La dimensione europea

L’Europa occidentale (Michel Crozier)

Nella nuova dimensione internazionale europea, tutti i problemi visti fin qui si sono moltiplicati con l’effetto di rendere già superato lo Stato nazionale europeo. Sarebbe invece possibile ipotizzare una Federazione Europea con strutture locali e regionali molto decentrate, scaricando così il sovrappeso burocratico del vertice e riducendo la necessità di intermediazione interna tra Stati, con il vantaggio che le singole autonomie potrebbero contenere l’estraniazione dei cittadini. Invece gli sforzi di unificazione fin qui fatti, hanno avuto paradossalmente la tendenza a rafforzare gli apparati burocratici nazionali, rinvigorendoli come centri nevralgici tradizionali degli affari europei. Così ci si trova di fronte all’assurdità che i problemi dell’Europa occidentale hanno carattere sempre più europeo, mentre la possibilità di affrontarli risiede in strumenti istituzionali di carattere burocratico-nazionale, quindi sempre più inadeguati. In questo modo i singoli Stati tendono a rafforzare la loro singola influenza sul sistema europeo complessivo. (N.d.R.: si veda la politica europea di Francia e Germania soprattutto in questi ultimi anni).

Se da un lato il coinvolgimento dei cittadini non poteva essere efficace, dall’altro nell’Europa occidentale si è realizzata la personificazione del potere sia nell’ambito nazionale che in quello internazionale, confidando di poter superare gli scogli burocratici e incoraggiare l’identificazione dei cittadini. I risultati però sono stati sempre deludenti. I leader diventano prigionieri della propria immagine e sono anche troppo vulnerabili per agire. Appaiano così più personaggi da public relations, con un vuoto di credibilità, con l’effetto di creare una maggiore incomprensione tra i cittadini e il loro sistema decisionale.

Non si deve, tuttavia, esagerare sulla generale tendenza all’irresponsabilità e all’impotenza dei singoli Stati europei. Pur nell’ambito della loro ridotta capacità di affrontare i problemi citati, gli stati membri presentano molte zone nelle quali i risultati del governo sono soddisfacenti. Le società europee sono ad alto livello di civiltà, i loro cittadini sono ben difesi e il benessere e le possibilità di divertimento sono stati non solo mantenuti, ma anche estesi ad un grandissimo numero di persone. Inoltre in Europa il disordine sociale e il crimine sono minori che negli Stati Uniti.

Tuttavia, la capacità di azione e di risposta dei governi, alle sfide poste dai cittadini, si sono indebolite in un numero sempre maggiore di settori come l’istruzione secondaria e le università, le amministrazioni delle metropoli, l’utilizzazione dei suoli e il rinnovamento urbano.

In molti paesi, questo indebolimento di capacità comincia a prevalere anche nella contrattazione tra i gruppi, nella redistribuzione del reddito e nel trattamento dell’inflazione.

Cause sociali, economiche e culturali.

I sistemi democratici sono diventati molto più complessi e il sistema sociale molto più composito e tortuoso. La sua organizzazione è divenuta un problema cruciale che suscita la questione del controllo sociale sull’individuo. In Europa lo Stato e le istituzioni gerarchiche, comprese quelle religiose, sono state liberate dall’assolutismo; purtuttavia persiste ancora una forte contraddizione di fondo. I cittadini avanzano pretese e sollecitano un’azione più decisa delle autorità statali per risolvere i problemi, questo però implica un maggiore controllo sociale. Nello stesso tempo respingono ogni tipo di controllo sociale che richieda una gerarchia che, come conseguenza dei regimi passati, hanno imparato a scartare e a rigettare. il problema è più esasperante in Europa, dove la disciplina sociale non è così condivisa come invece lo è in Giappone. In Europa inoltre non si sono sviluppate forme indirette di controllo sociale come invece è avvenuto nel Nord America. Per questo i paesi europei devono affrontare problemi più difficili e questo riguarda soprattutto la Gran Bretagna, l’Italia e la Francia.  Anche la Germania, sia pure in misura minore, subisce lo stesso genere di tensioni.

N.d.R.1: Edward Alsworth Ross  (1866 – 1951) è stato un sociologo e genetista statunitense. Fu lui a coniare per la prima volta nel 1896 il termine “controllo sociale”. individuò ventitré tipi di controllo sociale classificabili in due grandi gruppi, a seconda che venisse esercitato un controllo esterno oppure un controllo in termini di persuasione. Nel primo tipo troviamo le chiese ed il diritto; nel secondo tipo l’opinione pubblica e l’educazione.

Il controllo sociale riguarda i comportamenti devianti. Sono ritenuti tali quando descrivono un comportamento che si discosta dalle aspettative di normalità collaudate da una data società. L’atto deviante produce una reazione che testimonia il bisogno insopprimibile di controllo sociale che qualsiasi organizzazione sociale ha sempre dimostrato in ogni tempo ed in ogni luogo.

N.d.R.2: È difficile delineare ciò che è normale e ciò che non lo è. Statisticamente non è normale tutto ciò che si trova nelle due code della curva di Gauss, al di là degli scarti quadratici medi. È come dire che non è normale ciò che è raro. In effetti però, dal punto di vista sociale, un evento raro può essere giudicato normalissimo. Questo perché la società considera normale ciò che ritiene giusto, adeguato, omologabile, attraverso un complesso processo storico e culturale intersoggettivo che definisce una sorta di coscienza sociale.

Interviene, in ogni caso, la concezione soggettiva della normalità. Per ognuno di noi la normalità è ritenuta tale dal nostro giudizio personale che valuta se stesso come standard di riferimento. Quante volte ci è capitato di considerare strano qualcuno solo perché i suoi comportamenti, i suoi modi e le sue abitudini si discostano totalmente da noi facendolo apparire quasi come un disadattato ai nostri occhi. È evidente che la normalità è frutto di tanti fattori complessi di analisi, la cultura, la società, compresi noi stessi. Siamo un metro di osservazione attraverso cui filtriamo ogni cosa che ci circonda e tendiamo a incasellarla.

N.d.R.3: Émile Durkheim (1858 – 1917sociologoantropologo e storico francese) sostenne che i fatti sociali sono modi di agire, di pensare e di sentire esterni all’individuo, che sono dotati di un potere di coercizione in virtù del quale si impongono su di lui. Dato che ogni scostamento dalla “normalità” induce e legittima il controllo sociale, la classe dirigente di una società ritiene pertanto lecito intervenire sui comportamenti giudicati anomali.  È chiaro che applicherà i criteri di giudizio sui caratteri della “normalità”  dell’élite da cui dipende. Ne segue che, a lungo andare, l’azione coercitiva sull’individuo, connaturata nei fatti sociali, finisce per conformare anche il suo modo di pensare, di compiere le sue azioni, di produrre le sue emozioni e di manifestarle.  Su questo concordano i pareri di molti studiosi.

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