzione del nostro export tenendo basso il costo del lavoro. Bassi salari e stipendi insieme ad un attacco generalizzato ai diritti dei lavoratori hanno permesso di tenere basso il listino prezzi di quei prodotti proposti sui mercati esteri. Allo scopo è stata necessaria e complementare una più generale svalutazione interna attraverso una costante politica di demonizzazione della spesa pubblica corrente ed in disavanzo che ha però mortificato costantemente la domanda interna con gravi conseguenze sul piano dello sviluppo del Paese oltre che sull’abbattimento progressivo dello stato sociale (taglio progressivo degli investimenti nei servizi pubblici e conseguente loro degrado; 40mld tolti alla sanità in posti letto, ospedali e personale sanitario). Solo in questo modo siamo riusciti, sottostando al vincolo europeo a tenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti (saldo tra importazioni ed esportazioni). Malgrado le condizioni avverse eravamo sin qui riusciti a registrare, come discusso prima, un sorprendente surplus che ammonava a 70 miliardi di euro. Riusciremo nelle nuove condizioni di alti costi dell’energia e delle materie prime a mantenere un relativo equilibrio macroeconomico?

Servirebbero
La fine del regime sanzionatorio alla Russia e un ruolo di protagonismo diplomatico del nostro Paese che inviasse negoziatori di pace piuttosto che armi e finanziamento e quindi prolungamento della guerra;

la applicazione del Piano di Salvezza Nazionale (5) che propone strumenti di finanziamento non a debito:
1) Emissione di titoli di Stato a breve termine, garantiti e riservati esclusivamente al risparmio di operatori nazionali;
2) Emissione diretta da parte del MEF di biglietti di stato (o statonote), anche in versione elettronica;
3) Le istituzioni finanziarie pubbliche (Medio Credito Centrale, Cassa Depositi e Prestiti ecc.) vengono ampiamente ricapitalizzate e messe a rapporto diretto e stringente con il Governo per tutelare strutturalmente il risparmio pubblico e creare investimenti;
4) La trasferibilità di qualsiasi agevolazione fiscale (credito, detrazione, sconto, compensazione) tra tutti i soggetti giuridici residenti;
5) I Conti di Risparmio (CdR) pubblici, volontari e con somme trasferibili su piattaforma elettronica presso il MEF, aperti a tutti i residenti.

La piena valorizzazione della Rete di mutuo credito collaborativo MONETHICA, un sistema generativo non estrattivo di valore, che è già una realtà praticabile. Essa usa moneta funzionale, ulteriore riaffermazione del genio italiano in campo finanziario. Vedi qui.

Una strategia, dal basso, secondo la proposta già praticabile delle filiere virtuose, miranti alla costruzione di comunità energetiche in grado di trasformare il normale cittadino consumatore in produttore e consumatore (prosumer) di materie prime (non più rifiuti ma beni di scarto) anche energetiche, in un contesto relazionale che includa micro e piccole imprese, in grado di attivare una economia circolare dal basso ( vedi il mio: https://www.francescocappello.com/2022/02/21/rifiuti-zero-no-grazie-meglio-filiere-virtuose/).

Ci avevano spiegato che l’Unione europea avrebbe messo a tacere i nazionalismi rei di aver causato i grandi conflitti mondiali (in realtà si è sempre trattato di imperi e della loro eredità) mentre lasciavano prevalere una Unione Europea che, serva della volontà di dominio angloamericano, è diventata una accozzaglia di Paesi guerrafondai, collaborazionisti del militarismo più estremo, incapaci ormai anche solo di immaginare un ruolo negoziale; degradati ad una suicida quanto stupida tifoseria di parte contro ogni autentica cultura di Pace in grado di collaborare alla massimizzazione del Bene di tutti.

Per fortuna, seppure ancora troppo timidamente, registriamo una serie di dichiarazioni nella giusta direzioni:
Macron ha parlato di garanzie di sicurezza per la Russia in un futuro processo di pace;
secondo il presidente finlandese Niinisto la Russia e la Finlandia dovrebbero continuare a cooperare perché i Paesi condividono un lungo confine;
e il presidente tedesco Scholz sembra preoccuparsi di non lasciare che il filo dei negoziati con la Russia si spezzi.

Gas, Russia pronta a riaprire il gasdotto Yamal per rifornire l’Europa
A tutti sembra tendere la mano il vice primo ministro russo Alexander Novak dall’agenzia di stampa statale russa Tass: “Possiamo dire con certezza che c’è richiesta del nostro gas da parte dei consumatori europei”
La Russia è pronta a riprendere le forniture di gas all’Europa attraverso il gasdotto Yamal-Europe “Il mercato europeo rimane rilevante, poiché la carenza di gas persiste e abbiamo tutte le opportunità per riprendere le forniture.
Novak ha esplicitato che Mosca sta pensando a forniture di gas all’Europa occidentale attraverso la Turchia attraverso la creazione di un hub turco.

Il mondo è ormai diviso di fatto tra un blocco euroasiatico e un blocco atlantico-occidentale che non possono continuare a farsi una guerra che rischia di degenerare in confronto nucleare. Il vincolo esterno europeo sommato a quello atlantico stanno “bombardando” economicamente l’Europa. Se necessario bisogna partire da uno scontro tra il blocco anglosassone della NATO con quello continentale europeo.

Nel nostro Paese tutti noi possiamo fare qualcosa di importante nella giusta direzione partecipando attivamente alla Campagna Fuori l’Italia dalla guerra. Più di ventimila persone hanno già deciso di partecipare, la metà di loro motivando la loro scelta. Si tratta di un invito ad costruire ed attivare una mobilitazione trasversale di cittadini che mettano in moto tutta la propria creatività in azioni efficaci perché il nostro Paese esca fuori dalla guerra e operi attivamente per il ripristino delle condizioni della Pace e della Vita.

(1) Secondo Bloomberg alla fine di dicembre le esportazioni di greggio russo via mare verso l’Asia hanno superato i 3 milioni di barili al giorno. La Russia ha superato l’Arabia Saudita quale fornitore di greggio della Cina (> 2 milioni di barili di greggio al giorno). L’India terzo importatore di greggio al mondo (4 milioni e 250 mila nel 2021) 5 milioni nel 2022. L’India a gennaio 2022 importava solo 66 mila barili al giorno dalla Russia che ora sono arrivati a quasi un milione di barili al giorno. L’Asia (Cina e India in particolare) sono i nuovi mercati di sbocco della Russia.

(2) Un regime di cambi liberi di fluttuare è fisiologico all’equilibrio dinamico della bilancia commerciale e dei pagamenti. Uno squilibrio della bilancia degli scambi con l’estero retroagisce sul valore della moneta nazionale facendole acquistare valore nel caso di un surplus (si esporta più di quanto si importi) incoraggiando di conseguenza le importazioni e (con una moneta rivalutata si compra di più a parità di spesa) e scoraggiando ulteriori incrementi delle esportazioni (il listino prezzo dei nostri prodotti cresce rendendoci, a parità di qualità, meno competitivi) viceversa nel caso in cui si registrasse un deficit, in quest’ultimo caso la moneta nazionale si svaluta scoraggiando gli acquisti all’estero mentre diventa più agevole piazzare i nostri prodotti (a maggior ragione se di qualità) all’estero. Una moneta svalutata rispetto alle altre valute nazionali consente infatti di avere un listino prezzi dei prodotti nazionali assai competitivo.

(3) EU ETS (European Union Emissions Trading Scheme) ed è stato avviato nel 2005, in seguito all’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto.

(4) Il fatto che l’inflazione eroda i capitali non fa piacere ai loro ricchi e ricchissimi detentori. La BCE fa di tutto per frenarla, nel modo più sbagliato, alzando i tassi, ossia per l’appunto, valorizzando i patrimoni finanziari, anche a costo di una stagnazione/recessione che potrebbe rivelarsi fatale per imprese e lavoro.

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