Strage di palestinesi e storie non raccontate

Oltre 60 i palestinesi uccisi dall’inizio del 2023

Una veduta aerea di un cortile dove sono state incendiate, dai coloni israeliani, auto e alcuni appartamenti, nella città palestinese di Huwara, vicino a Nablus foto Ronaldo Schemidt/AFP

di Michele Giorgio,

«Questo è mio padre, mio padre». Elias Al Ashqar ha ripetuto più volte queste parole dopo che i suoi colleghi all’ospedale avevano girato il corpo senza vita di un uomo colpito da un proiettile durante la sanguinosa operazione di esercito e polizia di Israele due giorni a Nablus. Quindi è crollato in un pianto disperato. Al Ashqar, infermiere del pronto soccorso dell’ospedale Al Najah, il più attrezzato della città, aveva terminato il suo turno da qualche ora. All’improvviso è stato richiamato d’urgenza assieme all’amico e collega Ahmed Aswad per l’afflusso, in meno di due ore, di decine delle 102 di persone ferite da proiettili durante il raid israeliano che ha ucciso 11 palestinesi. Ad un certo punto sono arrivati cinque feriti. Tra questi un uomo di 61 anni giunto in condizioni critiche: un proiettile lo aveva centrato in pieno petto mentre era in strada. Elias ha provato a rianimarlo, senza guardarlo in faccia. I suoi tentativi sono stati inutili, come quelli di un chirurgo. Il ferito è stato dichiarato morto poco dopo. In quel momento Elias lo ha guardato e ha esclamato: «Questo è mio padre!». Il suo collega Ahmed Aswad, mostrandogli la carta d’identità del deceduto, gli ha chiesto «Vuoi dire che questa persona è tuo padre?». Elias con la disperazione scolpita sul volto ha risposto «Si chiama Abdel Hadi Al Ashqar ed è mio padre».

Un video suoi social mostra alcuni momenti del dolore provato da Elias. Ieri i media palestinesi raccontavano la storia dell’infermiere che ha tentato invano di rianimare un ferito scoprendo poi che si trattava del padre che aveva salutato appena qualche ora prima a casa. Come quella di un altro infermiere, Mohammad Baara, impiegato sulle ambulanze della Mezzaluna Rossa che per prime giungono sui luoghi degli scontri esponendosi a rischi enormi per portare soccorso ai feriti. Nell’ospedale dove aveva trasportato due feriti, Baara ha scorto tra gli uccisi il corpo dello zio Adnan, 71 anni.

Storie che restano confinate nei Territori occupati. I palestinesi uccisi durante i raid dell’esercito israeliano nelle città della Cisgiordania, anche quando sono civili innocenti, pesano poco per la stampa internazionale. Non fanno notizia. Un tempo almeno sarebbero stati definiti «danni collaterali». Oggi neppure quello. Sono solo numeri che indicano una tendenza che dall’inizio dell’anno punta sempre verso l’alto: sono oltre 60 i palestinesi uccisi dall’inizio del 2023. I giornali israeliani legati alla destra descrivono tutti i palestinesi, uccisi o feriti nelle incursioni dell’esercito, come «terroristi». Anche il 16enne Mohammed Shaaban, tra gli 11 uccisi di due giorni fa. E nelle ultime ore sono deceduti altri due giovani. Uno, un combattente, era stato ferito una settimana fa a Jenin durante un raid dell’esercito. L’altro, un 24enne di Gaza, non è sopravvissuto alle ferite gravi all’addome subite nel 2018 durante la Marcia del Ritorno lungo le linee di demarcazione con Israele.

Abdel Hadi Al Ashqar

Poche auto sulle strade e negozi chiusi ovunque ieri in Cisgiordania e in parte anche a Gaza e a Gerusalemme Est. Lo sciopero di protesta e lutto per le 11 vittime di Nablus ha paralizzato anche scuole, università e banche. Le formazioni politiche palestinesi hanno lanciato nuovi appelli a resistere all’occupazione militare mentre le continue uccisioni infoltiscono ulteriormente i gruppi armati. Ieri sera la Fossa dei Leoni, a cui appartenevano tre dei ricercati uccisi da Israele mercoledì a Nablus, ha annunciato che altri 50 palestinesi si sono uniti ai suoi ranghi. «Coloro che scommettono sulla fine dei gruppi (armati) delirano…i colpi che riceviamo ci rendono solo più determinati» ha scritto il gruppo armato in un comunicato invitando a popolazione di Nablus a partecipare oggi ai riti in ricordo delle ultime vittime. Israele ieri all’alba ha bombardato Gaza dopo il lancio di sei razzi, cinque dei quali abbattuti. Colpiti presunti edifici del movimento islamico Hamas.

Gli uomini della Fossa dei Leoni nel comunicato si sono anche rivolti, senza nominarla, all’Autorità nazionale palestinese (Anp) messa sotto pressione proprio dall’ultima cruenta incursione israeliana nella città vecchia di Nablus. «Questo raid è capitato in un momento critico in cui l’Anp è sotto accusa da più parti per aver ritirato, su insistenza americana, la sua proposta al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di condanna della colonizzazione israeliana» spiegava ieri al manifesto Ghassan Khatib, analista e docente di scienze politiche all’Università di Bir Zeit. «L’Anp – ha aggiunto – sa bene che il ruolo degli Stati uniti non favorisce l’attuazione di leggi e risoluzioni internazionali riguardanti la questione palestinese. Eppure, non riesce e non può a fare a meno di Washington, perché non ha un’altra parte alla quale appoggiarsi. Si sente sola e debole e senza gli Usa crede di finire alla mercè delle politiche di Israele. Ma non è quello che crede e vuole la popolazione palestinese».

Migliaia di palestinesi hanno tenuto marce notturne in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est chiedendo di rispondere all’incursione israeliana a Nablus. Si sono registrati scontri tra manifestanti e forze israeliane in diverse località. Nelle ultime ore è spirato Mohammed Zawabreh, un poliziotto dell’autorità nazionale ferito da Israele ad Al-Aroub.

Tratto da Pagine Esteri – Agenzia internazionale di Informazione

Il video seguente è stato realizzato a Nablus, Palestina. Città in questi giorni, come sempre, bersaglio della violenza assassina dei coloni, settlers, sostenuti e difesi dall’esercito di occupazione israeliano.

La propaganda urla solo di lanci di petardi da Gaza e di palestinesi, tutti definiti terroristi, cattivi e ben armati. Per la maggior parte della popolazione palestinesi l’unica forza resta ancora il proprio corpo e il lancio di sassi come dal 7 dicembre del 1987.

Yael German e Ambasciatrice di Israele in Francia, si è dimessa immediatamente all’insediamento del nuovo governo di Israele denunciando “troppe idee estremiste” riferendosi ai diversi partiti di estrema destra, oggi favoreggiatori degli attacchi dei coloni contro la popolazione palestinese.

In queste ore c’è definitivamente la prova che in Israele governa il nuovo nazismo e alcun dichiarazione dei suoi esponenti hanno anticipato gli attacchi nella città di Nablus e altre località palestinesi.

Supportando lo slogan: “tutti i palestinesi sono terroristi” la Knesset, il governo di Israele è pronto a realizzare la nuova agenda dettata dal suo leader, Netanyahu. Al primo punto, i parlamentari si apprestano a votare se applicare la pena di morte per i terroristi palestinesi e questa decisione sta creando molta preoccupazione nella diplomazia europea ma le preoccupazioni non bastano.

L’ex ambasciatrice Yael German non si è fermata alle sole dimissioni ma è stata promotrice e organizzatore delle prime proteste nelle periferie e grandi città come Tel Aviv. Sono oltre 40 le persone fermate e arrestate durante gli scontri tra cittadini israeliani e la polizia di Israele.

“Israele dovrebbe sapere dove porta la mancanza di democrazia”

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