di Elina Tizzano
Un cambiamento epocale è in corso. Ne abbiamo la percezione, ma non ancora, nitidamente, la portata; forse perché essendo ancora in atto non è facile vederne con chiarezza le caratteristiche e le peculiarità. Abbiamo difficoltà, in questo momento, a capire “dove stiamo andando” e cosa stiamo diventando, ma ce ne accorgeremo a breve quando tutto ciò che ci circonda comincerà a cambiare e a raccontare il nuovo spirito del tempo. Lo Zeitgeist si manifesta sempre attraverso tutte le componenti della società umana: attraverso l’arte e la cultura, in primis, ma anche attraverso i costumi, l’ordinamento sociale e giuridico, attraverso gli orientamenti economici. Forze che sono al contempo causa e manifestazione dell’essenza di un’epoca. E per quanto concerne il 2020 non c’è ombra di dubbio: c’è stato un “prima” e ci sarà un “ dopo”. Cambierà la moda, il cinema, l’architettura, che dovranno adattarsi a nuovi modi di vestire (semimascherati), raccontare nuove storie, progettare i nuovi spazi del distanziamento sociale. Cambieranno le nuove arti come la comunicazione visiva e la pubblicità, che dovranno adattarsi a una società più povera economicamente e molto più virtuale. Cambieranno i riti di aggregazione e le relazioni sociali, visto che stiamo disimparando a stare assieme in presenza. Ormai ci stiamo abituando a restare chiusi in casa e a non andare a trovare amici e parenti, a incontrare gli altri on line. Rinunceremo persino al Natale in famiglia. I colloqui di lavoro si fanno ormai stabilmente tramite web e ci sono bambini e ragazzi, in Campania, che avendo fatto solo 15 giorni di scuola in presenza non hanno mai incontrato dal vivo alcuni dei loro insegnanti. I pediatri e i neuropsichiatri infantili hanno denunciato i gravissimi effetti che questo isolamento produrrà sull’evoluzione psicosociale dei nostri figli; avranno sicuramente delle difficoltà relazionali, perché riducendo in età pediatrica le loro relazioni umane dirette abbiamo ridotto il tempo dedicato a quello che è uno degli apprendimenti fondamentali per una specie sociale come la nostra: il tempo dell’interazione con gli i nostri simili. Noi non siamo fatti per stare soli, o per incontrarci attraverso un pc. Non è un caso che in quest’anno siano aumentati in maniera vertiginosa suicidi, violenze domestiche, disturbi mentali in genere e conseguente uso di psicofarmaci.
Cambiamenti macroscopici ci attendono poi sul piano economico, politico, giuridico e di conseguenza sociale. Per il 2021 ci aspetta una delle peggiori crisi economiche degli ultimi anni. Ci sono settori economici che hanno subito perdite superiori al 90%, come ad esempio il turismo o il mondo dello spettacolo. Sull’onda dell’emergenza sono stati utilizzati in maniera a dir poco discutibile strumenti legislativi che hanno aperto un dibattito ancora in corso. A marzo siamo stati indotti a firmare autodichiarazioni nelle quali affermavamo palesemente il falso (come potevamo dichiarare di non essere positivi al covid?) e a suon di DPCM il presidente del Consiglio ha di fatto delegittimato parte delle funzioni del Parlamento.
Ma più di ogni altra cosa l’epidemia di Covid 19 ci ha messo di fronte a problemi di tipo etico. La necessità di contenere il contagio di questo virus all’inizio sconosciuto ha creato una sitstema di gestione del malato mai vista prima. La cosa più terrificante dell’emergenza non sono state, come tutti credono, le file di camion dell’esercito con le bare bergamasche, ma le migliaia di racconti del modo atroce e disumano in cui queste persone sono venute a mancare: tutte quelle persone sono morte sole. Si sono congedate da questa terra in piena consapevolezza (i sanitari che ne avevano cura hanno dichiarato che nella stragrande maggioranza dei casi i moribondi erano pienamente lucidi e consapevoli di essere in punto di morte) ma senza poter dare l’estremo saluto ai loro cari. E la cosa più terribile è che questa condizione non è stata provocata da un effetto oggettivo e inevitabile della malattia, ma dalla tragica applicazione di protocolli sanitari sbagliati. Quelle morti si potevano evitare; quella solitudine si poteva evitare e questo è ormai un pensiero stampato nella mente di tutti che genera un perpetuo stato di ansia: la gente ha il terrore di morire e di morire sola.
Una delle opere letterarie più belle e celebri dello scorso secolo è la saga di Tolkien nella Terra di Mezzo. Tra i suoi personaggi è curioso che gli elfi immortali, sebbene dotati di poteri inimmaginabili rispetto agli uomini, nutrano per questi ultimi una sottile invidia per quello che loro definiscono “Il dono degli uomini”: la morte. Come si può considerare la morte un dono, soprattutto in una società come la nostra dove l’individualismo e l’esasperazione dell’Io ci fanno vedere la fine della vita terrena come la fine di tutto? Gli elfi invidiano agli uomini il loro dono perché è solo la morte che rende la vita preziosa e unica, irripetibile.
La tragedia più grande del 2020 è che abbiamo cominciato a temere la morte molto più di quanto amiamo la vita. Il covid ha tolto la vita ai morti, ma paradossalmente anche ai vivi. La fede non ci supporta più, la chiesa cattolica ha definitivamente deposto le armi conto i valori temporali di quest’epoca e nella visione del III millennio, nel nuovo spirito del tempo, gli elementi dominanti sono l’incertezza, la paura e la mancanza di speranza.
Eppure tutto potrebbe diverso da quello che crediamo; le stime sui decessi del 2020, che a fine dicembre si possono considerare pressoché definitive, ci dicono che il numero di morti in Italia sarà, per l’anno che sta per concludersi, inferiore a quello del 2015 e del 2017, anni durante i quali pure si sono verificate epidemie di influenza devastanti con situazioni di crisi estrema nelle strutture sanitarie. Che cosa significa, tutto questo? Nessuna tesi complottista, ma di certo due cose possono considerarsi vere: la prima è che la lettura di quanto è successo quest’anno potrebbe essere distorta e sicuramente non giustifica lo stato di terrore perpetuo nel quale stiamo scivolando; la seconda, che viene per conseguenza, è che abbiamo un bisogno urgente di rivedere e correggere il nostro rapporto con la morte, per poter tornare ad avere il giusto rapporto con la vita. “Il mondo sta cambiando”, ma non deve necessariamente cambiare in peggio. Non possiamo smettere di vivere per paura di morire.
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